24 aprile 2019 - 17:39

Lovers, la guerra non è mai finita

Si parte con la trentaquattresima edizione del Festival Lgbtqi che porterà con sé il nome del successore di Irene Dionisio. E non mancano le nubi: dai fondi alla politica

di Gabriele Ferraris

Lovers, la guerra non è mai finita Frame dal film «Plaire, aimer et courir vite», film che apre il festival Lovers
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Oggi s’inizia la trentaquattresima edizione di Lovers Film Festival, la terza e ultima diretta da Irene Dionisio. Il clima s’è normalizzato dopo la crisi — forse necessaria ma certo orchestrata e gestita nel peggiore dei modi — che nel 2017 vide la defenestrazione dello storico fondatore e direttore Giovanni Minerba e l’imposizione autocratica della nuova direttrice da parte del potere grillino appena insediato in Comune. Col bel risultato di scatenare rivalità, malumori e ripicche dentro e fuori la comunità gay. L’equilibrio faticosamente raggiunto dopo quei giorni tormentati oggi torna a vacillare. Il successore di Irene Dionisio sarà annunciato l’ultima sera del Festival: così fino al 28 aprile i giornalisti, anziché occuparsi dei valori artistici di Lovers, si strologheranno per anticipare il nome del prescelto e i retroscena di un passaggio di consegne che comunque vada non sarà indolore. Il presidente del Museo del Cinema Sergio Toffetti ha fatto capire che preferirebbe un direttore «operativo» e «già pratico del Festival»: ciò significa un no alla candidata Vladimir Luxuria e un sì ai candidati Fabio Bo e soprattutto Angelo Acerbi, considerato dai più come favorito. Ma l’ex direttore Giovanni Minerba, tuttora nume tutelare e consulente di Lovers, non resterebbe un solo minuto a lavorare con Acerbi o Bo, suoi ex collaboratori che egli sospetta di avere a suo tempo manovrato per farlo fuori: nel caso, lui è pronto ad andarsene. E non lo farebbe in punta di piedi.

Questa è l’aria che tira, mentre l’orizzonte s’incupisce e il futuro del Festival appare quanto mai incerto. Il rischio di un «accorpamento» al Tff non viene più evocato, ma è sempre lì, sottotraccia. E le criticità di Lovers sono tante, a cominciare dalla fragilità economica. Il budget totale dell’edizione 2019 è sceso a 330 mila euro effettivi, dopo un ennesimo taglio di oltre sessantamila euro. Dalle sponsorizzazioni private arrivano appena 20 mila euro: in Italia un festival che parla di omosessualità pare abbia poco appeal. Chi l’avrebbe mai detto, vero? In simili condizioni, Lovers dipende in gran parte dai finanziamenti pubblici. Quindi, oggi come oggi, è messo male. Peggio che in passato. Ricordate ciò che capitò ai tempi di Cota? La maggioranza di centrodestra in Regione — a presidenza leghista, ma ancora dominata da Forza Italia — tolse il tradizionale patrocinio all’allora Tglff. Fu una decisione, coerente con una precisa visione ideologica, che suscitò sdegno e proteste progressiste; ma non ebbe conseguenze pratiche. Anche allora il Festival era organizzato e finanziato dal Museo del Cinema, che non fece un plissé e continuò serenamente a organizzarlo e finanziarlo. Alberto Barbera, all’epoca direttore del Museo, aveva l’autorevolezza, e soprattutto la copertura politica da parte del Comune, per fregarsene di quel genere di pressioni. E dal canto suo Forza Italia non aveva nessuna intenzione di tirare troppo la corda: considerava l’atto formale di negare il patrocinio più che sufficiente per placare i maldipancia degli alleati più incarogniti sulla questione gay.

Adesso la situazione è diversa. Mi domando cosa accadrà fra pochi mesi, quando la Regione sarà con ogni probabilità governata da una maggioranza a fortissima trazione leghista, e il Museo del Cinema avrà un direttore di fresca nomina e d’incerta caratura. La Lega, quella attuale, tollererà senza banfare un Festival tanto in contrasto con le dottrine teoconservatrici del senatore Pillon? E in caso contrario, quali forze potrà mettere in campo il Museo (che dalla Regione soltanto nel 2018 ha incassato 2,4 milioni di contributi) per salvaguardare Lovers? Il presidente Toffetti sostiene che la miglior difesa sarebbe comunque «fare un buon Festival, artisticamente valido, e che piaccia al pubblico». Ottima strategia: ammesso e non concesso che chi avversa Lovers si presti a distinzioni poetiche sulla validità artistica e il gradimento del pubblico. Può anche darsi: ma non ci metterei la mano sul fuoco. Aggiungo: qualora il Festival fosse sotto attacco, e rischiasse la chiusura, il futuro direttore di Lovers sarebbe attrezzato per battersi in sua difesa? Forse sì, se avesse la visibilità mediatica e l’esperienza politica di Luxuria. Ma forse anche no, se fosse, com’è Luxuria, l’incarnazione vivente di tutto ciò che i teoconservatori oltranzisti avversano senza appello. Di sicuro la scelta del nuovo direttore di Lovers non può dipendere dai possibili sviluppi della politica regionale. Ma se soffiano i venti di guerra conviene mettersi l’elmetto. E per Lovers la guerra non è mai finita. Il vento soffia ancora, e presto soffierà più forte.

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