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Camorra nella Marca, il patto tra casalesi e paramilitari croati

Spunta il nome di un altro trevigiano nell’inchiesta della Dia su Gaiatto e i suoi complici: è il 63enne Ferruccio Rumici

Marco Filippi
3 minuti di lettura

CASTELFRANCO. Il segno della croce indirizzato alle persone minacciate o frasi del tenore “siete morti che camminano” faceva parte del repertorio di minacce verso le vittime delle loro estorsioni. È quanto emerge sul sodalizio criminale che ha portato all’arresto, due giorni fa, di sette persone e alla denuncia di altre cinque con la pesante accusa di essere legati al clan camorristico dei Casalesi. In carcere con una posizione pesante dal punto di vista dell’accusa, oltre a Fabio Gaiatto, 43 anni, un broker di Portogruaro che è divenuto perno dell’inchiesta, è finito Francesco Salvatore Paolo Iozzino, 56 anni di Resana. Ma la lista dei veneti si arricchisce ora di altri nomi eccellenti finiti nell’inchiesta della procura distrettuale antimafia di Trieste. Sono quelli del trevigiano Ferruccio Rumici, 63 anni, indagato a piede libero per un episodio di tentata estorsione, e del carabiniere R.C., 48 anni residente a Portogruaro, indagato anche per abuso d’ufficio.

soldi da ripulire

L’indagine sulle estorsioni e minacce nel Nordest parte da un prologo. Alcuni esponenti del clan dei Casalesi avevano utilizzato il broker Gaiatto per investire in Croazia i soldi sporchi e farli rientrare in Italia puliti. Ad un certo punto, il sistema di investimenti milionari di Gaiatto s’era inceppato anche a causa di alcune denunce e presentate alle autorità croate da parte di tre imprenditori italiani e una commercialista croata. È a quel punto che viene pianificato un sistema di estorsioni aggravate dal metodo mafioso.

Il segno della croce

Metodi che lo stesso Gaiatto aveva, secondo le accuse, imparato dai suoi stessi clienti, dimostrandolo ad inizio anno quando, durante un incontro con due imprenditori italiani in Croazia, M.B. e M.C., che voleva costringere ad intestargli alcune auto di lusso, li minacciò, descrivendo con la mano, platealmente, il segno della croce e dicendo loro “siete due morti che camminano”. Gli incontri e le iniziative intimidatorie, secondo le indagini della Direzione investigativa antimafia di Trieste, avvenivano in clima di tensione quasi surreale. Come quello avvenuto negli uffici di una commercialista croata a Pola, presenti anche due imprenditori italiani, il 6 febbraio scorso e organizzato tra gli altri dal “trevigiano” Iozzino.

siamo i casalesi veri

In quell’occasione, Gennaro Celentano, uno dei sette destinatari della misura cautelare in carcere, si presenta come un appartenente al clan dei Casalesi usando le tipiche frasi della criminalità organizzata per intimidire i loro interlocutori: Noi siamo i Casalesi, quelli veri...Gaiatto ci ha detto che una parte dei soldi sono finiti sempre negli uffici di Pola. Siamo venuti a vedere se realmente i soldi sono finiti qui a Pola, li avete voi. Questi soldi servono per mantenere le nostre famiglie, siamo in tanti. E poi, dopo aver preso da parte uno dei due imprenditori, gli dice senza mezzi termini: ho bisogno di contanti, mi dovete dare centomila euro e alla richiesta di denaro accompagna anche la poco velata minaccia di sapere dove abita a Pola e dei movimenti della sua macchina.

Soldi agli scagnozzi

L’altro trevigiano, indagato a piede libero è Ferruccio Rumici, a fine anni Novanta amministratore unico di un’azienda di commercio di macchine con sede a San Fior. Rumici, in concorso con altri indagati, avrebbe tentato di far ritirare ad un imprenditore italiano, M.D., la propria denuncia alle autorità croate contro Gaiatto, da cui era conseguito il blocco dei contocorrenti delle società croate del broker. Come? Pianificando, secondo gli investigatori, un ’attività di pesantissime intimidazioni nei confronti dell’imprenditore in questione, attraverso l’opera di ex combattenti croati, attivati da ambienti camorristici, per costringerlo appunto a ritirare la denuncia contro il broker. Per questo Gaiatto in segno di ricompensa avrebbe promesso loro circa un milione di euro: Se tiro su 12 milioni, dico una monata, se me ne tira su anche dieci, darvi un dieci, darvi un milione, ve lo giuro, non ho problemi perché per me erano ormai soldi persi.

Il ruolo dell’ex agente

Nel calderone degli indagati, nell’inchiesta della Dia di Trieste c’è anche un ex poliziotto di Udine. Un agente della squadra mobile, da tempo in pensione, che – stando ad alcune conversazioni intercettate dagli investigatori – sarebbe stato proprio lui a proporre al trader portogruarese il ricorso alle maniere forti. Il cosiddetto “Piano B”, da cui il nome dell’operazione della Direzione investigativa antimafia di Trieste, culminata negli arresti e nelle perquisizioni di martedì. Il poliziotto in questione è Gaetano Monetti, 61 anni, originario di Napoli, residente a Udine e domiciliato a Trieste: sarebbe stata sua l’idea di affidare ad un paio di ex combattenti, entrambi croati e «attivati da ambienti camorristici», il compito di convincere l’uomo che, con la sua denuncia, aveva determinato il blocco delle disponibilità economiche di Gaiatto, a tornare sui propri passi. Non una trattativa, quella immaginata dall’ex poliziotto, insieme a Salvatore Biscozzi, 56 anni, di Milano, e al trevigiano Rumici, ma un vero e proprio atto di forza.

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