25 luglio 2018 - 13:48

Torino, come parlano i giovani? L’Università alla scoperta dello slang

A fine anno il database con i risultati sarà online, con neologismi e frasi dialettali. Resistono il «solo più» e il «già» tra espressioni come «bimbominkia»

di Michele Razzetti

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Come parlano i giovani torinesi di oggi? Domanda impegnativa, cui sta tentando di fornire alcune risposte CheSignificaTorino, progetto dell’Università di Torino, coordinato dal professore di Linguistica Italiana Luca Bellone. L’obiettivo è quello di «mettere finalmente a punto uno strumento che offra una rappresentazione scientificamente affidabile del linguaggio giovanile» spiega Bellone. Oltre sei mesi di raccolta dati, iniziata nel 2016, attraverso un questionario sociolinguistico somministrato da sessanta studenti universitari a 1500 ragazzi (tra i 13 e 21 anni) di nove scuole superiori di altrettanti quartieri. Numeri imponenti che fanno di questa ricerca sul linguaggio giovanile, un’impresa che finora non ha precedenti in Italia.

Una scena da «Tomer Ve-Hasrutim» Una scena da «Tomer Ve-Hasrutim»

Un database online

E i risultati, che stanno convogliando in un database consultabile online da fine anno, se da un lato confermano alcuni luoghi comuni, dall’altro sconfessano convinzioni radicate (sebbene impressionistiche) sulla lingua dei ragazzi. Innanzitutto dimentichiamoci la litania secondo cui i giovani – soprattutto nel nord ovest – non conoscono più il dialetto. «I nostri dati dicono semmai il contrario. Lo sanno ancora, ma lo usano pochissimo e soprattutto non tra di loro». Basta piciu e basta balengo fra amici, quindi. «Sono etichettati come parole da nonni e sono stati sostituiti da bimbominchia e simili». Resistono invece le strutture morfosintattiche dell’italiano regionale del Piemonte. «Il lessico si può sostituire, rinnovare, ringiovanire. Ma se impari l’italiano a Torino, solo più, facciamo che seguito da un verbo all’infinito e il già a fine domanda (“com’era quel titolo già?), non te li scrolli più di dosso».

I social

Anche sugli argomenti affrontati occorre in parte ricredersi. «Il linguaggio giovanile risulta piuttosto potente e tratta temi diversi che spaziano dalla famiglia e gli affetti alle evoluzioni che la tecnologia determina sulla comunicazione stessa». Non solo sesso, droga ed elettronica, quindi, ma neanche temi impegnativi come la politica. «Il presagio della disaffezione alla politica è confermato dallo studio. Quasi tutti si sono dichiarati totalmente disinteressati e pochi sono quelli che si informano sui giornali o sul web». Cambiano i luoghi di aggregazione e cambia il linguaggio. Se un tempo chi viveva a Mirafiori usava espressioni sconosciute a Barriera di Milano, oggi i social hanno creato un lessico condiviso. «Il luogo di aggregazione oggi sono di fatto i social, dai quali provengono molti termini dei giovani. Questo concorre a uniformare il linguaggio perché la lingua dei social non cambia da Torino a Roma». Spopolano così frate e fratello, e alcune espressioni popolari sono state reinterpretate con risultati eloquenti anche da un punto di vista politico e sociologico.

«Mi sale il nazismo»

«Per “arrabbiarsi” non usano più “Mi monta (o sale) il Cristo”, ma “mi sale il Nazismo” e “mi sale l’Isis”». Emergono inoltre differenze tra maschi e femmine – da prendere con le dovute cautele – ad esempio nei termini potenzialmente offensivi. Queste parole possono essere utilizzate sia «affettuosamente» per consolidare il gruppo, sia per offendere. Un dato sconfortante è che i maschietti tendono a essere più offensivi sia verso l’altro sesso, sia verso compagni meno «di tendenza». «I ragazzi hanno meno peli sulla lingua: quando c’è da offendere, non si tirano indietro. Nel questionario alla categoria “ragazza non bella” è venuto fuori davvero di tutto». Alcune parole, infine, ricorrono con una certa frequenza e dipingono una generazione che si sente estremamente fragile. «Da “ansia” a “disagio”: le parole che restituiscono un marcato sentimento di precarietà ricorrono spesso. E non credo ci siano mai state parole così forti nel linguaggio giovanile dei decenni passati». Usano spesso termini legati a patologie psicologiche, ma naturalmente privi del loro significato originario. E così succede che l’ansia o il disagio di oggi possa derivare anche soltanto dall’avere il 10 per cento di batteria nel cellulare.

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