16 febbraio 2019 - 11:08

Salone del Libro, il ritorno dei «bauscia» e i torinesi «babbioni»

L’Aie (associazione editori) torna a Torino dopo il fallimentare Tempo di libri a Milano, per di più invitata dal Circolo dei Lettori. È una vergogna, benché dettata dalla realpolitik. Ci prendiamo in casa quelli che sono stati i nostri peggiori nemici

di Gabriele Ferraris

Salone del Libro, il ritorno dei «bauscia» e i torinesi «babbioni» Un’immagine del Salone internazionale del Libro di Torino
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Leggo sul Corriere una notizia che mai avrei pensato (né tantomeno desiderato) di leggere: l’Aie si degna di entrare con tutti gli onori, sollecitata dal Circolo dei Lettori, nel Comitato d’indirizzo del Salone del Libro di Torino. L’Aie è l’Associazione italiana editori: quella stessa associazione che — àuspici i giganti Mondazzoli e Gems — nel 2016 tentò di affossare il nostro Salone inventandosi a Milano la fallimentare bausciata chiamata «Tempo di Libri». L’azzimato Ricardo Franco Levi, presidente dell’Aie in virtù dei suoi infiniti meriti nel campo dell’editoria dall’Indipendente in poi, si prende la briga e di certo anche il gusto di bullarsi dichiarando che «il Salone lo ha salvato la fiera di Milano».

E ancora: «Con la sua nascita ha contribuito a uno straordinario sussulto d’orgoglio di Torino e del Piemonte». E come no: d’altra parte, si sa che fu Hitler a salvare l’Europa dal nazismo invadendo la Polonia e suscitando così lo straordinario sussulto d’orgoglio della Francia e dell’Inghilterra. L’Azzimato ci fa sapere, bontà sua, che loro, i genii dell’Aie, accettano di buon grado l’invito dei torinesi perché «stanno già lavorando a una nuova fiera per Milano, che si terrà nel 2020 e avrà una modalità coerente con l’immagine della città — europea, giovane, innovativa — e quindi sono cadute le possibili ragioni di concorrenza con il Salone». Salone che evidentemente, nella visione milanocentrica del presidente dell’Aie, in quanto torinese non è né europeo, né giovane, né innovativo. E aggiunge, il Ricardo Franco: «Torniamo dunque a Torino con una funzione di collaborazione culturale». Ah beh, ci volevano i bauscia per portare un po’ di cultura a noi babbioni torinesi. No, davvero: dobbiamo farci perculare aggratis da questi fanfaroni? Va bene porgere l’altra guancia, ma solo la guancia: invece qui si va ben oltre, le guance.

In pratica ci prendiamo in casa quelli che sono stati i nostri peggiori nemici, e tuttora tramano manifestazioni concorrenziali al Salone. A questo punto, immagino che Allegri il 20 febbraio a Madrid metterà in porta Oblak. Ma ve li ricordate, questi dell’Aie e le loro gradassate quando presentarono il loro Tempo di Libri che sembrava dover spaccare le reni e quant’altro al nostro Salone? «Da oggi siamo allineati con la maggior parte delle esperienze internazionali in cui sono gli editori stessi a realizzare le loro fiere nazionali del libro», dicevano. «Tempo di Libri sarà una kermesse unica, poiché sarà in grado di arricchire culturalmente tutta la città di Milano, capitale dell’editoria e centro culturale», dicevano. Fu un flop galattico. Tant’è che Mondazzoli & Co, fallito l’ammutinamento già con la prima edizione tristanzuola nel 2017, nel 2018 se ne tornarono mogi mogi a quel Salone che avevano abbandonato con tanta orgogliosa sicurezza. Trovando, purtroppo, un’accoglienza assurdamente benevola: si ripresero i privilegiati spazi centrali del Lingotto, confinando nelle zone più periferiche e trascurate dai visitatori i piccoli editori che erano rimasti fedeli a Torino nei giorni bui della pugnalata alle spalle e avevano addirittura abbandonato l’Aie fondando una propria associazione indipendente, l’Adei. Fu un amaro disinganno, per quegli amici del Salone.

Eppure il direttore Lagioia si era impegnato a difenderli dal ritorno dei colossi: «Non è che se questi tornano noi possiamo andare da quelli che ne hanno preso il posto e dirgli beh, scusate, loro sono tornati e voi dovreste spostarvi... È questione di buona educazione. Dovremo trovare il modo per contentare tutti, ma senza spodestare chi ha guadagnato una posizione credendo nel Salone quando pochissimi ci credevano», prometteva il velleitario Nic subito dopo il Salone del 2017 salvato dai piccoli editori. Poi i colossi sono arrivati, e si sono imposti con la prepotenza insolente propria dei colossi. Umiliati e offesi, quelli dell’Adei dovranno adesso trangugiare anche lo sfregio di sedere nel Comitato d’indirizzo fianco a fianco con coloro che per due lunghi anni si sono adoperati per annichilire e affossare il Salone. E che adesso, dopo aver toppato a Milano, vengono a Torino a fare i maestrini dalla penna rossa. Certo, è una vergogna. Dettata dalla realpolitik, come quasi ogni vergogna della Storia: ma comunque vergogna.

E non me la contate con la parabola del figliol prodigo: quel padre che accoglie in pompa magna il rampollo che s’è sputtanato l’eredità a champagne e donnacce, e se ne fotte dell’altro figlio che gli ha fatto da schiavetto per tutta la vita, a me pare soltanto un odioso imbecille. Credo di più alla sapienza di mia nonna che mi ripeteva sempre: «A essere buoni con i cattivi, si fa torto ai buoni».

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