21 febbraio 2019 - 14:34

Carlo Ginzburg: «Filologia, la mia arma contro le fake news»

Parla lo storico: «Smascherare la propaganda è oggi un problema centrale»

di Chiara Dalmasso

Carlo Ginzburg: «Filologia, la mia arma contro le fake news»
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Le insidie delle fake news e le strategie per smascherarle. Sarà questo uno dei temi portanti la lectio magistralis dello storico Carlo Ginzburg, che si terrà stasera alle 18 al Museo del Risorgimento per la seconda stagione di «Giorni Selvaggi». L’incontro prenderà le mosse dall’ultima opera di Ginzburg, «Nondimanco. Machiavelli, Pascal» (Adelphi), esempio di erudita ricerca e audace interpretazione che riunisce nove saggi — sei già pubblicati e ampiamente rimaneggiati, tre inediti e un’appendice — tendenti, tutti, verso un tema, unificante e discrepante per sua stessa natura: la complessa questione della casistica, tradizione che, nel punto d’incontro di teologia e diritto, riflette sulla tensione tra norma e anomalia, traghettando casi specifici su un piano generale. Il testo ne ripercorre la traiettoria storica, dalla sua origine medievale alla confutazione di Pascal, passando per le geniali trovate di Machiavelli.

Professor Ginzburg, da dove deriva l’interesse per un argomento come questo?
«L’interesse per il “case study” — inteso in senso lato come l’attitudine a collegare lo specifico al generale — risale ai miei primi studi; ho precisa memoria del momento in cui ha preso forma il progetto sotteso a Nondimanco: era da poco passato l’11 settembre 2001 (all’epoca insegnavo a Los Angeles) e, scegliendo il programma da destinare al corso, non ebbi dubbi, pensai subito al Principe di Machiavelli, un testo chiave per capire il fenomeno della secolarizzazione, dell’intricato rapporto tra istituzioni politiche e principi religiosi».

In che modo ricollega la tradizione della casistica all’attualità? «Pericolosa minaccia del mondo contemporaneo sono le “fake news”, fenomeno diffuso in tutti i settori e legato a una tecnologia nuova, che di certo non esisteva al tempo di Machiavelli. Le notizie che ogni giorno ricaviamo dai giornali e dalla rete devono sempre essere vagliate: il problema del controllo di ciò che viene diffuso con scopi propagandistici, spesso mettendo in circolazione informazioni false, è centrale e cogente».

Come ovviare al rischio di rimanerne irretiti?
«Attraverso un’analisi filologica delle notizie che ci vengono propinate, per esempio. La filologia è ancor oggi attualissima, con tutte le implicazioni politiche che le conseguono: come diceva Leo Strauss nel saggio “Scrittura e persecuzione”, è importante saper “leggere tra le righe”, distinguere gli aspetti impliciti ed espliciti della comunicazione, soppesare con cautela gli assunti, scovare quei punti nei quali chi scrive gioca con una tecnica espositiva obliqua; leggere in maniera critica e approfondita, ma senza passare da un eccesso all’altro: sorrido pensando ad uno studioso inglese del ‘700, che aveva proposto di mettere in margine ai passi ironici una manicula, un segnale grafico, per renderli espliciti. Ecco, questo sarebbe forse eccessivo».

Crede che l’Italia di oggi sia in grado di «leggere tra le righe»?
«Potrei fare parecchie considerazioni in merito; guardando alla politica, mi limito a constatare come molte nefandezze in passato inammissibili, oggi siano all’ordine del giorno. E la situazione non può che peggiorare. C’è da dire, però, che l’arte del “leggere tra le righe” può essere insegnata, purché vi siano docenti in grado di farlo. Sono stato di recente a tenere alcune lezioni in India: lì c’è uno stile di discussione analitico che qui manca. Gli studenti indiani dimostrano una consapevolezza delle implicazioni politiche delle questioni trattate che spesso negli italiani stenta ad emergere. Forse se fossero più stimolati e meno scoraggiati il clima sarebbe diverso».

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