24 gennaio 2019 - 11:00

Carlo Romeo, l’avvocato dei boss di ‘ndrangheta che in aula strappa applausi

Difendeva gli imputati del maxi-processo Minotauro. È stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta sul sistema mafioso tra Piemonte e Val D’Aosta

di Giovanni Falconieri

Carlo Romeo, l’avvocato dei boss di ‘ndrangheta che in aula strappa applausi Carlo Maria Romeo
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TORINO - È una fredda e piovosa giornata d’autunno di sette anni fa. Nell’aula bunker del carcere delle Vallette, a Torino, si consuma l’ennesima udienza del più grosso processo per mafia celebrato in un tribunale del Nord Italia. All’inchiesta monstre capace di svelare le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Piemonte è stato dato il nome Minotauro, perché — spiegano gli inquirenti — il crimine organizzato è «un essere mostruoso e feroce, con il corpo di un uomo e la testa di un toro». A difendere i presunti boss calabresi dall’accusa di essere i capi e gli affiliati dei nove «locali» mafiosi che organizzano il traffico di droga, controllano le bische clandestine, gestiscono gli appalti e influenzano il voto politico c’è anche l’avvocato Carlo Maria Romeo da Bovalino, provincia di Reggio Calabria. Un calabrese doc in aiuto di altri calabresi. Di 11 calabresi, per la precisione (su un totale di 75 imputati). In quella fredda e piovosa giornata d’autunno — è il 2 novembre 2012 — l’avvocato allora cinquantaquattrenne si rivolge così al giudice Paola Trovati: «Non mi capisce perché parlo calabrese?». E ai carabinieri che hanno condotto le indagini pone lo stesso interrogativo, anche se formulato in maniera diversa: «Lei conosce il calabrese, colonnello? Di dove è originario?». Il pubblico apprezza e applaude. Il giudice non ci sta e ordina il silenzio: «Qui non siamo a teatro, non si applaude».

Sempre protagonista e mai comprimario. Di fare la comparsa, neanche a parlarne. In aula, Carlo Mario Romeo da Bovalino è sempre stato un istrionico. «Perché può permetterselo», racconta oggi un collega che negli anni scorsi lo ha affiancato in più di un processo. «Nelle inchieste sulla criminalità organizzata è il più bravo, gli basta scorrere l’indice di un fascicolo composto da migliaia di pagine per andare subito al cuore della questione. Non c’è un processo di mafia al quale non abbia partecipato». Da Cartagine a Minotauro, da Colpo di coda a San Michele, fino a Big Bang. Mafia, sempre e solo mafia. Anche quella straniera, quando ha difeso i criminali romeni che appartenevano alla «Brigada». Giunto a Torino da Reggio Calabria nei primi anni Novanta, Romeo comincia a lavorare nello studio dell’avvocato Aldo Albanese. Tra il 1997 e il 1998 lascia l’ufficio in corso Vittorio Emanuele II e raggiunge la collega Cinzia Nardelli. Dopo alcuni anni di convivenza, decide di aprire un proprio studio nel quartiere Crocetta. Lo stesso in cui vive. Sposato, separato, ha una figlia che si è appena laureata in Filosofia e scrive poesie per passione (arrivando prima in un importante concorso). Ma quelle di oggi, per Romeo, non sarebbero le prime grane con la giustizia: il 14 dicembre scorso è stato condannato a un anno, pena sospesa, per una truffa ai danni della Bmw Financial Services Italia, perché nel 2010 aveva ottenuto un finanziamento per l’acquisto di un’auto presentando dichiarazioni dei redditi mai denunciate all’Agenzia delle Entrate. Ora i guai sembrano molto più grossi.

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