La panoramica del calcio italiano nell'ultimo decennio, è assolutamente al di sotto di tutte le aspettative ma questa è una cosa risaputa da tutti. Se ripensiamo al mondiale di Sudafrica 2010, dove da campioni mondiali in carica siamo stati eliminati ai gironi, ai mondiali 2014 dove le aspettative dopo il 2 a 1 sull'Inghilterra ci aveva proiettato al settimo cielo, per poi finire battuti da una squadra come il Costa Rica, debuttante ai mondiali che ci ha insegnato come la consapevolezza di un intera formazione di essere su un palcoscenico importante a volte vince sulla qualità tecnica. Infine la tragedia di quel 13 novembre che ci vide perdere contro la Svezia nella doppia sfida, altra squadra che contro di noi non ha avuto timore, perchè più di noi era consapevole di aver di fronte una possibilità unica davanti. GLi unici due squilli sono stati i due europei del 2012 e del 2016 dove con una finale persa per 4 a 0 contro le furie rosse spagnole, battute poi all'europeo successivo con una partita magistrale quanto come quella successiva contro la Germania persa ai rigori, dove forse potevamo gioire un po' di più in casa dei nostri cugini, chissà.

In tutto questo sunto troviamo un comune denominatore, ovvero nelle sconfitte più brucianti e nei due europei del nostro movimento calcistico, c'è una motivazione che spinge un calciatore aldilà delle sue capcità tecniche ovvero la voglia di riuscire a scrivere il proprio nome nella storia, invece che a pensare al portafoglio. Questo aspetto in Italia si sta perdendo sempre più, la maggior parte dei calciatori ormai sono invasi dai soldi di squadre e sponsor usando il proprio nome come mezzo di marketing, non si parla solo di campionissimi, ma se pensate anche solo alla meteora Hachim Mastour, che venne sovrastato dalla fama ancora prima di scendere in campo. Questo a tolto tutto ciò che il calcio significa e trasmette, la voglia di primeggiare, di fare qualcosa di importante, ormai i calciatori anche se non vincono qualcosa percepiscono milioni, non c'è più la lotta di una volta per arrivare ai vertici di questo sport, non c'è più quella voglia di essere sempre il migliore. 

Un altro aspetto importante sono le scuole calcio, che a mio modesto parere sono troppo complesse, i ragazzini vengono presi e inondati di tattica e la tattica (come si imputava a Sacchi) non si sposa bene con la fantasia. Le società ormai si stanno avvicinando sempre più ad una scuola vera e propria insegnando il calcio teoricamente, non più praticamente senza lasciare sfogo alla gioia e al talento di un ragazzino che tenta di praticare lo sport che lo diverte.

Infine, con l'incremento dell'urbanizzazione gli spazi e i campi per giocare una semplicissima partita di pallone si sono ridotti se non azzerati, chiunque abbia vissuto l'adolescenza o l'infanzia dai primi anni 2000 in giù, oltre alla scuola calcio andava a fare le partite nella piazzetta o nel campo del quartiere, dove bastava essere in numero pari per fare due squadre e qualche zaino o ciabatte o qualsiasi cosa che poteva segnare il "palo" della porta se nei paraggi non ci sono porte già fatte. Tutto questo avvicinava la gente al calcio, lasciava libertà ai ragazzini di praticarlo sempre anche al di fuori di una partita ufficiale e soprattutto dava loro la possibilità di dare libero sfogo alla fantasia, perchè è quello che al calcio italiano manca, il guizzo, la giocata di un fantasista che a volte non segue la tattica, ma che comunque è molto più efficace e rende imprevedibile uno schema tattico.