I soldi dei clan investiti nelle scommesse: se il gioco frutta più della droga

Il procuratore di Catanzaro: «Oggi c’è un monopolio della ‘ndrangheta in questo settore al punto che i capi ‘ndrina pretendono di gestire da soli il gioco on line» - Antonio Crispino (seconda puntata di tre) /Corriere TV

Paolo Di Lauro, meglio noto come Ciruzzo ‘o milionario, capo indiscusso della camorra napoletana, agli inizi del 2000 convoca un suo collaboratore e gli dà un mandato esplorativo: capire se continuare a investire in stupefacenti e nel mercato della contraffazione o diversificare nelle scommesse. Dà al suo affiliato un paio di settimane per rispondere. Siamo nel 2002, i volumi delle puntate non hanno ancora raggiunto quota 100 miliardi di euro come nel 2017. Il collaboratore di Di Lauro torna dal capo dopo un giro di consultazioni con i capizona di mezza Napoli e gli dà risposta negativa. «Niente da fare, è un mercato difficile, ci sono troppi controlli, meglio lasciar perdere e continuare a puntare sulla cocaina».
Lui, invece, i suoi soldi li investe di nascosto nel gioco, iniziando a prendere contatti con programmatori, gestori, esercenti e sale scommesse. Quel collaboratore si chiama Antonio Leonardi, oggi pentito, ed è lui stesso a raccontarlo agli inquirenti che lo interrogano sugli interessi della camorra nel settore del gambling. Il suo metodo si chiamava Goldrex, creato insieme a un certo Antonello, un programmatore siciliano nella disponibilità di Renato Grasso, uno dei primi imprenditori a fare affari contemporaneamente con camorra e mafia siciliana, solo grazie al gioco. Il sistema di Leonardi non era altro che un computer collegato a una rete illegale di scommesse on line con server all’estero. Sarebbe stato copiato da tutta la criminalità organizzata, nonostante i suoi disperati tentativi di tenerlo riservato.


Il nuovo trend economico-mafioso
In diciott’anni quello che poteva sembrare un investimento azzardato per un criminale è diventato un trend economico-mafioso. Lo cristallizza bene il procuratore aggiunto di Catanzaro Vincenzo Luberto: «Abbiamo segnali di persone che dacché operavano nel mercato degli stupefacenti ora investono nel mondo dei giochi perché più redditizio. Anzi, oggi c’è un monopolio della ‘ndrangheta in questo settore al punto che i capi ‘ndrina pretendono di gestire da soli il gioco on line».
Gli Arena o i Grande Arachi, ad esempio. Che non si limitano a controllare le aperture di nuove agenzie di scommesse o chiedere il pizzo su ogni slot machine installata nei bar. Capiscono che all’estero si può creare una rete parallela più sicura. Scelgono Malta: vicina all’Italia, migliore tassazione, meno controlli, licenze più facili da ottenere, maggiore guadagno (gli Arena riescono a incassare 1,3 milioni di euro in soli due anni). La Commissione bicamerale di inchiesta sul fenomeno delle mafie lo scorso dicembre ha lanciato un nuovo allarme: «La criminalità mafiosa ha operato enormi investimenti, acquisendo e intestando a prestanome sale deputate al gioco, ma anche inserendosi nell’organigramma delle società di gestione degli esercizi deputati al gioco. Si tratta di interferenze mafiose che talvolta lambiscono anche le stesse società concessionarie».


Il cambio di business della famiglia Femia
Altro esempio emblematico di questo cambio di rotta è quello dei Femia, una famiglia di ‘ndrangheta da sempre protagonista del narcotraffico dal Sudamerica. Con Rocco Nicola Femia il business si orienta quasi esclusivamente sull’installazione di slot machine, la produzione di software da intrattenimento e il controllo delle sale giochi. Individua l’imprenditore del settore che in quel momento ha maggior successo, Luigi Tancredi, detto il «re del poker», e gli commissiona software con indicazioni ben precise. Crea una rete di persone a libro paga dell’organizzazione mafiosa tra cui un poliziotto di Reggio Calabria, un ufficiale della Guardia di Finanza, un cancelliere della Corte di Cassazione. Personaggi che Femia stipendiava per evitare i controlli nelle sue sale scommesse o avere informazioni sulle indagini che lo riguardavano. Tutti condannati in primo grado. Anche come commercialista si sceglie un ex finanziere. E quando dei suoi affari scrive un giornalista come Giovanni Tizian progetta di eliminarlo «sparandogli in bocca».

In quel periodo la Electronic System, società produttrice di schede di gioco che Femia utilizza per dominare il settore delle slot machine, ha una flessione di vendite. Subisce la concorrenza della Nazionale Elettronica. Ma proprio in quel momento iniziano una serie di sequestri ai danni di quest’ultima. «Per quello che so Femia ha pagato cento euro per ogni scheda sequestrata alla concorrenza» racconta un suo ex collaboratore che sceglie di mantenere l’anonimato. Quella società in crisi diventa leader nel settore. Nel 2016 è stata acquistata dalla Novomatic, il maggior gruppo operante nel gaming in Europa fondato da Johann Graf, l’imprenditore dei giochi più ricco del mondo secondo Forbes. «Novomatic può con certezza affermare che successivamente all’acquisto di Electronic System S.p.A, l’esame dei crediti effettuato sui singoli fornitori, ha fatto riscontrare delle anomalie, contrarie alle nostre policies, per cui non solo sono stati interrotti i rapporti commerciali con i clienti ma, a tutela del Gruppo, si è convintamente ritenuto di adire alle vie legali ove ritenuto necessario» fanno sapere dalla Novomatic Italia. Tra queste società con cui la Novomatic ha interrotto i rapporti, ci sono quelle riconducibili ai familiari di Franco Femia, fratello del collaboratore di giustizia Rocco, che - a quanto pare - ha portato avanti gli affari di famiglia anche dopo il pentimento del parente.


La ricerca dei softwaristi
Il gaming, soprattutto on line, richiede figure tecniche qualificate, non si può improvvisare. Ed ecco che come i narcotrafficanti hanno bisogno dei broker, ossia intermediari per far incontrare domanda e offerta, così le mafie oggi sono alla costante ricerca di softwaristi, programmatori che riescono a collegare il giocatore con piattaforme illegali senza passare per il controllo dello Stato. Eppure, proprio questo è il punto debole di ogni investigazione. Lo conferma lo stesso Luberto: «Non abbiamo avuto modo, tempo e forza di capire coloro i quali elaborano i software illegali che poi rivendono alla criminalità organizzata». Non c’è un nucleo investigativo dedicato e il più delle volte gli inquirenti sbattono il muso contro le legislazioni di Paesi esteri. E’ capitato recentemente agli uomini della Direzione Investigativa Antimafia allorquando hanno bussato alla porta di una società inglese che si chiama Skrill Limited Ltd. E’ specializzata in pagamenti digitali, utilizzati soprattutto per depositare soldi sui conti gioco on line. «Alla richiesta del personale della Direzione Investigativa Antimafia di fornire indicazioni sull’identità dei titolari di alcune carte Skrill incrociati durante l’attività di indagine, la società britannica ha risposto che non è possibile fornire alcuna indicazione in merito».


Pene irrisorie
«E’ più sicuro del traffico di droga, richiede una filiera più corta e soprattutto pene irrisorie, nemmeno paragonabili a quelle per traffico di stupefacenti. Ai boss conviene», dice Carlo Cardillo, maggiore dello Scico (Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata) della Guardia di Finanza. Del resto, la stessa Commissione Antimafia nella sua relazione finale del 2017 ha ammesso: «Il lavoro d’inchiesta ha rilevato che l’accertamento delle condotte illegali è alquanto complesso e le conseguenze giudiziarie sono piuttosto contenute in ragione di un sistema sanzionatorio, quale quello vigente, che a causa di pene edittali non elevate per il reato di gioco illecito, non permette l’utilizzo di più efficaci sistemi d’indagine ed è presto destinato alla prescrizione». C’è un nome che ai più non dirà nulla, ed è Mario Gennaro. Negli ambienti criminali è noto come il «superpentito», una sorta di Tommaso Buscetta del gambling. Era l’uomo della ‘ndrangheta a Malta con il compito di ripulire il denaro sporco attraverso i siti di poker e scommesse. A gennaio scorso è stato condannato, a distanza di tre anni dall’arresto: 4 anni di reclusione.

Nella prossima puntata, invece, vedremo nel dettaglio come si costruisce un’offerta di gioco illegale: dalla creazione di un sito on line alla raccolta illegale di scommesse tramite i cosiddetti “totem”.

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