20 ottobre 2018 - 11:35

Vco, il referendum si gioca su tre tavoli: quattrini, burocrazia e sanità

Viaggio tra i cittadini chiamati a votare per scegliere se staccarsi dal Piemonte

di Massimiliano Nerozzi

Vco, il referendum si gioca su tre tavoli: quattrini, burocrazia e sanità
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Quando si dice, un programma elettorale: affisso alla parete di pietra, c’è l’annuncio del referendum, un volantino del «No» e la locandina del film in menù lunedì sera, «Scemo & più Scemo». L’accostamento (involontario?) dice già tutto a Madonna del Sasso, 400 abitanti appoggiati su una meravigliosa rupe di granito di 640 metri, che mette il lago d’Orta in una cartolina: forse il quesito sottoposto domani ai 143.375 cittadini della provincia di Verbania, Cusio e Ossola (Vco) — Piemonte o Lombardia? — sarà un mero, quanto inutile, esercizio di democrazia. «Non andiamo in Lombardia», dice Alberto Rossignolo, giardiniere in pensione e ora volontario della protezione civile. Venendo da Novara, questo è il primo comune della provincia in bilico: e non c’è voglia di trasformare il confine in frontiera. Con gli amici, Alberto sta discutendo al circolo dei lavoratori, griffato Arci: «Ma si parla della Utlo, la Ultra train lago d’Orta — spiega Marco Chierichetti, responsabile del centro richiedenti asilo — che nel fine settimana porterà atleti da 44 nazioni». E’ un modo elegante di dire che il referendum neppure ha acceso il dibattito. Per organizzarlo si sono spesi almeno 400.000 euro: «Per un senatore che voleva farsi pubblicità: ma io non ti ho detto niente». Cioè Valter Zanetta, l’ideatore del domandone, non troppo amato, a farsi il giro di valli e laghi. «Quei soldi si potevano usare per rifare le strade», dicono al bistrot Centrale di Omegna, sulla punta nord del lago d’Orta.

Ma non è solo questione di vil pecunia: «Io sono Savoiardo», sorride il cameriere. Vero è, però, che in gioco restano anche quattrini e burocrazia, come ha spiegato il sindaco di Madonna del Sasso, Enzo Barbetta, ai suoi: tirando in ballo una sanità che finirebbe spezzata in due («Non può essere gestita a scavalco tra due regioni») e l’inconsistenza di quelli che il referendum l’hanno proposto («5.254 persone, il 3,6 per cento degli elettori»). Sessanta chilometri a nord, a Domodossola, c’è il richiamano della storia, che in quelle valli vuol dire Lombardia: «Queste erano terre dei Visconti — ricorda l’avvocato Daniele Folino, assessore comunale alla Cultura — e poi c’è sempre stato un forte sentimento autonomista». Però, pure lui che andrà a votare, ammette che la scintilla non s’è fatta incendio: «Il referendum nasce da ragioni politiche, e si è diffuso nell’Ossola, ma tra la popolazione non c’è stata quella voglia di impegnarsi».

Neppure da parte della sua amministrazione, con Lista civica di centrodestra, astenuta dalla campagna elettorale. Tra storia e geografia, ci sarebbe l’economia, se il distretto dei laghi è la seconda destinazione più gettonata del Piemonte, dopo la provincia di Torino: nel 2017, si è arrivati a 1,1 milioni di arrivi, il 22 per cento della regione. Contando solo gli stranieri, il Vco rappresenta il 40 per cento del totale. Però, sull’intera bilancia economica, il valore aggiunto dell’intero Piemonte è di 1.485 miliardi, e queste terre vi partecipano con 3,3, ovvero il 3 per cento. Perché poi, gli amministratori devono ragionare con un occhio al libro mastro. E sulla convenienza di restare con il Piemonte, non ha dubbi Stefano Corsi, 53 anni, sindaco di Macugnaga, il comune più alto della provincia, con i suoi 1.347 metri ai piedi del Monte Rosa: «Con la regione, da un paio d’anni, stiamo lavorando bene — racconta dalla sella della bici, dopo 100 chilometri, dalla montagna al lago e ritorno — visto per esempio i 7,5 milioni di euro di finanziamenti per il rinnovamento degli impianti e le concessioni del complesso sciistico». Oltre al milione e mezzo stanziato dal comune. Sintesi: «Per questo, noi stiamo con il Piemonte». Eppure, anche da quassù, c’è chi vede il Duomo e non la Mole: «Torino è lontanissima, al contrario di Milano», racconta Silvia Cantoretti, 25 anni, da dietro al bancone del Bar Monte Rosa, a Ceppo Morelli, sotto al parco naturale dell’alta valle Antrona.

Morale: «Con i lombardi noi ci lavoriamo, da sempre: le seconde case sono dei milanesi». Andrà a votare: «Se conviene, perché non cambiare?». Non si sta male: il tasso medio di disoccupazione del Vco è stato del 6,8 per cento (nel 2017), contro l’11,2 della provincia di Novara, o il 9,1 della media regionale. Ma si potrebbe anche stare meglio, visto che il reddito pro-capite della provincia è il più basso del Piemonte, fermo a 17.800 euro, contro i 21.300 della media regionale. Insomma, legittimamente, è (anche) una questione di semplice convenienza. O di indifferenza. Perché poi, i laghi e le vetrine dei negozi, si affacciano soprattutto su Svizzera e Germania, che qui riversano turisti. Sono quelli i clienti, se nel centro di Stresa, i camerieri con la pizza in mano ti evitano dicendo, «sorry», o se i menù giganti sono prima in tedesco poi in italiano. Riassume Stefano, della salumeria di fianco al municipio. «Il referendum? Magari ci vado, ancora non so». E dire che fuori, ha il cartello che annuncia, «specialità piemontesi». Chissà se vincesse il sì: «Ma quello è per i turisti, e poi la nostra cucina è anche un po’ lombarda. Oh, da sempre».

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