2 gennaio 2019 - 10:16

Torino, mecenati cercansi: Fondazioni e Iren non possono accollarsi tutto

I privati disposti ad investire negli eventi culturali a Milano abbondano, a Torino no. O meglio ce ne sono due a cui si chiede di mettere una toppa (finanziaria) su tutto

di Gabriele Ferraris

Torino, mecenati cercansi: Fondazioni e Iren non possono accollarsi tutto
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Il 2018 si è aperto con il collasso della Fondazione Torino Musei costretta, per sopravvivere al taglio dei contributi comunali, ad abbandonare il Borgo Medievale e un discreto numero di dipendenti; si chiude con la cessione ai privati del marchio del Salone Internazionale del Libro. Dopo mesi di convulsioni e anni di errori, trascuratezze e inadempienze di amministrazioni pubbliche d’ogni sorta e colore. In mezzo ci sta la tragicommedia del Regio: i seriali salvataggi di un bilancio comatoso; l’avvento di un sovrintendente imposto dal sindaco a prescindere dal curriculum; la riduzione del finanziamento del Fus; e l’interminata attesa di un «piano industriale» preannunciato dallo straordinario risultato di incassare di meno pur vendendo più biglietti.

Il 2018 è stato un anno orribile per le istituzioni culturali. Sul piano economico, ma anche per una diffusa crisi di governance di cui il Museo del Cinema è il triste emblema: alla Mole i conti sono in ordine, ma entrare nel terzo anno consecutivo senza un direttore non è sintomo di «normalità», neppure in una città anormale. Le criticità sono tante. Si va dalle nebbie profonde in cui sta scivolando il Museo della Resistenza fino allo scontro al vertice della Reggia di Venaria fra direttore e Cda. E dietro le criticità quasi sempre si intravvede l’ombra di una politica indecisa a tutto ma ansiosa d’accaparrarsi territori in un risiko che pencola fra l’atroce e il ridicolo.

Ok, non tutto è disastro. Funzionano lo Stabile, i Musei Reali, le Ogr, Artissima, e tante altre realtà virtuose, piccole e grandi. Ma in una città normale è normale che le cose funzionino. L’anormalità, della città e delle cose, sta nelle disfunzioni, e nelle loro cause. Lo sgoverno di troppe istituzioni culturali è soltanto l’apostrofo nero fra le parole «t’affondo». L’arroganza e la faciloneria della politica sono la febbre virulenta. Ma la malattia cronica è l’incontrollato ridursi delle risorse pubbliche. La supplenza delle fondazioni bancarie non basta più. Servirebbero anche gli sponsor privati: le aziende, i mecenati. A Milano abbondano. A Torino non ci sono. In compenso c’è Iren. In teoria Iren è un’azienda privata, quindi uno sponsor privato. In pratica, il Comune di Torino fino a un mese fa era l’azionista forte di Iren. E Iren è da tempo lo sponsor ineluttabile che finanzia le alzate d’ingegno dei sindaci di Torino. Luci d’Artista, Capodanno magico, Festival Jazz, Torino Estate Reale, Teatro Regio, Todays, persino i droni di San Giovanni e la Mole sberluccicante multicolor: a qualsiasi necessità o capriccio «culturale» di Fassino prima, e di Appendino poi, soccorre sollecita Iren.

In alternativa, o in nobile concorso, arriva Intesa San Paolo. Troppo facile trovare sponsor così, obiettava qualcuno: «Le grandi banche, quali Intesa San Paolo, e le aziende multiservizi quali Iren non godono di fatto di una completa autonomia decisionale e ciò fa sì che, tanto nel bene quanto nel male, le decisioni possano essere quantomeno addomesticate», scriveva l’8 maggio 2013 il consigliere d’opposizione Appendino in un post sul blog di Beppe Grillo. Quel post è stato rimosso. Il sindaco Chiarabella ha lestamente cambiato opinione sulle sponsorizzazioni di Iren e Intesa San Paolo. Adesso, però, il Comune di Torino ha svenduto una fetta consistente delle sue quote Iren. Adesso la maggioranza ce l’ha il Comune di Genova. Se è vero ciò che scriveva il consigliere Appendino nel 2013, è lecito temere che già nel 2019 Iren si scopra meno sollecita alle esigenze di Torino: perché sprecare soldi per illuminare la Mole? A Genova c’è la Lanterna: vista dal mare, tutta rossa o tutta blu, farà un figurone.

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