27 giugno 2018 - 21:27

I furbetti delle case popolari ora rischiano lo sfratto

A Torino almeno 759 casi sospetti su 18000 alloggi assegnati da Atc che ogni anno svolge 5000 controlli incrociati

di Elisa Sola

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Cinquemila controlli all’anno su 18mila case a Torino. Almeno 759 casi sospetti segnalati alla polizia municipale nel 2017. I furbetti delle case popolari sono tanti. E sempre in agguato. Per questo l’Atc ha una squadra di dipendenti per fare verifiche – incrociando i dati di anagrafe, Inps, Catasto e Agenzia delle entrate - su alloggi che potrebbero essere occupati da persone che non ne hanno titolo. Le situazioni potenzialmente non a norma vengono trasmesse ai vigili. Come per alcuni dei 21 casi di truffa relativi agli assegni familiari, casi in cui sono indagati alcuni nordafricani che hanno continuato a percepire gli assegni anche dopo aver mandato i figli a studiare all’estero, molti in scuole musulmane (che in Piemonte non esistono).

Nel 2017 Atc ha richiesto alla municipale 374 accertamenti sulla composizione dei nuclei familiari, ospiti non dichiarati e redditi. Una cifra che si somma a 385 controlli su posto per subaffitti, abbandoni o occupazioni di appartamenti. Gli stessi controlli erano stati 205 e 361 nel 2016. «Questo ha permesso all’Agenzia – spiega il presidente dell’Atc del Piemonte, Marcello Mazzù - non soltanto di individuare eventuali casi di abbandono, per i quali scatta per legge la decadenza dal contratto, ma anche di recuperare nel 2017 oltre 500mila euro». Il canone delle case popolari è calcolato sui redditi e sul numero di componenti del nucleo familiare. Se si scopre, ad esempio, che in un alloggio abita un residente in più, scatta immediatamente l’aumento dell’affitto. I controlli dell’Atc adesso verranno effettuati anche nelle case teoricamente occupate dalle 21 famiglie indagate dalla polizia municipale. Se emergerà che non soltanto mogli e figli, ma anche i mariti sono emigrati all’estero, partirà la procedura che porta allo sfratto. Una casa popolare non può essere abitata saltuariamente da una famiglia: se in tre mesi i vigili accerteranno che l’appartamento non è utilizzato, partirà la procedura di decadenza comunale.

«Abbiamo scelto Lione per far crescere i nostri figli. Ci siamo trasferiti per farli studiare al College Radoul Dufy e alla Menys», ha ammesso Khadja, una delle donne recentemente denunciate dalla municipale. «Sono andata via tre anni fa – ha spiegato quando è stata sentita – con i miei due gemelli (che oggi hanno 16 anni) e la figlia minore di tredici». Ora Khadja è indagata con l’accusa di aver incassato 3600 euro di assegni familiari del Comune. È solo una delle madri che ha scelto di abbandonare la nostra città - e le nostre scuole laiche - per un’educazione considerata «vicina all’Islam». Non sarebbe l’unica. Giuseppina Candido è (o era) una torinese doc. Operatrice culturale impegnata nel sociale, alcuni anni fa ha conosciuto un uomo di origini marocchine. Si è convertita all’Islam, ha iniziato a portare il velo. L’ha sposato e ha fatto quattro figli. Alla municipale risulta che lei e i bimbi vivano in Marocco e che la signora abbia percepito gli assegni familiari del Comune pur risiedendo all’estero. La donna si è difesa sostenendo di non aver commesso alcuna truffa e di continuare a vivere a Torino. In realtà, dopo ulteriori verifiche, sarebbe emerso che la famiglia vivrebbe qui soltanto per tre mesi all’anno. Non solo, ci sarebbe un altro capo d’accusa relativo al «bonus bebé», un buono da 500 euro per il quarto figlio incassato «indebitamente». «In Piemonte non esistono scuole confessionali islamiche», conferma l’assessore regionale all’Istruzione Gianna Pentenero, che spiega: «E’ comunque il ministero che regolamenta le scuole». Ali El Aarja e Abdelghani, presidente della Federazione islamica piemontese, aggiunge: «Penso che il motivo per cui non esistano in Italia è che l’Islam non è riconosciuto».

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