Torino

Juve, cori razzisti e violenze: contro il club torinese il ricatto silenzioso degli ultrà

(agf)
Dai Drughi ai Viking, tutti uniti contro la nuova gestione dei biglietti e il divieto dei banchetti imposto ai gruppi di tifo organizzato: "Avanti finché la società non si ammorbidisce"
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Cori razzisti per far multare la Juventus e spingerla a rinunciare al “pugno duro” su biglietti e banchetti all’interno all’Allianz Stadium. Questa è la strategia varata dai capi dei gruppi ultrà bianconeri che dall’inizio del campionato hanno inasprito il conflitto con la società. La Juve è “rea”, nei comunicati ufficiali firmati dai “gruppi organizzati della curva sud”, di «aver aumentato i costi di biglietti e abbonamenti».

La minaccia della violenza, quella verbale ancor prima di quella fisica, incombe dalla curva della Juventus sulla società da alcuni mesi e, dopo lo sciopero del tifo e l’assenza degli ultrà al vernissage di Villar Perosa, nell’ultima partita in casa contro il Napoli sono arrivati i cori ormai “tradizionali” contro i partenopei, le invocazioni del Vesuvio e i boati razzisti contro il difensore Kalidou Koulibaly. E la politica, per quanto abbia un peso in certe dinamiche, in questa storia c’entra davvero poco. Le “intemperanze” intanto sono costate 10mila euro di multa alla società, ma soprattutto la squalifica per la prossima gara casalinga, quella con il Genoa, dei settori Tribuna Sud 1° e 2° anello dell’Allianz Stadium, quelli cioè occupati dai gruppi organizzati.

Potrebbe quasi sembrare un autogol quello degli ultrà. Peccato che Drughi e Bravi Ragazzi, al secondo anello, il Nucleo 1987, Tradizione Bianconera e Viking, al primo, avessero deciso che non ci sarebbero stati canti a sostegno della squadra. Eppure quando è stato il momento di cantare hanno trovato unità: prima un coro per il dimissionato amministratore delegato, Beppe Marotta, e poi il repertorio antinapoletano che sapevano non sarebbe passato inosservato alle orecchie dei funzionari della procura federale. Tra chi in curva ci va per fare il tifo è basta c’è stata qualche protesta, subito zittita con le minacce.

La parola ricatto non la pronuncia nessuno, ma dall’inizio del campionato il rapporto tra Juve e ultrà sembra essersi incrinato. E non è solo il costo dei biglietti al pubblico, aumentato con l’arrivo di Cristiano Ronaldo, ad aver fatto arrabbiare gli ultrà. Anzi, il problema vero riguarda le fonti di profitto dei gruppi organizzati: cioè le dotazioni di biglietti riservate a loro e poi vendute a prezzi maggiorati e il “merchandising” non ufficiale venduto dentro e fuori dallo stadio in banchetti, gestiti dagli ultrà, che fino all’anno scorso erano tollerati dalla società. «Io mi permetto di fare, purtroppo a malincuore, business. Ma questo io lo faccio non perché mi sei simpatico, semplicemente perché voglio la tranquillità. È inutile che ci nascondiamo: io voglio che voi state tranquilli e che noi stiamo tranquilli e che viaggiamo assieme» spiegava in una telefonata intercettata tre anni fa con Rocco Dominello, condannato in appello per associazione mafiosa, Alessandro D’Angelo, security manager della Juve.

Questo tipo di ragionamento però sembra non far parte del nuovo corso bianconero: dopo l’inchiesta Alto Piemonte sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella curva e le squalifiche decise dalla procura la società di Andrea Agnelli ha deciso di dare un giro di vite.

Anche se i capi storici della curva, che allo stadio non dovrebbero potersi nemmeno avvicinare perché colpiti da Daspo, continuano a gestire gli affari dei gruppi che fanno loro riferimento. È il caso di Dino Mocciola per i Drughi, da poco colpito da una sentenza della Cassazione che ha confermato la sorveglianza speciale perché secondo i giudici della Suprema corte «è stato interlocutore privilegiato della ‘ndrangheta al fine di concordare l’ingresso di un nuovo gruppo di tifosi nello stadio». Ma vale anche per Andrea Puntorno dei Bravi Ragazzi, vicino al clan mafioso Li Vecchi, che da qualche giorno è tornato dalla Sicilia per poter gestire da vicino questa nuova difficile fase. «Fino a che la Juve e la questura non cambiano idea su biglietti e banchetti la questione non si risolve – racconta uno storico ultrà bianconero – Possiamo essere distanti su tante cose, ma come gruppi su questo siamo d’accordo, ma ovviamente nessuno è obbligato a stare zitto e non cantare come noi continueremo a fare». Nessuno però si azzardi a chiamarlo ricatto.