13 ottobre 2018 - 17:58

«Quelli del campo». Così i boss facevano affari coi biglietti della curva Juve

Motivazioni lunghe 335 pagine «Il business durava da anni»

di Massimiliano Nerozzi e Simona Lorenzetti

«Quelli del campo». Così i boss facevano affari coi biglietti della curva Juve
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Da quelli che il calcio, a «quelli del campo». Erano conosciuti così, negli ambienti della ‘ndrangheta piemontese, Saverio e Rocco Dominello, padre e figlio, boss condannati per associazione mafiosa nel processo d’Appello «Alto Piemonte» sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nel nord ovest e nella curva della Juve. Dove «campo — scrivono i giudici nelle 335 pagine delle motivazioni — è da intendersi come campo di calcio». Il campo dei bianconeri. I Dominello — secondo l’accusa, recepita dai giudici di primo e secondo grado — sono esponenti della cosca Pesce-Bellocco di Rosarno. Vasto il menù delle imputazioni, per 14 condanne totali: dall’associazione di stampo mafioso alle estorsioni, passando per possesso di armi e cessione di stupefacenti. Ma un capitolo è dedicato al «business» del calcio: anzi, del bagarinaggio della curva bianconera. Un quadro già delineato con il primo processo, ma che in Appello si è fatto ancora più completo, con la condanna di Fabio Germani (difeso dall’avvocato Michele Galasso), l’ex ultrà con contatti nel mondo juventino: assolto dal gup (in abbreviato), e ora delineato come il tramite tra ‘ndrangheta e dirigenti bianconeri (mai indagati). Per la ricostruzione fatta propria dai giudici, fu Rocco Dominello — difeso dagli avvocati Stefano Caniglia e Domenico Putrino — a monopolizzare il business del bagarinaggio dei biglietti per le partite della Juve, tra il 2013 e il 2014. Ed è proprio per questo, che Rocco e il papà Saverio vengono chiamati «quelli del campo», in un’intercettazione ambientale in carcere dei fratelli Crea, due «indiscutibilmente ai vertici del sodalizio ‘ndranghetista piemontese». Non ci sono dubbi — precisano le motivazioni, firmate dal consigliere estensore Silvia Perrucci e dal presidente Franco Greco — che tra i due boss si stesse parlando di calcio: poiché la chiacchierata riguardava una divisa della Juve «che doveva essere regalata a un appartenente alla famiglia Bellocco». Il documento ripercorre ovviamente episodi più classicamente criminali, ma risulta pure un compendio dei rapporti tra boss, tifoseria organizzata e dirigenza bianconera. Ed è qui, sopratttuto in relazione alla posizione chiave di Germani, che sposa quasi integralmente il senso dell’appello fatto dai pubblici ministeri Monica Abbatecola e Paolo Toso. Tra le pagine, si ricorda anche la richiesta di Rocco Dominello all’allora ad e direttore generale Beppe Marotta (anch’esso, mai indagato) di organizzare un provino per il giovane figlio di Umberto Bellocco. A supporto, l’ intercettazione in cui si sente un uomo, che ha appena spedito a Torino il curriculum del ragazzo, assicurare lo stesso Bellocco: «La richiesta che gli hanno fatto è che devono prenderlo e basta. Ok? Quindi devono prenderlo». Anche se poi, così non fu. Se, come sottolineato dal sostituto procuratore generale, Marcello Tatangelo, erano dieci anni che la ‘ndrangheta aveva allungato le mani sulla spartizione dei biglietti, è Rocco Dominello a fare bingo, nel 2012. Tra un «vuoto di potere», causa un’ondata di arresti, e l’influenza di Germani (condannato a quattro anni, cinque mesi e dieci giorni), il giovane boss si impose sui gruppi organizzati e prese il controllo. Sullo sfondo, c’è una Juve intimidita, quasi succube. Ma non senza dubbi, che però mai furono consapevolezza di chi si trovava davanti. Come da telefonata intercettata tra il responsabile della biglietteria, Stefano Merulla, e Germani: «(Dominello) l’hai portato tu, non io. Io non so che mestiere faccia, ma ho la percezione che abbia una influenza abbastanza forte all’interno della curva». E ne aveva, per un semplice motivo, spiegano i giudici: «il «metodo mafioso», che non era nemmeno necessario manifestare apertamente. Morale: il club forniva quote di biglietti ai gruppi ultrà, in cambio della pace all’interno dello stadio. Il contatto iniziale, sarebbe stato Germani: «Il mondo ‘ndranghetista piemontese lo conosceva anche come frequentatore della famiglia Agnelli».

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