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I. SAGGI Il patrimonio fondiario della SS. Annunziata di Sulmona (1376 - 1861) di ALBERTO TANTURRI 1. Le origini dell’ospedale e le sue finalità istituzionali Se l’esperienza di vari paesi europei nel settore dell’assistenza vede prevalere, alternativamente, l’impronta laica o quella ecclesiastica, un elemento caratteristico delle istituzioni assistenziali italiane di antico regime è la frequente coesistenza di entrambe le matrici all’interno dei singoli enti caritativi1. Da un lato, tale ambivalenza appare l’effetto di uno sforzo comune, volto a contenere la pressione sociale dei fenomeni di pauperizzazione, che, in maniera del tutto imprevedibile, potevano subire accentuazioni pericolose e drammatiche. Per un altro verso, dato che molti istituti si trovarono a gestire patrimoni ingenti, sia in termini di beni immobili che di ricchezza mobiliare, il loro controllo consentiva di esercitare ampi poteri: per questa ragione le cariche direttive furono presto considerate fonti indiscusse di prestigio sociale. Agli originari intenti caritativi e filantropici vennero così sovrapponendosi istanze di controllo e gestione di cospicui patrimoni, condivise tanto dagli esponenti del mondo laico che ecclesiastico. Le due anime si intrecciarono, in tal modo, nella direzione dei sin- 1 Cfr. M. ROSA, Chiesa, idee sui poveri e assistenza in Italia dal Cinque al Settecento “Società e storia” III(1980) n. 10, pp. 775-806, qui 780-781; G. MUTO , Forme e contenuti economici dell’assistenza nel Mezzogiorno moderno: il caso di Napoli in G. POLITI – M. ROSA – F. DELLA PERUTA (edd.) Timore e carità. I poveri nell’Italia moderna, Atti del convegno “Pauperismo e assistenza negli antichi stati italiani” (Cremona 28-30 marzo 1980) “Annali della biblioteca statale e libreria civica di Cremona” XXVII-XXX (1976-1979) pp. 237-258, qui 243ss; A. PASTORE , Strutture assistenziali fra Chiesa e Stati nell’Italia della Controriforma in Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1986, Annali, IX, pp. 431-465, qui 433-434; M. CAMPANELLI , Chiesa ed assistenza pubblica a Napoli nel Cinquecento in L. DE ROSA (ed.) Gli inizi della circolazione della cartamoneta e i banchi pubblici napoletani nella società del loro tempo (1540-1650), Napoli, Istituto Banco di Napoli, 2002, pp. 143-168, qui 165-166. 7 goli istituti, su uno sfondo talora di sintonia ma più spesso di concorrenza quando non di aperto contrasto. Quanto finora detto trova un preciso riscontro nel caso dell’ospedale della SS. Annunziata di Sulmona, che, fondato nel 1320, racchiude nel suo stesso atto d’origine i segni di un’ambigua natura che per lungo tempo ne avrebbe caratterizzato la storia. L’ospedale nacque infatti per l’iniziativa congiunta di un sodalizio laicale, la Confraternita dei Compenitenti, e del vescovo Andrea Capograssi, le cui origini salernitane e le riconosciute competenze in campo medico certamente concorsero ad incentivare i progetti assistenziali2. Per la verità, i poteri del presule sembrano, almeno in questa fase aurorale, prevalenti: gli ospedali erano del resto loci religiosi, e, come tali, soggetti alla giurisdizione dell’ordinario. Era dunque il vescovo che controllava l’amministrazione, approvava la nomina dei governatori, dirimeva le controversie, incentivava i lasciti dei benefattori privati. Il peso delle autorità ecclesiastiche nella vita del nascente istituto si accentuò peraltro nei mesi seguenti: nel gennaio 1321 l’ospedale fu acquisito infatti dall’ordine dei Gerosolimitani o Cavalieri di S. Giovanni, depositari di una autorevole e già lunga tradizione nel campo della pubblica assistenza3. Il controllo dei Gerosolimitani sull’ospedale non fu d’altra parte durevole, e senza dubbio si era già estinto nel 1372: sappiamo infatti che 2 L’atto di fondazione dell’Annunziata, rogato il 10 marzo 1320 dal notaio Barnaba Gualtieri, è riprodotto integralmente in N. F. F ARAGLIA, Codice diplomatico sulmonese (ed. G. P AP PONETTI ) Sulmona, Comune di Sulmona, 1988 (prima edizione: Lanciano, Carabba, 1888), pp. 149-152. Cfr. anche C. ALICANDRI CIUFELLI , La Casa Santa dell’Annunziata di Sulmona. L’assistenza ai poveri e agli infermi, Roma, Istituto di Storia della medicina dell’Università di Roma, 1960, p. 4ss. Sulla Confraternita dei Compenitenti si veda invece G. CELIDONIO , La diocesi di Valva e Sulmona, Sulmona, La Moderna, s.d. (ristampa anastatica dell’edizione originale: Sulmona, Tipografia Editrice Sociale, 1912) vol. IV, p. 115. Per altri casi di ospedali nati dall’iniziativa di confraternite di laici, cfr. G. VITOLO – R. D I MEGLIO , Napoli angioino-aragonese. Confraternite ospedali dinamiche politico-sociali, Salerno, Carlone, 2003, pp. 44, 80, 86-87. Il vescovo Andrea Capograssi era stato allievo della Scuola medica salernitana, ed aveva assistito “medicinalis curis” persino Carlo, figlio del re di Sicilia Roberto d’Angiò: cfr K. E UBEL , Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, Monasterii, Sumptibus et Typis Librariae Regensbergianae, 1898, vol. I, p.543. Per alcuni cenni sul suo episcopato, si vedano F. UGHELLI , Italia sacra sive de episcopiis Italiae , Venetiis, Apud Sebastianum Coleti, 1717, vol. I, col. 1374; A. CHIAVERINI , La diocesi di Valva e Sulmona, Sulmona, Accademia cateriniana di Cultura, 1977, vol. V, pp. 43-52. 3 L’atto di soggezione dell’Annunziata all’ordine dei Gerosolimitani è analizzato in C. ALI CANDRI CIUFELLI , La Casa Santa dell’Annunziata di Sulmona, cit., p. 10ss. Sui Gerosolimitani, si veda C. T OUMANOFF , Sovrano militare ospedaliero ordine di Malta in G. PELLICCIA – G. ROCCA (edd.) Dizionario degli istituti di perfezione , cit., VIII (1988), coll. 1934-1944; G. D OTTI , Documenti della Biblioteca nazionale di Valletta per la storia dei Gerosolimitani “Rassegna degli Archivi di Stato” 43(1983) pp. 21-31; G. VITOLO – R. D I MEGLIO , Napoli angioino-aragonese. Confraternite ospedali dinamiche politico-sociali, cit., pp. 84-86. 8 a quella data il governo dell’istituto era affidato a quattro amministratori laici eletti dall’università, e che tale sistema vigeva da lungo tempo4. L’eterogeneità delle forze sociali che diedero vita all’istituto non inficiò d’altra parte la coerenza del progetto assistenziale che trovava espressione in esso. Come tutti gli ospedali coevi, anche quello sulmonese nacque “pro substentatione pauperum et infirmorum”5, coniugando dunque ad una funzione propriamente terapeutica un ruolo assistenziale che si sarebbe estrinsecato in varie e molteplici forme di carità. L’iniziativa della fondazione si prefisse inoltre lo scopo di creare un ente ben organizzato, finanziariamente solido, che potesse dare una risposta valida ai crescenti bisogni della popolazione urbana e rurale, afflitta da ricorrenti fenomeni di pauperizzazione. Fino al 1320, la pubblica assistenza, in ambito locale, si presentava frammentata in una serie di piccole strutture con limitate potenzialità ricettive. Le fonti attestano la presenza di tre ospedali urbani (S. Agata, S. Panfilo e S. Antonio de Vienda) e di due al di fuori delle mura (S. Giacomo della Forma e S. Maria di Roncisvalle). Non abbiamo ulteriori notizie su questi istituti, ma si trattava verosimilmente di strutture di modeste dimensioni, in cui operava personale scarso e poco qualificato, e con una capacità ricettiva limitata a pochissimi degenti6. Si aveva in essi, inoltre, quella promiscuità funzionale a cui abbiamo accennato: oltre a malati veri e propri, essi ospitavano viandanti, pellegrini e marginali di ogni sorta. L’ospedale dell’Annunziata nacque invece con un profilo più elevato: nella sua erezione furono infatti coinvolte la massima autorità religiosa cittadina e una confraternita laicale da tempo operante nel settore della pubblica beneficenza. L’ospedale, inoltre, prima ancora di assumere le forme monumentali che avrebbe acquisito a partire dal XV secolo, sorgeva già nel cuore del centro abitato, lungo la principale via cittadina, quasi a suggellare simbolicamente il suo ruolo istituzionale autorevole e prestigioso7. 4 Cfr. in proposito una bolla del vescovo della Sabina Filippo Cardia, legato a latere della Sede apostolica per il Regno di Sicilia citra et ultra farum, datata 24 maggio 1372, riprodotta in N. F. F ARAGLIA, Codice diplomatico sulmonese , cit., p. 152ss. 5 Ibidem. 6 Sugli antichi ospedali sulmonesi, cfr. G. CELIDONIO , La diocesi di Valva e Sulmona, cit., vol. I, p. 146; vol. IV, pp. 118-139; C. ALICANDRI CIUFELLI , Ospedalità a Sulmona, Roma, Istituto di Storia della medicina dell’Università di Roma, 1960; E. MATTIOCCO , Struttura urbana e società della Sulmona medievale , Sulmona, Labor, 1978, pp. 41-42 e 81-82; I D., Sulmona. Città e contado nel catasto del 1376, Pescara, Carsa, 1994, pp.134-135. 7 Sulla collocazione degli ospedali nel centro delle città (non di rado accanto al palazzo municipale o nella piazza principale) cfr. M. B ERENGO , L’Europa delle città. Il volto della società urbana europea tra Medioevo ed Età moderna, Torino, Einaudi, 1999, pp. 615-616; E. D IANA, Il patrimonio immobiliare cittadino dell’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze tra XIV e XV secolo “Archivio storico italiano” CLXI (2003) pp. 425-454, qui 426. Sugli aspetti architettonici del- 9 Sotto il profilo patrimoniale, d’altronde, l’istituto cominciò ben presto ad accumulare ingenti risorse, tanto da risultare già molto ricco nel 1372, a distanza di pochi decenni dalla sua fondazione8. Tale incremento era imputabile soprattutto alle oblazioni e ai lasciti dei fedeli che in gran numero frequentavano la chiesa, grazie alle indulgenze opportunamente concesse dalle autorità ecclesiastiche9. A queste ultime si sovrapposero poi parallele concessioni da parte dei poteri laici, che sarà opportuno richiamare brevemente. Il 3 agosto 1442, Alfonso I d’Aragona accordò in perpetuo l’esenzione della chiesa e dell’ospedale da ogni imposta di qualunque genere, tanto ordinaria quanto straordinaria10. Il 16 ottobre 1484, Giovanna I d’Aragona autorizzò la cessione all’ente della ricca eredità di Jorio di Antonello, ponendo alcuni vincoli per l’utilizzo delle relative somme, e donò all’ente stesso la chiesa di S. Sebastiano, (oggi S. Rocco) sita nella piazza maggiore della città11. Il 18 marzo 1495, infine, il sovrano francese Carlo VIII di Valois, all’indomani della sua effimera e contrastata invasione del Regno di Napoli, e nel contesto di una serie di Capitoli di grazie in favore della città, esentò tutto il patrimonio armentizio della SS. Annunziata dal pagamento della fida, ossia dell’affitto annuale che i proprietari di pecore dovevano pagare alla Dogana di Foggia per il pascolo nel Tavoliere nei mesi invernali12. l’Annunziata, considerata uno dei più significativi esempi di architettura civile nel Quattrocento meridionale, cfr. P. PICCIRILLI , Monumenti abruzzesi. Il palazzo della SS. Annunziata in Sulmona “Rassegna d’arte” luglio-agosto 1919 (ristampa anastatica dell’estratto, S. Giovanni in Persiceto, Farap, 1985); R. G IANNANTONIO , Il palazzo della SS. Annunziata in Sulmona, Pescara, Carsa, 1996; I D., La SS. Annunziata di Sulmona nella letteratura architettonica, S. Salvo, (CH) Di Rico, s.d., nonché le originali osservazioni di U. O JETTI , Una settimana in Abruzzo nell’anno 1907, Cerchio, (AQ) Polla, 1999, p. 69. 8 Cfr. il documento citato alla nota 4, secondo cui la chiesa dell’Annunziata “in magnis redditibus, proventibus et emolumentis abundat”. 9 Tra queste, va ricordata l’indulgenza speciale concessa l’8 agosto 1382 da Urbano VI ai fedeli che avessero visitato la chiesa nel giorno di Natale. Sempre Urbano VI, con due lettere del 19 e 23 novembre 1382, autorizzava l’abate della badia celestiniana di S. Spirito a pronunciare la scomunica contro i detentori di beni dell’Annunziata che si rifiutavano di restituirli: cfr. A. CHIAVERINI , La diocesi di Valva e Sulmona, cit., vol. V, rispettivamente pp. 207 e 212. 10 Cfr. N. F. F ARAGLIA, Codice diplomatico sulmonese , cit., p. 336. Per alcuni esempi di esenzioni fiscali concesse alle opere pie, cfr. I. PASTORI B ASSETTO , Fiscalità e opere pie a Padova nei secoli XVI-XVIII in A. PASTORE – M. G ARBELLOTTI (edd.) L’uso del denaro. Patrimoni e amministrazione nei luoghi pii e negli enti ecclesiastici in Italia (secoli XV-XVIII) Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 63-88. 11 La sovrana subordinava il suo generoso gesto alla condizione che i frutti dell’eredità venissero impiegati in opere di beneficenza “et non in cose vane come sono correre de palii, piferi, trompecti et altri soni”: cfr. E. MATTIOCCO , La giostra cavalleresca di Sulmona, Sulmona, Comune di Sulmona, 1985, p. 30. Il coinvolgimento dell’Annunziata nell’organizzazione delle antiche giostre cittadine suona peraltro come indiretta conferma delle sue ragguardevoli disponibilità economiche. 12 Cfr. C. ALICANDRI CIUFELLI , La Casa Santa dell’Annunziata di Sulmona, cit., pp. 14-15. 10 L’incremento patrimoniale goduto dalla SS. Annunziata attribuì ad essa un ruolo ormai preminente nel sistema ospitaliero cittadino. Di ciò testimonia anche l’incorporazione al pio istituto della chiesa ed ospedale di S. Maria di Roncisvalle, compiuta con un breve papale del 9 agosto 1392. Tale episodio si inscriveva in quel diffuso fenomeno di fusione in un solo ospedale grande di vari piccoli istituti, che costituisce uno dei più qualificanti aspetti della storia ospitaliera del Tre e Quattrocento. Nel caso concreto, esso garantiva alla SS. Annunziata maggiori disponibilità economiche, ponendola in condizione di svolgere un’assistenza più efficiente e diversificata13. Alle originarie, e mai abbandonate, funzioni nosocomiali andarono infatti aggiungendosi varie altre iniziative. Nel 1489 venne istituito un Monte frumentario, con cui la SS. Annunziata si apriva alle esigenze dei ceti rurali, perpetuamente esposti al rischio della fame per effetto di calamità o di raccolti scarsamente favorevoli14. Nel 1532 fu aperto un brefotrofio, per dare una risposta all’increscioso fenomeno dell’abbandono di neonati, le cui proporzioni erano in preoccupante crescita15. A complemento di tale iniziativa, nel 1630 fu inaugurato il conservatorio dei SS. Cosimo e Damiano, che trovò sede in un edificio adiacente, destinato ad accogliere le ragazze esposte dalla prima adolescenza fino al matrimonio16. Nel 1628, infine, grazie al lascito della nobildonna Ippolita del Conchione, l’Annunziata aprì una pubblica scuola con lo scopo di impartire l’istruzione elementare ai figli dei ceti meno abbienti17. 13 Sull’incorporazione della chiesa di S. Maria di Roncisvalle all’Annunziata, cfr. A.CHIAVE La diocesi di Valva e Sulmona, cit., vol. V, pp. 224-226; E. MATTIOCCO , Struttura urbana e società della Sulmona medievale , cit., p. 81. Sulle “concentrazioni” ospedaliere, premessa di una più vasta riforma dell’assistenza, cfr. G. COSMACINI , Storia della medicina e della sanità in Italia dalla peste europea alla guerra mondiale 1348-1918, Bari, Laterza, 1987, p. 53ss; A. PASTORE , Gli ospedali in Italia fra Cinque e Settecento: evoluzione, caratteri, problemi in M. L. B ETRI – E. B RESSAN (edd.) Gli ospedali in area padana fra Settecento e Novecento, Atti del III Congresso italiano di storia ospedaliera. Montecchio Emilia, 14-16 marzo 1990, Milano, Angeli, 1992, pp. 71-87, qui 71; I D., Usi ed abusi nella gestione delle risorse (secoli XVI- XVII) in A. PASTORE – M. G ARBELLOTTI (edd.) L’uso del denaro , cit., pp. 17-40, qui 17. Per i risvolti urbanistici di tale fenomeno, cfr. M. B ERENGO , L’Europa delle città. Il volto della società urbana europea tra Medioevo ed Età moderna, cit., pp. 608-609. 14 Gli statuti del Monte frumentario furono redatti dal conventuale Andrea da Faenza, che fondò a Cremona nel 1493 un’istituzione analoga: cfr. G. PANSA, I primitivi capitoli del Monte della Pietà del Grano di Sulmona, Firenze, Tipografia della Pia Casa di Patronato, 1890, p.6. 15 Cfr. A. TANTURRI , L’infanzia abbandonata a Sulmona nel XVIII secolo , “Ricerche di storia sociale e religiosa” XXXII (2003) n. 64, pp. 149-179. 16 Cfr. R. CARROZZO , Carità ed assistenza pubblica a Sulmona. Il conservatorio di san Cosimo , Sambuceto (CH), Brandolini, 2005. 17 Cfr. E. MATTIOCCO , L’insegnamento pubblico a Sulmona nel XVI e XVII secolo “Bullettino della Deputazione abruzzese di storia patria” LXXII (1982), pp.279-299; A. TANTURRI , La RINI , 11 Nel quadro di una più ampia indagine sulla struttura patrimoniale dell’istituto sulmonese, il presente lavoro si pone l’obiettivo di metterne a fuoco il possesso fondiario. In particolare, si cercherà di valutare l’estensione dei terreni dell’Annunziata e la sua evoluzione nel tempo, i modi di gestione dei fondi, la ricchezza che producevano e l’incidenza di quest’ultima sulla rendita globale. 2. Estensione del possesso fondiario: evoluzione storica Il primo nucleo di beni fondiari dell’Annunziata si era già costituito a distanza di pochi decenni dalla sua fondazione. Come può infatti rilevarsi dal catasto sulmonese del 1376, (si veda la tabella I) i terreni dell’istituto coprivano a quella data una superficie complessiva di 19,95 ettari18. Il possesso era frazionato in 28 unità colturali, con un’estensione media di 0,71 ettari. Più in dettaglio, come può evincersi dalla tabella II, il 50% dei terreni aveva una grandezza fino ad un ettaro, solo il 17,86% arrivava a due, e la restante, esigua porzione superava tale misura. Il dato più evidente è pertanto quello della frammentazione della proprietà in numerose particelle di piccole dimensioni. Poiché tuttavia non siamo informati sulle modalità di acquisizione dei terreni, (non sappiamo cioè in che misura essi derivassero da donazioni o da atti di compravendita) non possiamo neppure stabilire se ciò fosse il risultato di una scelta gestionale o il casuale esito di una serie di lasciti. Quanto poi all’ubicazione dei terreni, può notarsi come essi fossero situati tutti nelle immediate adiacenze della città, con una maggiore concentrazione nell’area a settentrione, in contrade quali “le Cerqueta”, “plana Sancti Felicis” e “Baracta” (verso Pratola Peligna) pubblica istruzione a Sulmona in età moderna “Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche” 13 (2006), in corso di pubblicazione. 18 Cfr. Museo Civico di Sulmona, Catastum bonorum omnium stabilium hominum civitatis Sulmone [1376], cc. 612-613. Ringrazio il direttore del museo, dottor Ezio Mattiocco, per avermi consentito la consultazione del catasto. Le unità di misura utilizzate in tale fonte, così come in tutti i cabrei che abbiamo esaminato, sono quelle anticamente vigenti nella zona, e tuttora in uso fra gli agricoltori: l’opera, suddivisa in 16 centenara, e questa a sua volta in 100 viti. Vale la pena notare come le unità di misura della valle Peligna, a differenza di quelle in uso nel resto dell’aquilano, siano modellate sullo spazio necessario alla coltivazione della vite, che è da sempre la coltura prevalente nella zona: cfr. L. SUSII, Memoria sulla viticoltura nella vallata di Solmona, in Atti della Giunta per la Inchiesta Agraria sulle condizioni della classe agricola, vol. XII, fasc. II, Roma, Forzani e C. Tipografi del Senato,1885, pp. 39-48, qui 39. Quanto poi alle equivalenze di tali misure con quelle metrico decimali, si tenga presente che un’opera equivale a 0,2422 ettari: cfr. Circondario di Solmona – Quadro di ragguaglio delle misure secondo il sistema metrico decimale colle antiche legali ed abusive già in uso nei comuni del circondario, Torino, Dalmazzo, 1863. Sulla persistenza, in molte zone della penisola, delle unità di misura predecimali, cfr. U. T UCCI, Pesi e misure nella storia della società in Storia d’Italia, I documenti, V/1, Torino, Einaudi, 1973, pp. 583-612, qui 585. 12 Tabella I - Estensione dei fondi rustici dell’Annunziata Anno 1376 1576 1619 1702 1744 1790 Estensione complessiva (in ettari) 119,95* 109,62* 229,43* 486,66* 567,92* 559,58* Numero delle proprietà 28 77 104 218 240 400 Estensione media (in ettari) 0,71 1,42 2,20 2,23 2,36 1,39 Fonti: Museo Civico di Sulmona, Catastum bonorum omnium stabilium [1376]; SASS, Archivio Civico Sulmonese, Catasto delle chiese et forastieri [sec. XVI]; SASS, ACSA, Registri, n. 25 [1619 e 1702]; SASS, ACSA, Registri, n. 27 [1744]; SASS, ACSA, Registri, n.11 [1790]. * Il dato non comprende il territorio denominato Villaneto, sulle pendici del monte Morrone (esteso 836,16 ettari) né il feudo delle Carceri presso Pescocostanzo e la posta della Paglia sul Tavoliere (estesi rispettivamente 553,72 ettari e 1.112,31 ettari) che non avevano uso agricolo, ma erano utilizzati dalla SS. Annunziata come pascolo per i propri armenti. Tabella II - I fondi rustici dell’Annunziata per classi di estensione (1736) Classi in ettari 0-1 1,1-2 2,1-3 oltre 3,1 Totale Numero delle proprietà 14 5 1 1 28 Percentuale sulla superficie totale 50,00 17,86 3,57 3,57 100,00 Fonti: Museo Civico di Sulmona, Catastum bonorum omnium stabilium [1376]. nonché ad oriente, in località “alli Paduli” (nei pressi delle Marane) e “de Vetitu” (ai confini tra Sulmona e Pacentro)19. Per avere una nuova rilevazione analitica, dobbiamo fare un salto di due secoli, e arrivare al 157620. A quella data, il patrimonio fondiario ha subito un considerevole incremento, avendo raggiunto i 109,62 ettari. Permane tuttavia il dato della frammentazione, giacché il possesso risulta suddiviso in 77 particelle aventi un’estensione media di 1,42 ettari. Ancora una volta (si veda la tabella III) 19 Per l’individuazione topografica di tali contrade, si consulti utilmente E. MATTIOCCO , Sulmona. Città e contado nel catasto del 1376, Pescara, Carsa, 1994, pp. 227-246. 20 Cfr. Sezione Archivio di Stato di Sulmona (d’ora in avanti SASS), Catasto delle chiese et forastieri [sec. XVI], cc. 3r-5v. La datazione esatta di tale catasto non è nota: la data del 1534, annotata in tempi recenti sul risguardo del codice è solo congetturale. Fermo restando che la compilazione originaria di esso risale senza dubbio alla prima metà del XVI secolo, per ciò che concerne l’Annunziata, mani diverse da quelle del primo estensore hanno aggiunto nel corso degli anni i nuovi acquisti di case e terreni, annotandone talora la data di acquisizione. Poiché l’ultima di tali aggiunte risale al 1576, si può supporre con fondatezza che il catasto descriva la situazione patrimoniale dell’istituto in tale anno. 13 Tabella III - I fondi rustici dell’Annunziata per classi di estensione (1576) Classi in ettari 0-1 1,1-2 2,1-3 oltre 3,1 Totale Numero delle proprietà 52 9 5 11 77 Percentuale sulla superficie totale 67,53 11,69 6,49 14,29 100,00 Fonti: SASS, Archivio Civico Sulmonese, Catasto delle chiese et forastieri [sec. XVI]. Tabella IV - I fondi rustici dell’Annunziata per classi di estensione (1619) Classi in ettari 0-1 1,1-2 2,1-3 oltre 3,1 Totale Numero delle proprietà 59 17 10 18 104 Percentuale sulla superficie totale 56,73 16,35 9,62 17,30 100,00 Fonti: SASS, ACSA, Registri, n. 25. la maggioranza dei terreni (il 67,53% ) presenta una superficie inferiore o uguale ad un ettaro, una parte più esigua (pari complessivamente al 18,18% ) si attesta su dimensioni di due-tre ettari, mentre il 14,29% ha una grandezza superiore ai tre ettari. Pur restando dunque la parcellizzazione del possesso il dato più evidente, può notarsi come l’Annunziata abbia acquisito anche terreni di dimensioni più ampie, distribuiti in maniera indifferenziata nei dintorni del centro abitato. Tra essi spiccano una proprietà di 8,7 ettari nella zona nord, lungo la via per la badia celestiniana di S. Spirito, un’altra di quasi 8 ettari a sud-est, lungo la via per Cansano, e un’altra di 6,2 ettari ad oriente, nella contrada Aroto. Nei quattro decenni circa compresi fra il 1576 e il 1619, data della successiva rilevazione pervenutaci, il patrimonio rurale dell’Annunziata aumenta in misura assai considerevole, giungendo ad un’estensione di 229,43 ettari21. Si tratta di un fenomeno spiegabile, almeno in parte, con l’elevato prezzo dei cereali che contrassegna nel suo complesso tale periodo, e il correlativo incremento degli affitti, che, come vedremo, costituivano il prevalente sistema di conduzione adottato dall’istituto22. Si può pertanto ipotizzare che la favorevole congiuntura di merca21 Cfr. SASS, Archivio Casa Santa dell’Annunziata (d’ora in avanti ACSA), Registri, n. 25, pp. 24-96. 22 Cfr. per gli aspetti generali B. H. SLICHER VAN BATH, Storia agraria dell’Europa occidentale (500 – 1850), (traduzione italiana) Torino, Einaudi, 1972, pp. 275-288. Sulla fase espansiva che l’agricoltura meridionale attraversa tra il 1560 e il 1620, cfr. G. G ALASSO , Strutture sociali e produttive, assetti colturali e mercato dal secolo XVI all’Unità in A. MASSAFRA (ed.) Problemi di storia delle campagne meridionali nell’età moderna e contemporanea, Bari, Dedalo, 1981, pp. 159-172, qui 160. 14 Tabella V - I fondi rustici dell’Annunziata per classi di estensione (1702) Classi in ettari 0-1 1,1-2 2,1-3 oltre 3,1 Totale Numero delle proprietà 137 28 18 35 218 Percentuale sulla superficie totale 62,84 12,84 8,26 16,06 100,00 Fonti: SASS, ACSA, Registri, n. 25. to abbia suggerito agli amministratori pro tempore di incrementare gli investimenti nel settore, attraverso l’acquisizione di nuovi terreni. Siamo inoltre in grado di affermare che molti dei nuovi fondi avevano dimensioni medio-grandi, tanto è vero che l’estensione media dei terreni passa da 1,42 ettari del 1576 a 2,20 del 1619. Le nuove unità colturali erano talora limitrofe a terreni già posseduti, la cui superficie veniva così ampliata, ma in altri casi collocate in aree nelle quali l’Annunziata non aveva alcun possesso. Ampliamenti si hanno nei casi delle citate proprietà lungo la strada per S. Spirito, che raggiunge i 18,4 ettari, e lungo la via per Cansano, che arriva a 13,07 ettari. Tra gli acquisti in zone originariamente sguarnite, spicca per le sue dimensioni una terra in contrada l’Isola, a sud del centro abitato, di circa 13 ettari. Complessivamente, le proprietà del luogo pio continuavano ad essere disseminate in numerose contrade, pur restando entro i limiti del territorio sulmonese, al punto che è estremamente difficile individuare le zone di più diffusa presenza. Anche questo è probabilmente il frutto di una precisa scelta gestionale: acquisendo terreni in aree diverse, e conseguentemente con differenti destinazioni culturali, l’istituto si proteggeva da eventuali congiunture negative che potessero colpire questo o quel prodotto. Nei casi, inoltre, in cui l’affitto era corrisposto in natura, tale scelta poteva garantire all’Annunziata un rifornimento di derrate alimentari il più vario possibile23. Il successivo inventario dei terreni, risalente al 1702, pone in evidenza un nuovo balzo in avanti del possesso fondiario, che giunge ad un’estensione complessiva di 486,66 ettari24. Per la prima volta, inoltre, notiamo che l’ubicazione 23 Cfr. F. L ANDI , Introduzione in I D. (ed.) Accumulation and dissolution of large estates of the regular clergy in early modern Europe , 12th International Economic History Congress, Madrid 2428 August 1998, Rimini, Guaraldi, 1999, pp. 15-24, qui 21; A. G IACOMELLI , Monasteri bolognesi, ivi, pp. 283-328, qui 323. 24 Cfr. SASS, ACSA, Registri, n. 25. Secondo M. Rosa, nel periodo compreso tra la fine del ‘600 e l’inizio del secolo successivo, nonché negli anni che precedono il Concordato del 1741, si intensifica la compilazione di platee da parte degli enti ecclesiastici, allo scopo di chiarire i titoli di proprietà e ricostituire le rendite: cfr. M. ROSA, Sviluppo e crisi della proprietà ecclesiastica: Terra di Bari e Terra d’Otranto nel Settecento in P. VILLANI (ed.) Economia e classi sociali in Puglia nell’età moderna, Napoli, Guida, 1974, pp. 61-86, qui 71-72. Sull’importanza della fonte plateale 15 dei terreni non è più limitata al territorio sulmonese, ma tocca comuni limitrofi come Pacentro, Cansano, Bugnara e Pentima, seppure in una quota che supera di poco il 10% della superficie complessiva dei terreni dell’istituto (si veda la tabella VI). Questa nuova espansione è tanto più sorprendente se si considera Tabella VI - Ubicazione dei fondi rustici dell’Annunziata (1702) Luogo Sulmona Pacentro Cansano Bugnara Pentima Totale Numero delle proprietà 149 19 27 18 5 218 Ettari 436,58 3,94 27,81 9,82 8,51 486,66 Percentuale sulla superficie totale 89,71 0,81 5,71 2,02 1,75 100,00 Fonti: SASS, ACSA, Registri, n. 25. che essa si verifica in un periodo di stagnazione demografica e di recessione dell’agricoltura. In particolare, i bassi prezzi dei cereali provocano indirettamente un ribasso dei canoni d’affitto e una crescita dei pagamenti arretrati, rendendo meno conveniente l’investimento nella terra25. Se, pur in presenza di condizioni così sfavorevoli, l’Annunziata aumenta il proprio possesso fondiario, ciò si deve probabilmente al fatto che anche forme alternative di investimento, nel contesto della crisi economica e finanziaria che il Regno attraversa, si fanno meno redditizie. In particolare, la svalutazione della rendita proveniente dai censi, collegata ad un aumento del tasso di inesigibilità, rende anche tale fonte di guadagno alquanto aleatoria26. Quanto agli effetti dei bassi prezzi per lo studio del patrimonio degli enti ecclesiastici, cfr. F. G AUDIOSO , I testamenti a favore della Chiesa, in U. DOVERE (ed.) Chiesa e denaro tra Cinquecento e Settecento. Possesso, uso, immagine , Atti del XIII Convegno di studio dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa, Aosta 9-13 settembre 2003, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2004, pp. 153-172, qui 155. 25 Cfr. B. H. SLICHER VAN B ATH, Storia agraria dell’Europa occidentale, cit., pp. 289-307; E. SERENI , Agricoltura e mondo rurale in Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1972, vol. I, pp. 135-252, qui 205-213. Per i riflessi di tale congiuntura sfavorevole sul paesaggio agrario, cfr. I D., Storia del paesaggio agrario italiano , Bari, Laterza, 1961, pp. 235-283. Per alcuni sondaggi in ambito meridionale, cfr. L. MASELLA, Appunti per una storia dei contratti agrari in Terra di Bari tra XVII e XVIII secolo in P. VILLANI (ed.) Economia e classi sociali nella Puglia moderna, cit., pp. 113-145, qui 123-126; A. MUSI , Il Principato citeriore nella crisi agraria del XVII secolo in A. MASSAFRA (ed.) Problemi di storia delle campagne meridionali, cit., pp. 173-188. Sulla stagnazione demografica di Sulmona durante il XVII secolo, cfr. E. MATTIOCCO , Sulmona in U. RUSSO – E. T IBONI (edd.) L’Abruzzo dall’Umanesimo all’età barocca, Pescara, Ediars, 2002, pp. 559-578, qui 574-578. 26 Cfr. M. SPEDICATO , Fasi congiunturali e gestione dei patrimoni monastici nel Regno di Napoli in età moderna (secc. XVII – XVIII) in F. L ANDI (ed.) Accumulation and dissolution of large estates of the regular clergy in early modern Europe , cit., pp. 391- 407, qui 398. 16 Tabella VII - I fondi rustici dell’Annunziata per classi di estensione (1744) Classi in ettari 0-1 1,1-2 2,1-3 oltre 3,1 Totale Numero delle proprietà 147 31 19 43 240 Percentuale sulla superficie totale 61,25 12,92 7,92 17,91 100,00 Fonti: SASS, ACSA, Registri, n. 27. dei cereali, può ipotizzarsi che gli amministratori del luogo pio abbiano cercato di limitarne i danni incrementando la superficie adibita alla vite o a colture orticole, ipotesi autorizzata dal silenzio della fonte plateale sulla destinazione colturale dei terreni. Si può inoltre notare come a fronte del rilevante incremento della superficie posseduta, rimanga praticamente invariata l’estensione media dei fondi, che passa da 2,20 ettari del 1619 a 2,23. Altrettanto immutate sono la prevalenza numerica dei terreni di dimensioni inferiori o uguali ad un ettaro, pari al 62,84% , e la minore incidenza di quelli di ampiezza media o grande. Una nuova rilevazione si ha nel 1744, e da essa emerge ancora una volta un’espansione della proprietà rurale, ascesa a 567,92 ettari27. Le acquisizioni più importanti vengono compiute nel contado sulmonese: i terreni compresi in tale ambito passano infatti da 436,58 ettari del 1702 a 507,90 (si veda la tabella VIII), ma anche le proprietà dei comuni limitrofi lasciano registrare lievi increTabella VIII - Ubicazione dei fondi rustici dell’Annunziata (1744) Luogo Sulmona Pacentro Cansano Bugnara Pentima Pettorano Totale Numero delle proprietà 162 21 28 24 4 1 240 Ettari 507,90 4,80 28,42 14,45 9,62 2,73 567,92 Percentuale sulla superficie totale 89,43 0,85 5,00 2,54 1,69 0,49 100,00 Fonti: SASS, ACSA, Registri, n. 27. 27 Cfr. SASS, ACSA, Registri, n. 27, pp. 1-170. Non sono inclusi in tale cifra il territorio denominato Villaneto, sulle pendici del Monte Morrone (esteso 836,16 ettari) né il feudo delle Carceri presso Pescocostanzo e la posta della Paglia sul Tavoliere (estesi rispettivamente 553,72 ettari e 1.112,31 ettari) che non avevano uso agricolo, ma erano utilizzati dalla SS. Annunziata come pascolo per i propri armenti. Non è altresì incluso il feudo di Ramatola presso Manfredonia (esteso 471,63 ettari) che sebbene concesso in enfiteusi perpetua all’Annunziata, era tuttavia posseduto dal monastero dei celestini di Monte S. Angelo. 17 Tabella IX - I fondi rustici dell’Annunziata per classi di estensione (1790) Classi in ettari 0-1 1,1-2 2,1-3 oltre 3,1 Totale Numero delle proprietà 324 35 12 29 400 Percentuale sulla superficie totale 81,00 8,75 3,00 7,25 100,00 Fonti: SASS, ACSA, Registri, n. 11. menti. Ai possessi di Pacentro, Cansano, Bugnara e Pentima si aggiunge inoltre un terreno di 2,73 ettari a Pettorano. Anche tale incremento lascia alquanto sorpresi, giacché si verifica in una fase in cui perdura una grave depressione agricola. Si aggiunga che la zona viene colpita nel 1706 da un disastroso sisma che produce molte vittime (circa un migliaio nella sola Sulmona) determinando un ulteriore spopolamento rurale, l’abbandono di molti campi e la conseguente difficoltà di reperire affittuari28. Anche in questo caso, tuttavia, la spiegazione dell’incremento può essere individuata nella mancanza di valide alternative all’investimento fondiario. Alla scarsa convenienza dell’acquisto di censi si aggiunge la difficile praticabilità, dopo il terremoto, dell’acquisto di immobili ad uso abitativo o commerciale, per il grave depauperamento del patrimonio edilizio. La crescita dell’estensione dei terreni non altera, d’altronde, la fisionomia del patrimonio fondiario. Come può evincersi dalla tabella VII, rimane infatti costante la grandezza media delle singole particelle, pari a 2,36 ettari, nonché la proporzione fra il numero dei terreni di grandezza pari o uguale ad un ettaro (che ammontano al 61,25% ), quelli di due-tre ettari (pari al 20,84% complessivamente) e quelli superiori ai tre ettari (il 17,91% ). Un nuovo inventario dei terreni risale al 1790, ed evidenzia stavolta una riduzione, seppur molto lieve, della proprietà fondiaria dell’istituto. Dai 567,62 ettari del 1744 si passa infatti a 559,5829. Il decremento proporzionalmente maggiore si ha proprio nell’ambito del contado sulmonese, mentre situazioni 28 Sugli effetti del sisma del 1706, cfr. Distinta relazione del danno cagionato dal tremuoto succeduto a dì 3 di novembre 1706 secondo le notizie venute a questo eccellentissimo signor Viceré marchese di Vigliena, Napoli, Bulifoni, 1706; I. DI PIETRO , Memorie storiche della città di Solmona, Napoli, Raimondi, 1804, pp. 356-359. Sotto il profilo demografico, si consideri che la popolazione cittadina, che nel 1669 ascendeva a 751 fuochi, nel 1732 raggiunge appena i 636: cfr. I. ZILLI , Imposta diretta e debito pubblico nel Regno di Napoli 1669-1737, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1990, p.240. Per una più ampia valutazione delle conseguenze del terremoto sulla struttura demografica sulmonese, cfr. E. MATTIOCCO , Sulmona in U. RUSSO – E. T IBONI (edd.) L’Abruzzo nel Settecento , Pescara, Ediars, 2000, pp.351-374. 29 Cfr. SASS, ACSA, Registri, n. 11, Libro mastro della Real Chiesa e Sacro Ospedale d’A.G.P. di Solmona. 18 Tabella X - Ubicazione dei fondi rustici dell’Annunziata (1790) Luogo Sulmona Bugnara Pettorano Tocco Cansano Cocullo Totale Numero delle proprietà 330 25 8 1 29 7 400 Ettari 486,59 27,16 8,58 6,30 28,58 2,37 559,59 Percentuale sulla superficie totale 86,96 4,85 1,53 1,13 5,11 0,42 100,00 Fonti: SASS, ACSA, Registri, n. 11. stazionarie o in lieve crescita si registrano per i possessi di Cansano, Bugnara e Pettorano (si osservi la tabella X). Le proprietà di Pentima e Pacentro appaiono liquidate, ma la loro scomparsa è compensata dall’acquisizione di sette piccoli terreni a Cocullo e di un vasto appezzamento a Tocco, adibito, come vedremo più dettagliatamente in seguito, alla coltura dell’olivo. L’assestamento del patrimonio rurale dell’Annunziata si spiega con i limiti posti dal riformismo borbonico all’incremento dei beni degli enti ecclesiastici, culminanti con la legge di ammortizzazione del 176930. In seguito a tale provvedimento, il luogo pio si era vista preclusa la via dell’investimento in beni stabili, tradizionalmente praticata fino ad allora, indirizzando le proprie risorse verso altri sbocchi31. Un 30 Cfr. M. ROSA, Il giurisdizionalismo borbonico a Napoli nella seconda metà del Settecento “Società e storia” XIV (1991) n.51, pp.53-76; O. MAZZOTTA – M. SPEDICATO , Dispersione e dissoluzione del patrimonio ecclesiastico in antico regime: il caso della Terra d’Otranto (1650-1861) in F. L ANDI (ed.) Accumulation and dissolution of large estates of the regular clergy in early modern Europe , cit., pp.111-133, qui 131-132. Sulla legge di ammortizzazione del 9 settembre 1769 e le disposizioni successive emesse a chiarimento della legge stessa, cfr. L. B IANCHINI , Della storia delle finanze del Regno di Napoli, Palermo, Lao, 1839, pp. 407-408; M. ROSA, Sviluppo e crisi della proprietà ecclesiastica: Terra di Bari e Terra d’Otranto nel Settecento, cit., pp. 70 e 81; A. PLACANICA, Chiesa e società nel Settecento meridionale: vecchio e nuovo clero nel quadro della legislazione riformatrice “Ricerche di storia sociale e religiosa” IV(1975) n.7-8, pp. 121-189, qui 180183; M. SPEDICATO , Fasi congiunturali e gestione dei patrimoni monastici nel Regno di Napoli in età moderna, cit., p. 401. 31 I governatori dell’Annunziata cercarono di ottenere l’esenzione del luogo pio dal divieto di acquistare beni immobili, previsto dalla legge, presentando un ricorso al Supremo Consiglio delle Finanze. Con un dispaccio del 29 agosto 1786, quest’ultimo rimise la domanda alla Sommaria, che il 7 settembre successivo dichiarò l’istituto “capace di acquistare, per essere addetto a pubbliche opere di pietà”: cfr. SASS, ACSA, Cartacei, fasc. IX, 399, memoria non datata dei governatori dell’Annunziata alla Sommaria. In seguito, tuttavia, la concessione fu revocata, come dimostra la richiesta rivolta dal governatore Pietro Carrera al Supremo Consiglio delle Finanze il 23 gennaio 1790, e ribadita il 28 agosto successivo, che il luogo pio “non s’intenda compreso nella legge d’ammortizzazione”: cfr. SASS, ACSA, Cartacei, fasc. XI, 484, lettera di Pietro Carre- 19 altro dato, tuttavia, si impone alla nostra attenzione: se la superficie posseduta è rimasta stabile, o si è addirittura ridotta, il numero delle unità colturali ha subito un balzo in avanti, passando dalle 240 del 1744 a 400. L’estensione media dei terreni si è per conseguenza abbassata ad 1,39 ettari. Una spiegazione di tale fenomeno può individuarsi nella crescita della popolazione nel secondo Settecento: assorbito infatti il collasso demografico del sisma del 1706, la popolazione di Sulmona passa dai 3.668 abitanti del 1726 ai 4.000 della metà del secolo, per raggiungere i 6.500 nell’ultima decade32. La fame di terre determinatasi in conseguenza dell’aumento della pressione demografica deve aver indotto gli amministratori dell’istituto a frazionare i propri possedimenti, assegnandoli in porzioni più ridotte ad un maggior numero di coloni. Quella del 1790 è l’ultima rilevazione ufficiale di cui disponiamo sui terreni dell’Annunziata. I registri ottocenteschi di introito, (di cui si conserva la serie completa dal 1818 in poi) pur indicando l’ubicazione e la rendita di ciascun terreno, tacciono infatti sulla sua estensione. Possiamo ricavare qualche elemento solo dal numero delle particelle, che, ridotte a 308 nel 1820, salgono a 330 dieci anni dopo, per poi assestarsi a 361, cifra che rimane costante dal 1840 al 186033. È difficile tuttavia stabilire se tale crescita sia determinata dall’acquisto di nuovi fondi o non piuttosto da un frazionamento di quelli già posseduti, derivante da un’accresciuta richiesta di affitti. Alla luce di una valutazione complessiva, può notarsi come il patrimonio fondiario dell’Annunziata conosca una lenta e costante crescita dal Trecento a metà Settecento. A partire da allora, i sempre più stringenti freni legislativi agli investimenti fondiari da parte degli enti ecclesiastici ne stabilizzano il patrimonio attorno ai 550 ettari. In assenza di studi sull’entità dei beni ecclesiastici in ambito locale, è difficile esprimere un giudizio sull’importanza relativa di tale possesso. Può tuttavia esserci utile un’anonima memoria illustrativa del 1783, che fissa in 3.238,45 ettari la superficie destinata a coltura delle campagne sulmonesi34. Poiché sappiamo che a fine Settecento il possesso fondiario dell’Annunziata nel territorio di Sulmona ammontava a 486,59 ettari, ne risulta che l’istituto deteneva il 15,02% della superficie coltivabile, il che ne faceva, per quell’epoca, uno dei più importanti proprietari fondiari della città. ra a Ferdinando Corradini del 23 gennaio 1790, e ivi, 469, lettera del 28 agosto del 1790. Non si conosce tuttavia l’esito di questo nuovo ricorso. 32 Cfr. A. CHIAVERINI , La diocesi di Valva e Sulmona, cit., vol. VIII, p. 110; E. MATTIOCCO , Sulmona in U. RUSSO – E. T IBONI (edd.) L’Abruzzo dall’Umanesimo all’età barocca, cit., pp. 356357. 33 Cfr. SASS, ACSA, Registri di introito 1820-1860. 34 Cfr. SASS, Fondo Mazara, Piano, o già mappa di tutto il territorio di Solmona, datato 16 agosto 1783. Il documento è pubblicato integralmente in appendice a E. MATTIOCCO , Sulmona. Città e contado nel catasto del 1376, cit., pp. 305-307. 20 3. Modi di gestione dei fondi e rendita derivante da essi Se per la determinazione dell’ampiezza dei terreni disponiamo di consistenti appoggi documentari, distribuiti per di più su di un arco temporale molto vasto, la stessa cosa non può dirsi per l’analisi dei modi di conduzione. Le platee contengono infatti informazioni essenziali ma precise sull’ubicazione e le dimensioni delle singole particelle, di cui forniscono in alcuni casi suggestive rappresentazioni iconografiche, ma tacciono sui criteri di gestione e sulla destinazione colturale. Quest’ultima omissione può spiegarsi o con il fatto che, almeno per certe specie di terreni, il tipo di coltivazione fosse scontato, o come un modo per lasciare ai conduttori libertà di variare le scelte colturali in relazione alla congiuntura di mercato. Quale che sia il motivo, lo storico che voglia mettere a fuoco tali problemi si trova nella necessità di consultare fonti alternative. In relazione al modo di conduzione, utili indicazioni possono reperirsi negli atti notarili, sebbene in tal caso l’indagine debba per forza di cose indirizzarsi su di un campione limitato di protocolli. Abbiamo tuttavia consultato 184 contratti relativi al periodo 1801-1827: se si considera che nel decennio 18201830 il patrimonio fondiario dell’Annunziata passa da 308 a 330 unità colturali, può concludersi che il campione corrisponde a più della metà dei terreni dell’istituto35. L’unico modo di conduzione previsto in tali contratti è l’affitto36. All’interno di tale categoria, possono poi distinguersi due tipologie: gli affitti a breve e quelli a lungo termine, gli uni e gli altri stipulati sempre in autunno, all’inizio dell’anno colonico. I primi prevedevano di solito un termine di sei anni, indizio della presenza di rotazioni biennali o tutt’al più triennali. Stabilivano inoltre, formulandoli in maniera abbastanza dettagliata, una serie di obblighi a carico del conduttore. Egli doveva migliorare le condizioni del fondo, senza poter pretendere risarcimenti da parte dell’Annunziata, e sorvegliare 35 Cfr. SASS, ACSA, 32, Locazioni di fondi rustici e urbani 1801 – 1816; ivi, 33, Locazioni di fondi rustici e urbani 1817 – 1820; ivi, 34, Locazioni di fondi rustici e urbani 1821 – 1827. 36 Per il secolo XVIII, alcune fonti documentarie testimoniano l’uso dell’enfiteusi: cfr. in particolare SASS, ACSA, Cartacei, fasc. XI, 469, lettera di Pietro Carrera a Ferdinando Corradini del 28 agosto 1790. La prevalenza dell’affitto, tra i modi di conduzione, può osservarsi anche in relazione ad altri ospedali, seppur al di fuori del contesto meridionale: cfr. G. PINTO , Forme di conduzione e rendita fondiaria nel contado fiorentino (secoli XIV e XV): le terre dell’ospedale di San Gallo in Studi di storia medievale e moderna per Ernesto Sestan, Firenze, Olschki, 1980, vol. I, pp. 259-337, qui 286. Sui principali elementi dei contratti d’affitto, cfr. G. G IORGETTI , Contratti agrari e rapporti sociali nelle campagne in Storia d’Italia, I documenti, V-1, Torino, Einaudi, 1973, pp. 699-758, qui 716-728; M. R. PELIZZARI , Per una storia dell’agricoltura irpina in età moderna. Prime rilevazioni dagli atti notarili in A. MASSAFRA (ed.) Problemi di storia delle campagne meridionali, cit., pp. 189-200, qui 194-195. Per una disamina dei contratti agrari più diffusi nella zona, cfr. V. B ATTISTA, La via del grano. Lavoro e cultura contadina nella Valle Peligna, L’Aquila, Provincia dell’Aquila, 1989, pp. 49-57. 21 affinché esso non venisse occupato o assoggettato a servitù di nessun tipo37. Non poteva sublocare il terreno senza il permesso dell’ente proprietario. Doveva inoltre rinunciare a qualsiasi richiesta di scomputo per danni alle colture derivanti dal maltempo o da altri casi fortuiti. Oltre a scaricare sul contadino i rischi relativi alle congiunture sfavorevoli, i contratti prevedevano in genere la clausola dell’escomio prima della scadenza in caso di morosità: se cioè il conduttore ritardava per un anno il pagamento dell’estaglio, la locazione era ipso iure rescissa. In aggiunta a tali pesanti obblighi, erano a carico dell’affittuario anche le spese di redazione e registrazione del contratto38. Per ciò che riguarda l’estaglio, esso era corrisposto il più delle volte in denaro, e solo eccezionalmente in natura39. Tale elemento, emerso dall’esame dei contratti che abbiamo utilizzato come campione, è del resto confermato dalla platea del 1790, che ci consente anzi un’analisi più precisa40. Dei 400 terreni che essa censisce, 358 risultano affittati con canone in denaro e 42 in natura. Fra questi, 37 si trovano fuori Sulmona e presentano quasi tutti estensione inferiore ad un ettaro e collocazione in aree poco fertili, collinari o pedemontane. L’estaglio è fissato in una quantità di grano “concio” (ossia passato al primo crivello) variabile dalle 2 alle 20 salme, con l’obbligo del trasporto nei fondaci dell’Annunziata a carico dei conduttori. Nel complesso, si ha l’impressione che il canone in natura sia legato all’affitto di piccoli appezzamenti a coloni non in grado di sostenere una soluzione monetaria dell’estaglio. In casi più specifici, la fissazione del canone in natura aveva lo scopo di garantire all’Annunziata la fornitura di generi di prima necessità, come avveniva per l’oliveto di Tocco, il cui conduttore doveva elargire annualmente all’istituto 7 metri (ossia 1,54 ettolitri) di olio “chiaro e lampante”, cioè per uso alimentare41. In tutti gli altri casi, il 37 Nei contratti d’affitto, clausole del genere erano molto comuni: cfr. L. AIELLO , Monache e denaro a Milano nel XVII secolo in A. PASTORE – M. G ARBELLOTTI (edd.) L’uso del denaro. Patrimoni e amministrazione nei luoghi pii e negli enti ecclesiastici in Italia, cit., pp. 335-377, qui 358. 38 Tale consuetudine risulta in uso, nei contratti agrari della zona, ancora fino ai primi del ‘900: cfr. Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia, vol. II. Abruzzi e Molise, tomo I. Relazione del delegato tecnico dott. Cesare Jarach, Roma, Bertero e C., 1909, pp. 124 e 129. 39 Per un raffronto con la prassi seguita a tale proposito da altri enti ecclesiastici, cfr. D. MERIANI , Patrimonio e gestione economica dei conventi domenicani in Campania a metà Seicento. San Domenico Maggiore di Napoli e i conventi della Valle dell’Irno “Campania sacra” 25(1994) pp.269-414, qui 324. 40 Cfr. SASS, ACSA, Registri, n. 11, Libro mastro della Real Chiesa e Sacro Ospedale d’A.G.P. di Solmona. 41 In seguito l’estaglio per tale fondo, pur restando in natura, venne innalzato: nel 1837 era di 12 metri di olio (2,64 ettolitri) cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836-1838, lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 30 luglio 1837. Sui diversi utilizzi dell’olio prodotto nella zona, cfr. R. Q UARANTA, Monografia agraria della provincia di Aquila, in Atti 22 canone era in denaro, e la sua corresponsione era fissata normalmente in due rate, la prima ad agosto e l’altra a novembre: scadenze che, coincidendo con la raccolta del grano e dell’uva, forniscono un chiaro indizio della prevalente destinazione colturale dei fondi42. Per quanto riguarda gli affitti a lungo termine, la loro durata era stabilita in ventinove anni, con la clausola che, alla scadenza del termine, i conduttori avessero il diritto di prelazione su altri offerenti. In caso di morte, inoltre, essi potevano trasmettere il ius colendi ai loro eredi e successori, fino alla scadenza del contratto43. Anche sui coloni vincolati da questo tipo di affitto gravavano comunque pesanti obblighi. Innanzitutto essi erano tenuti a migliorare il fondo, e tale generico patto era talora precisato nel senso che spettava ad essi piantare la vigna oppure alberi utili e adatti al terreno. Tali migliorie, inoltre, non potevano essere vendute senza il consenso scritto dell’ente proprietario. Qualunque deterioramento del fondo comportava il diritto dell’Annunziata di espellere i coloni, che erano anche tenuti a risarcire il danno. In secondo luogo, i conduttori rinunciavano a qualunque scomputo sul canone in caso di cattive annate o calamità impreviste. Infine, in caso di morosità, l’Annunziata era libera di espellere i coloni dal fondo. Nel complesso, tuttavia, in questo tipo di affitto, i patti erano più favorevoli ai coloni: la durata ventinovennale della locazione faceva sì che per tale periodo essi fossero al riparo dalla minaccia di aumento del canone. Quest’ultimo, inoltre, doveva corrispondersi in una rata annuale (ogni primo novembre) anziché in due. Un’ultima importante clausola era posta a vantaggio dei conduttori: al termine del contratto le migliorie apportate al fondo dovevano essere stimate, e la metà del loro valore andava a loro beneficio44. della giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. XII, fasc. III, Relazione del commissario barone Giuseppe Andrea Angeloni, deputato al Parlamento sulla quarta circoscrizione , Roma, Forzani e C., 1885, pp. 7-103, qui 40. 42 Il pagamento dell’estaglio in tali scadenze era largamente in uso nei contratti d’affitto nella zona e anche al di fuori di essa: cfr. V. B ATTISTA, La via del grano. Lavoro e cultura contadina nella Valle Peligna, cit., p. 49; G. PINTO , Forme di conduzione e rendita fondiaria nel contado fiorentino (secoli XIV e XV): le terre dell’ospedale di San Gallo , cit., pp. 291-292. 43 Sulla diffusione di accordi di tale natura, cfr. G. G IORGETTI , Contratti agrari e rapporti sociali nelle campagne , cit., p. 737. 44 Se questa era, in relazione alle migliorie, la clausola più diffusa, i patti potevano tuttavia variare molto a seconda dei casi. Non mancavano infatti accordi in base ai quali, al termine dell’affitto, le migliorie ricadevano tutte a beneficio dell’Annunziata. Nei casi in cui era prevista la ripartizione a metà, questa poteva avvenire “pro ut impensum”, oppure “quoad melioratum”, vale a dire in riferimento alle spese sostenute, oppure in base ad una stima del valore venale delle migliorie stesse: cfr. Archivio di Stato di Napoli (d’ora in avanti ASN), Segreteria d’Azienda, SS. Annunziata di Sulmona, carte in ordinamento, dispaccio del direttore delle Reali Finanze Giuseppe Zurlo al direttore dell’Annunziata Filippo Sardi del 20 novembre 1801; SASS, ACSA, 44, Bilanci – Preventivi – Conti – Consuntivi 1810 – 1890, cc. n.n., lettera della Commissione ammi- 23 Nel complesso, la prevalenza dell’affitto, sia pure nelle due tipologie contrattuali che abbiamo analizzato, ben si comprende alla luce delle caratteristiche dell’Annunziata e delle sue finalità istituzionali. Attraverso tale contratto, l’istituto scaricava sui coloni le responsabilità e i rischi della gestione, limitandosi a pretendere il puntuale pagamento dell’estaglio. Per mezzo di apposite clausole contrattuali, il luogo pio assumeva idonee garanzie contro il deterioramento dei terreni e l’eventualità che i conduttori ne mutassero le caratteristiche senza il suo consenso. Escludendo la gestione in economia, gli amministratori dell’istituto si affrancavano da un intervento diretto nel processo produttivo e da un defatigante controllo sul lavoro dei coloni. Si sollevavano inoltre dall’obbligo di conferire ad essi anticipazioni e soccorsi, come invece erano costretti a fare nei rarissimi casi in cui i terreni restavano in amministrazione45. La preferenza accordata all’estaglio in denaro si inquadra in questo tipo di logica. In primo luogo, tale modalità di pagamento poneva al riparo da eventuali frodi, che restavano viceversa largamente possibili nei casi di pagamento in natura46. nistrativa dell’Annunziata all’intendente dell’Aquila del 26 maggio 1811: “La costituzione originaria degli affitti a ventinovennio è di voler migliorare la condizione de’ fondi così affittati. Delle migliorie che debbono in essi eseguirsi a carico e spese de’ conduttori, quando terminerà il ventinovennio, la metà ricade a beneficio dell’ospizio senza pagamento alcuno, l’altra metà deve ricomperarla; e per taluni fondi devesi la detta metà delle migliorie pagare in ragione delle spese soltanto occorse per eseguirle, e per altri in ragione del valore delle migliorie suddette. Vi sono anche alcuni affitti a ventinove anni coll’obbligo di migliorare i fondi, e terminato l’affitto, tutte le migliorie ricadono a beneficio dell’ospizio senza pagamento alcuno”. 45 L’unico caso di cui abbiamo trovato traccia nella documentazione è quello dell’oliveto di Tocco, rimasto in economia negli anni 1833-34, per i quali esso patì una sensibile diminuzione dell’estaglio. Poiché nel 1836, per l’assenza di valide offerte si presentava il rischio che restasse in amministrazione anche un vasto terreno alla Vicenna di S. Amico (a nord del centro abitato), il direttore dell’Annunziata Scipione Corvi scrisse all’intendente dell’Aquila sottolineando le “tristi conseguenze che si verificano a proprietarj per le colture a proprio conto”, aggiungendo che la sua avversione per la conduzione in amministrazione non derivava “dalla premura di scemarmi i travagli, giacché per lo bene dello stabilimento sarei pronto a sorvegliarne la coltura colla mia personale assistenza”, ma dalla “certezza dell’esito infelice” (SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836 – 1838, lettera del 16 ottobre 1836). Nei mesi seguenti, la gestione del terreno in amministrazione incontrò in effetti grosse difficoltà, “esiggendosi delle forti anticipazioni di più centinaja [ scil. di ducati] tanto per le sementi che per opere di coltura, concimazione ed altro”, perciò Corvi persuase il vecchio affittuario Domenico Carrozza, pur in assenza di un regolare contratto, a condurre il fondo anche per quell’anno colonico (cfr. ivi, lettera di Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 4 dicembre 1836). 46 Basti pensare all’uso di bagnare il grano, affinché crescesse di volume, o di mescolarvi terra e sassi: cfr. U. T UCCI , Pesi e misure nella storia della società, cit., p. 608. Sulle frodi dei coloni ai danni dei proprietari, cfr. anche F. L ANDI , Il paradiso dei monaci. Accumulazione e dissoluzione dei patrimoni del clero regolare in età moderna, Roma, La Nuova Italia Scientifica, pp. 156157; A. TANTURRI , Vicende patrimoniali degli scolopi nel Mezzogiorno d’Italia: il caso del collegio 24 Inoltre, considerate le molteplici attività assistenziali dell’istituto e il continuo bisogno di mezzi monetari per svolgerle, l’estaglio in denaro si imponeva quasi come una necessità. Un altro aspetto merita poi ulteriori precisazioni: sebbene i contratti definiscano in maniera molto rigida gli obblighi dei coloni, nella pratica le cose potevano andare diversamente. La clausola dell’escomio per morosità, ad esempio, non era applicata sempre in maniera inflessibile. Questo non solo per ragioni umanitarie: rescindere un contratto con un affittuario moroso, infatti, non significava sempre reperirne tempestivamente uno più solvibile, soprattutto in periodi di crisi47. Inoltre, se c’erano ragionevoli speranze che il debito potesse essere ripianato negli anni successivi, l’Annunziata preferiva non avvalersi della possibilità concessale dal contratto. In maniera analoga, sebbene, a norma delle clausole usualmente stipulate, i rischi per le calamità naturali gravassero, come si è osservato, sui conduttori, in pratica l’Annunziata se ne accollava una grossa parte. Quando le alluvioni danneggiavano le proprietà dell’istituto, era questo in genere a sobbarcarsi le gravose spese per riparare gli argini dei fiumi e ripristinare le condizioni per il normale svolgimento dell’attività agricola48. Se il maltempo comprometteva i raccolti, l’istituto concedeva spesso, paternalisticamente, congrui sconti sull’estaglio agli affittuari, specialmente se si trattava di somme di modesta entità49. chietino , in F. L ANDI (ed.) Confische e sviluppo capitalistico. I grandi patrimoni del clero regolare in età moderna in Europa e nel Continente Americano , cit., pp. 301-326, qui 316. 47 Cfr. G. G IORGETTI , Contratti agrari e rapporti sociali nelle campagne , cit., p. 718. 48 Scrive infatti il direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila il 31 luglio 1836: “I guasti prodotti nelle proprietà di questo ospizio dalle alluvioni avvenute in modo straordinario ne’giorni 5 e 6 spirante sono innumerabili e di valore di più centinaja. Per evitarne maggiori, e per adattarmi alla mancanza di denaro, ed alla brevità del tempo, mi sono limitato senza ritardo agli accomodi in quei soli punti che minacciavano sconcerti maggiori” (cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836-1838). Il 14 agosto successivo, Corvi torna sull’argomento, chiedendo di essere autorizzato a sostenere ulteriori spese: “Essendo ricorsi nella passata stagione di primavera e corrente estiva dei molti uragani che han prodotto de’ replicati non mai veduti gonfiamenti di acque, tanto del fiume Gizio che del torrente Vella, han questi prodotti degli incalcolabili danni ai territorj ed ai diversi edifici che l’ospizio possiede nelle rive di essi, rompendo e distruggendo specialmente tutti i ripari e le arginazioni fatte per preservare i fondi dalle alluvioni. Tutti questi ripari ed arginazioni debbono assolutamente rinnovarsi, e sollecitamente e per urgenza, perché in caso tali inconvenienti tornassero a verificarsi, i danni sarebbero incalcolabili, per trovarsi i fondi e gli edifici scoverti e senza ripari” (cfr. SASS, ACSA, ivi). Sulla frequenza delle inondazioni nell’Abruzzo interno, dovuta alla distruzione del manto boschivo e alla precarietà delle arginature, cfr. V. B ATTISTA, La via dei carrettieri. Il racconto e la fonte orale nella media valle dell’Aterno e nella valle subequana, L’Aquila, Provincia dell’Aquila, 1997, pp. 123-127. 49 È quanto avviene, ad esempio, nel 1837, per un terreno sito al Ponte della Pietra, a sudovest del centro abitato. Scrive infatti il direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila il 5 ottobre di quell’anno: “Vincenzo Di Salle, contadino di questo comune, prese in fitto dall’ospi- 25 Tabella XI - Proporzione fra i prevalenti modi di conduzione dei fondi dell’Annunziata (1820-1860) Anno 1820 1830 1840 1850 1860 Affitti a breve 73 97 133 136 136 Percentuale 23,7 29,4 36,8 37,6 37,6 Affitti a Ventinovennio 235 233 228 226 225 Percentuale 76,3 70,6 63,2 62,4 62,4 Totale 308 330 361 362 361 Fonti: SASS, ACSA, Registri di introito 1820-1860. In che proporzione i terreni dell’Annunziata erano concessi in affitto a breve o a lungo termine? Siamo in grado di rispondere con esattezza a tale domanda soltanto in riferimento al periodo 1818-1861, per il quale disponiamo di rilevazioni seriali50. Come evidenzia la tabella XI, all’inizio di tale periodo, c’è una netta prevalenza del numero dei terreni affittati a ventinovennio, (il 76,3% ) ma nei decenni successivi il rapporto fra i due tipi di conduzione si fa più equilibrato, assestandosi a partire dal 1840 sul 62-63% di terreni affittati a ventinovennio, contro il 36-37% di terreni affittati a breve termine. Naturalmente, tali valori si riferiscono unicamente al numero delle proprietà, e poiché non ci è dato di conoscere l’estensione di esse, non possiamo essere certi che la pratica dell’affitto a lungo termine fosse esercitata effettivamente sulla maggior parte della superficie di terra posseduta dall’istituto. Quanto poi alle conseguenze di questi due tipi di affitto sullo stato generale della superficie coltivabile, si prospettano diverse situazioni. Gli affitti a breve termine, come è facile immaginare, esponevano i fondi ad una coltura di rapina51. Essendovi un vincolo solo temporaneo fra il colono e la terra, egli cer- zio opere 4 e centinara 4 di terreno divise in due parti quasi uguali, e che poco distano fra loro, site nel locale detto Ponte della Pietra, per l’annuo estaglio in uno di ducati 40. Uno di questi due terreni è quello che è stato danneggiato colla sola perdita di un’opera e mezza di fagiuoli, che in agosto ultimo furono svelti dalla lava che vi corse. Io immagino che ella […] conosca bene che li terreni di tal fatta nel nostro clima danno due prodotti l’anno, essendo li fagiuoli il secondo di detti prodotti, ne emerge che la perdita sofferta dal Di Salle su le predette due opere è stata di tre ottavi, e perché alle dette due opere danneggiate il Di Salle paga ducati 20 di fitto, volendo il Consiglio dargli un diffalco corrispondente all’ottavo della perdita, questo ascende a ducati 7,08. Io non ò presente la scrittura di fitto, […] per cui non so se vi siano le consuete rinunce alli casi previsti ed imprevisti. In qualunque modo, trattandosi di piccola somma, e sul riflesso che quest’ospizio è surto a solo oggetto di beneficare, perciò sono di parere bonarglisi detto ottavo, desumendosene la somma dal fondo delle imprevedute”: cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836-1838. 50 Cfr. SASS, ACSA, Registri di introito 1820-1860. 51 Secondo R. Quaranta, tale forma d’affitto “mira al solo frutto dell’annata, con un antagonismo d’interessi fra i proprietari ed i coloni, a scapito del progresso agrario”: cfr. R. Q UARAN- 26 cava di sfruttarla il più possibile, anche se ciò comportava l’impiego di avvicendamenti irrazionali, a detrimento della produttività del suolo52. In questo modo, al termine di un periodo di affitto, i terreni erano talmente estenuati che le rese non arrivavano a 2:1. Il colono che subentrava nella conduzione del campo doveva perciò rianimarlo con abbondanti concimazioni ed attraverso una faticosa “scassata” del terreno. Per rivalersi delle spese sostenute, doveva in seguito adibire il fondo alla coltivazione di ortaglie, finché, ripristinata in qualche modo la fertilità del campo, vi piantava cereali anche per più anni di seguito53. Ostacolando l’impiego di rotazioni più razionali, tale sistema era perciò assai dannoso per il suolo, provocandone un grave e durevole impoverimento. Se tali erano gli svantaggi dell’affitto a breve termine, per quale ragione una porzione così elevata dei terreni dell’istituto veniva sottoposta a tale modo di gestione? Il motivo stava nel fatto che tale sistema era in sostanza assai favorevole all’Annunziata. I contratti a breve termine consentivano infatti all’istituto di aggiornare continuamente i canoni d’affitto, ricavando dai terreni una rendita sempre più elevata54. La situazione può cogliersi con evidenza attraverso la lettura della TA, Monografia agraria della provincia di Aquila, cit., p. 92. In proposito, cfr. anche G. POLI , Appunti per una tipologia dei contratti agrari nella fascia costiera di Terra di Bari nel Cinquecento in A. MASSAFRA (ed.) Problemi di storia delle campagne meridionali, cit., pp. 321-334, qui 329; L. PALUMBO , Vicende agrarie e organizzazione ecclesiastica a Molfetta nel XVI e XVII secolo “Archivio storico pugliese” XXII(1970) pp.89-113, qui 103; A. D I B IASIO , L’agricoltura nel Regno di Napoli nella prima metà del XIX secolo: produzione e tecniche agronomiche , “Annuario dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea” XXXI – XXXII (1979-1980), pp. 297430, qui 365-366. 52 Scrive a fine Ottocento R. Quaranta che nell’aquilano “le rotazioni agrarie sono del tutto sconosciute per doppia ragione: per i fitti a breve durata, e pei proprietari che non si dipartono dall’empirismo agrario”: cfr. R. Q UARANTA, Monografia agraria della provincia di Aquila, cit., p.17. Sul ritardo con cui le rotazioni si diffondono nell’agricoltura della zona, cfr. G. SABATINI , L’agricoltura abruzzese tra Ottocento e Novecento: trasformazioni e continuità in U. RUSSO – E. T IBONI (edd. ) L’Abruzzo nell’Ottocento , Pescara, Ediars, 1996, pp. 61-72, qui 68. 53 Cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836-1838, lettera di Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 16 ottobre 1836: “I terreni di Sulmona, e specialmente quelli in parola, [ scil.: quelli affittati a breve scadenza] nel rilasciarsi dai coloni sono estenuati totalmente di succhi vegetabili, per cui rimangono inattivi alla produzione de cereali. Per rianimarli, facendosi il fitto di sei anni, il primo anno i coloni dopo averli rianimati con straordinaria scassata eseguita con bidenti, li ben concimano e postili ad ortaglie si rivalutano delle prime spese, e gli ultimi anni per mandarvi i cereali, li lasciano tanto rifiniti che volendovi ripetere le stesse sementi, appena si rifarebbe il doppio della semina”. 54 Cfr. G. POLI , Appunti per una tipologia dei contratti agrari nella fascia costiera di Terra di Bari nel Cinquecento, cit., p. 329. Gli affitti a breve termine riducevano inoltre il rischio che i coloni potessero avanzare delle pretese sulla proprietà dei fondi, in virtù di una lunga occupazione: cfr. M.T. SNEIDER, Il patrimonio dell’Ospedale di santa Maria della Morte in Bologna in A. PASTORE – M. G ARBELLOTTI (edd.) L’uso del denaro, cit., pp. 131-151, qui 142. 27 tabella XII, che mostra la rendita proveniente dai fondi rustici, tanto a breve termine che a ventinovennio, nel periodo 1818-1861. Come può notarsi, la rendita dei terreni affittati a lunga scadenza mostra fino al 1834 un andamento piuttosto oscillante, ma a partire da tale data si stabilizza sugli 800-900 ducati, rimanendo costantemente attestata su tali valori. Al contrario, la rendita dei terreni a breve tempo subisce un progressivo ma costante incremento, passando dai 1.902,60 ducati del 1818 ai 4.146,18 ducati del 1861. Inoltre, sebbene i terreni a ventinovennio siano numericamente maggiori, la rendita che si ricava da essi è sempre nettamente inferiore a quella dei terreni a breve tempo. Potrebbe dunque ipotizzarsi, almeno per una parte dei terreni, uno specifico legame funzionale fra questi due tipi di contratto: quando un terreno, per effetto del susseguirsi di una serie di affitti a sessennio era oltremodo depauperato, l’Annunziata lo concedeva in affitto a lunga scadenza. La prospettiva, per il colono, di godere il fondo senza aumenti di canone per un periodo che copriva buona parte della sua attività lavorativa, e di trasmetterlo ai suoi eredi, lo invogliava concretamente ad apportarvi durevoli migliorie55. La diffusa presenza di contratti a ventinovennio potrebbe dunque spiegarsi, in tale ipotesi, come un valido strumento, da parte dell’Annunziata, per ripristinare la fertilità del suolo. Essa è perciò da mettere in relazione con la presenza di terreni sterili e marginali, per i quali l’affitto a sessennio non trovava sufficienti oblatori56. Un giudizio complessivo sui criteri di gestione dei terreni dell’istituto non può non rilevarne il carattere arretrato e irrazionale. Il sistema dell’affitto a breve termine, in particolare, privava il colono di qualsiasi stimolo a migliorare la produttività del suolo, spingendolo anzi ad avvalersi di antiche e obsolete pratiche agrarie57. La presenza di rapporti di produzione di questo tipo costi55 Cfr. G. G IORGETTI , Contratti agrari e rapporti sociali nelle campagne , cit., p. 744. Un valido esempio in proposito è dato dai due terreni siti rispettivamente ai Quadri Grandi (di 7,5 ettari) e al Prato del Corvo (di estensione non specificata). Per tali fondi, soggetti per la loro ubicazione a frequenti inondazioni, non si riusciva a trovare convenienti offerte per affitti a breve scadenza. Scrive il direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila il 5 dicembre 1839: “Solo può sperarsi rinvenire chi ne assume l’affitto quando sia protratto ad un tempo lungo, per dar campo ad essi di compensarsi delle gravi spese che bisognano per l’apertura e mantenimento perenne dei formali, [ scil.: canali d’irrigazione] non che delle perdite delle intiere produzioni degli anni nei quali si verificano le stagioni piovose”: cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1839-1840. 57 La necessità di pagare un canone sovente elevato rispetto alle proprie possibilità impediva al colono di investire denaro in strumenti di scorta. Anche per questo, gli attrezzi di lavoro nella zona rimasero a lungo arretrati: ancora ai primi del ‘900, l’aratro più diffuso era quello in legno, di tipo virgiliano: cfr. Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia, vol. II. Abruzzi e Molise, tomo I. Relazione del delegato tecnico dott. Cesare Jarach, cit., p. 17. Sui vari tipi di aratro, cfr. P. UGOLINI, Tecnologia ed economia agrarie dal feudalesimo al capitalismo in Storia d’Italia, Torino, Einaudi, Annali, I, 1978, pp. 373-452, qui 383-385; V. MARCHIS, Storia delle macchine. Tre millenni di cultura tecnologica, Bari, Laterza, 2005, pp. 10-13. 56 28 Tabella XII - Rendita in ducati proveniente dai fondi rustici dell’Annunziata (1818-1861) Anno 1818 1819 1820 1821 1822 1823 1824 1825 1826 1827 1828 1829 1830 1831 1832 1833 1834 1835 1836 1837 1838 1839 1840 1841 1842 1843 1844 1845 1846 1847 1848 1849 1850 1851 1852 1853 1854 1855 1856 1857 1858 1859 1860 1861 Rendita terreni a breve 1.902,60 2.256,21 2.316,70 2.508,64 2.412,58 2.451,77 1.986,96 1.948,00 1.243,12 1.605,06 1.396,28 1.913,01 1.911,13 2.107,00 2.498,79 2.398,17 2.451,04 2.739,02 2.5460,87 2.632,53 2.545,96 2.805,06 2.903,09 2.892,89 2.976,69 2.985,88 2.999,38 3.046,22 3.159,12 3.203,04 3.175,78 3.258,65 3.230,15 3.158,64 3.406,12 3.423,22 3.459,20 3.505,67 3.651,93 3.863,25 4.016,61 4.018,63 4.052,28 4.146,18 % 16,90 14,61 18,60 19,34 18,12 16,91 12,62 14,27 9,91 11,55 10,83 14,49 17,73 17,59 18,15 16,72 17,55 21,66 22,13 22,08 21,44 21,79 20,23 24,23 26,26 25,94 24,84 24,46 25,65 24,51 21,58 23,07 16,56 16,15 16,90 20,01 23,10 21,59 20,61 18,91 18,89 19,84 18,16 16,13 Rendita terreni a ventinovennio 1.413,16 1.907,46 1.344,58 1.317,12 1.268,53 1.323,00 872,71 889,18 854,45 1.072,04 931,66 1.118,09 1.038,71 1.038,10 1.222,20 1.209,78 1.183,88 886,40 795,89 894,07 856,03 961,66 927,83 899,29 913,87 887,41 966,72 899,62 937,61 929,92 910,07 913,46 909,74 808,95 898,82 877,74 918,57 900,53 880,40 907,18 915,22 905,60 911,59 907,39 Fonti: SASS, ACSA, Registri di introito 1818-1861. 29 % 12,53 12,35 10,08 10,15 9,52 9,12 5,54 6,51 6,81 7,71 7,22 8,94 9,64 8,66 8,87 8,43 8,47 7,01 6,87 7,50 6,93 7,47 6,46 7,53 8,06 7,71 8,00 7,22 7,61 7,11 6,18 6,46 4,66 4,13 4,46 5,13 6,13 5,54 4,96 4,44 4,30 4,47 4,08 3,53 Rendita lorda complessiva dell’Annunziata 11.253,51 15.437,10 12.449,01 12.967,45 13.313,90 14.497,68 15.732,35 13.649,95 12.543,15 13.891,87 12.888,61 12.504,66 10.773,68 11.975,10 13.764,76 14.339,94 13.961,33 12.643,68 11.569,91 11.917,95 12.337,02 12.872,85 14.347,05 11.934,47 11.332,26 11.506,70 12.071,10 12.450,72 12.312,15 13.066,14 14.710,73 14.120,62 19.505,71 19.550,02 20.151,04 17.100,12 14.974,39 16.234,73 17.716,61 20.427,98 21.256,29 20.252,20 22.302,37 25.695,18 tuiva perciò una concausa dell’arretratezza dell’agricoltura locale. Sebbene infatti le caratteristiche pedologiche dei terreni, la debole altitudine, il clima relativamente mite e soprattutto l’abbondanza di acqua conferissero alla zona discrete potenzialità produttive, l’attività agricola restava connotata da caratteri di scarsa dinamicità58. Anche se, soprattutto nel lungo periodo, tale criterio di gestione si rivelava dannoso per la fertilità del suolo, l’istituto lo mantenne in vigore perché consentiva di difendere la rendita da qualsiasi erosione del suo valore. Se si osserva infatti la tabella XIII, può notarsi come la rendita complessiva dei fondi rustici abbia avuto un costante incremento, passando dai 3.316,16 ducati del 1818 ai 5.053,57 del 1861. Nel complesso, l’incidenza della rendita dei terreni sulla rendita lorda totale si mantenne per tutto il periodo elevata, essendo compresa tra un minimo del 16,72% nel 1826 ad un massimo del 34,33% nel 1842. Se si considera che il valore medio dell’intero periodo è del 26,25% , può concludersi che più di un quarto della ricchezza dell’Annunziata derivava dall’affitto dei fondi rustici59. 4. “Uno de’predj più speciosi”: S. Rufino Nell’ambito del vasto patrimonio fondiario del luogo pio, la cui configurazione parcellizzata abbiamo già osservato, spiccava per le sue dimensioni e per la sua rilevanza economica la proprietà di S. Rufino. Il primo nucleo di essa, situato due miglia a nord di Sulmona, venne acquisito dall’Annunziata in un arco di tempo compreso fra il 1576 e il 1619. Nel censimento dei terreni compiuto in tale anno, l’Annunziata risulta infatti proprietaria di due fondi nella zona, estesi rispettivamente 12,6 e 14,8 ettari60. In seguito, probabilmente attraverso l’acquisto di particelle vicine, e successivi ulteriori ampliamenti, si costituì un vasto possedimento che nel 1702 aveva un’estensione di circa 36 ettari, di cui 9,9 adibiti a coltivazione e 26,1 a bosco61. Le dimensioni della proprietà 58 Sulle notevoli possibilità di coltivazione offerte dalle condizioni pedologiche e climatiche della zona, cfr. P. SERAFINI , Monografia di Sulmona in I D., Scritti varii di storia, letteratura e politica, Pescara, Fracchia, 1913, pp. 148-157; P. VITTE , Le campagne dell’alto Appennino. Evoluzione di una società montana (traduzione italiana), Milano, UNICOPLI, 1995, pp. 409-413; A. DE MATTEIS, “Terra di mandre e di emigranti”. L’economia dell’Aquilano nell’Ottocento , Napoli, Giannini, 1993, pp. 154-161. 59 È un peccato che la scomparsa degli stati patrimoniali dell’Annunziata per il periodo anteriore al 1818 non consenta di verificare se tale valore conservò nel tempo la stessa importanza. L’unico dato superstite si riferisce al 1728: per quell’anno sappiamo che a fronte di una rendita lorda di 6.966,85 ducati, la rendita derivante dall’affitto dei fondi rustici era di 2.017,50 ducati, con un’incidenza pari al 28,95% : cfr. SASS, ACSA, 6, Collegiata chiesa di A.G.P., cc. n.n. 60 Cfr. SASS, ACSA, Registri, n. 25. 61 Ibidem. 30 Tabella XIII - Incidenza della rendita proveniente dai fondi rustici sulla rendita lorda complessiva Anno Rendita fondi rustici 1818 1819 1820 1821 1822 1823 1824 1825 1826 1827 1828 1829 1830 1831 1832 1833 1834 1835 1836 1837 1838 1839 1840 1841 1842 1843 1844 1845 1846 1847 1848 1849 1850 1851 1852 1853 1854 1855 1856 1857 1858 1859 1860 1861 3.316,16 4.163,67 3.661,28 3.825,76 3.681,11 3.774,77 2.859,67 2.837,18 2.097,57 2.677,10 2.327,94 2.931,10 2.949,84 3.145,10 3.270,99 3.607,95 3.634,92 3.625,42 3.356,76 3.526,60 3.501,99 3.766,72 3.830,92 3.792,18 3.890,56 3.873,29 3.966,10 3.945,84 4.096,73 4.132,96 4.085,85 4.172,11 4.139,89 3.967,59 4.304,94 4.300,96 4.377,77 4.406,20 4.532,33 4.770,43 4.931,83 4.924,23 4.963,87 5.053,57 Rendita lorda complessiva dell’Annunziata 11.253,51 15.437,10 12.449,01 12.967,45 13.313,90 14.497,68 15.732,35 13.649,95 12.543,15 13.891,87 12.888,61 12.504,66 10.773,68 11.975,10 13.764,76 14.339,94 13.961,33 12.643,68 11.569,91 11.917,95 12.337,02 12.872,85 14.347,05 11.934,47 11.332,26 11.506,70 12.071,10 12.450,72 12.312,15 13.066,14 14.710,73 14.120,62 19.505,71 19.550,02 20.151,04 17.100,12 14.974,39 16.234,73 17.716,61 20.427,98 21.256,29 20.252,20 22.302,37 25.695,18 Fonti: SASS, ACSA, Registri di introito 1818-1861. 31 Percentuale 29,47 26,97 29,41 29,50 27,64 26,03 18,18 20,78 16,72 19,27 18,06 23,44 27,38 26,26 23,76 25,16 26,03 28,67 29,01 29,59 28,38 29,26 26,70 31,77 34,33 33,66 32,85 31,69 33,27 31,63 27,77 29,54 21,22 20,29 21,36 25,15 29,23 27,14 25,58 23,35 23,20 24,31 22,25 19,66 rimasero in seguito praticamente invariate: le platee del 1744 e 1790 ne attestano un’ampiezza di circa 37 ettari, incremento dovuto forse, più che all’acquisto di terreni limitrofi, ad una più accurata misurazione del fondo ed al recupero di porzioni di esso occupate dai proprietari confinanti62. Nel 1840, pur restando uguale la grandezza del possedimento, era cambiata la proporzione fra la parte boscosa e quella coltivata: la prima assommava infatti a circa 18,6 ettari, e la seconda a circa 17,763. Per ciò che riguarda l’utilizzo di quest’ultima, sappiamo che almeno una parte di essa era adibita alla coltivazione della canapa, una pianta industriale diffusa nel contado sulmonese fin dal Medio evo, e che nel caso concreto poteva giovarsi delle possibilità di irrigazione concesse dalle acque del fiume Sagittario, che lambiva il fondo delimitandone il confine verso oriente64. Vi erano inoltre un’ampia stalla, una peschiera e due case coloniche: comodità, quest’ultima, tutt’altro che frequente nella zona, dove le abitazioni degli agricoltori, trovandosi per lo più nel centro abitato, obbligavano a lunghi tragitti per raggiungere i campi65. Per quanto concerne il bosco, sappiamo che esso era costituito in larghissima maggioranza da pioppi, ma che non mancavano salici, querce, olmi, ontani e noci66. Il numero delle piante, pari a circa 62 Cfr. SASS, ACSA, Registri, n. 27 e Registri, n. 11. Cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1839-1840, lettera della Commissione amministrativa dell’Annunziata all’intendente dell’Aquila del 24 settembre 1840. 64 Sulla diffusione della canapa nel contado sulmonese, cfr. E. MATTIOCCO , Sulmona. Città e contado nel catasto del 1376, cit., pp. 185-186. Sulla necessità di acqua richiesta dalla coltura canapicola, cfr. P. SERAFINI, Monografia di Sulmona, cit., pp. 156-157. Dopo la raccolta della canapa, che avveniva tra la fine di luglio e i primi di agosto, le piante andavano immerse per alcuni giorni in apposite fosse piene d’acqua, per consentire la separazione della corteccia dal fusto. In seguito, i fasci andavano asciugati all’aria aperta, e quindi utilizzati per la produzione di corde e spaghi: cfr. D. LANZA, Canapa – coltivazione e prima lavorazione in Enciclopedia italiana, Milano, Istituto Giovanni Treccani, 1930, vol. VIII, pp. 668-671; V. B ATTISTA, La via dei carrettieri. Il racconto e la fonte orale nella media valle dell’Aterno e nella valle subequana, cit., pp. 202-203. Fino al 1790, l’Annunziata possedeva alcuni terreni adiacenti al centro abitato, dotati di fosse per la macerazione di questa pianta. A partire da tale data, le fosse vennero probabilmente eliminate, in seguito alle proteste di alcuni cittadini infastiditi dal fetore che si sprigionava da esse: cfr. SASS, ACSA, Cartacei, fasc. X, 450, lettera di Antonio Canofoli a Pietro Carrera del 16 ottobre 1790, con allegati. 65 Notava Domenico Tabassi nel 1885: “Poche sono le abitazioni in campagna, ed i contadini vivono concentrati ne’ paesi; e massimo è l’accentramento nel capoluogo”: cfr. D. TABASSI , Sulle condizioni della viticultura, dell’enologia e della classe agricola nella vallata di Solmona in Atti della giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. XII, fasc. II, cit., pp. 43-48, qui 46. Tale tipologia insediativa nel Mezzogiorno continentale costituiva peraltro la regola : cfr. G. G ALASSO , Strutture sociali e produttive, assetti colturali e mercato dal secolo XVI all’Unità, cit., p. 163n. 66 Stando ad alcune testimonianze, la presenza degli alberi di noce, a differenza di tutte le altre specie, non era dovuta alla mano dell’uomo. Scrive ad esempio il direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila il 2 giugno 1839: “Questi alberi di noce non sono piantati dalla mano 63 32 10.000 nel 1797, era asceso a circa 12.000 nel 184067. Proprio nel bosco risiedeva l’importanza economica del possedimento, se si considera il grande valore che il legno assumeva nell’economia preindustriale. Impiegato tanto nell’edilizia che nella fabbricazione di mobili, utensili da lavoro e attrezzi agricoli, oltre che, naturalmente, per il riscaldamento domestico, il legno era una materia prima estremamente richiesta. In relazione alla commercializzazione dei prodotti del bosco, il fondo possedeva un’altra pregevole caratteristica: la sua breve distanza dalla città, che consentiva il trasporto del legname a prezzi relativamente contenuti. Quanto ai criteri di gestione del possedimento, non abbiamo molte informazioni, anche se testimonianze del Settecento e dei primi anni del secolo seguente attestano l’uso dell’affitto a breve termine68. Svariati erano gli inconvenienti connessi a tale pratica. Innanzitutto, i contratti venivano spesso stipulati senza il rispetto di regolari procedure, con criteri sovente clientelari e sulla base di fraudolente collusioni fra gli amministratori dell’Annunziata e gli affittuari. Nel 1761, ad esempio, il fondo fu concesso in affitto triennale a Michelangelo Dorrucci per 45 ducati l’anno, pur in presenza di offerte che arrivavano a 150 ducati69. Ancora più pregiudizievole per il luogo pio sarebbe stato un accordo raggiunto nel 1789 tra l’amministratore Luigi Targioni e due affittuari, che prevedeva il rimborso a questi ultimi, al termine dell’affitto, del valore degli alberi da essi piantati. Stando ad alcune fonti, l’accordo non sarebbe stato for- dell’uomo, perché sarebbero di nocumento per l’ombra che darebbero al resto della piantagione degli alberi di pioppo. Questi alberi, signore, hanno origine dalle noci che i topi sotterrano per la di loro provvista nell’inverno, e nel nascere con languidezza perché a fior di terra e perché seppolti nel buio dell’ombra della piantagione de’ pioppi già adulta, costantemente si veggono ingrossare in poca altezza nel fusto, ed elevarsi più dell’ordinario con tanta sproporzione che il rimanente dell’albero è tanto sottile che appena puote aversene qualche travicello”: cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1839-1840. 67 Cfr. rispettivamente SASS, ACSA, Cartacei, fasc. XXIX, 378, perizia di Domenico Antonio Cautela, Vincenzo Carugno, Giovanni Torracci e Vincenzo Di Giacomo sul possedimento, del 15 novembre 1797, e SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1839-1840, lettera della Commissione amministrativa dell’Annunziata all’intendente dell’Aquila del 24 settembre 1840. 68 Cfr. ASN, Tribunale misto, Processi, 900, relazione del governatore di Capestrano Pietro Celentani dell’8 gennaio 1762 e ASN, Segreteria d’Azienda, SS. Annunziata di Sulmona, carte in ordinamento, Prospetto dei nuovi affitti di terreni e case del Real Pio Luogo d’A.G.P. di Solmona, del 4 novembre1801. 69 Cfr. ASN, Tribunale misto, Processi, 900, relazione del governatore di Capestrano Pietro Celentani dell’8 gennaio 1762: “Per il territorio chiamato il Bosco ò provato che nel dì 12 maggio del passato anno 1761, essi amministratori (cioè don Lorenzo Amone e don Biase Zampichelli) diedero in fitto per anni 3 il sudetto territorio chiamato il Bosco a Michel Angelo Dorrucci per ducati 42 l’anno, e 5 salme di verdura, abbenché li fusse sopravvenuta l’offerta maggiore sino a ducati 125 e anche 150, non si volle ricevere da esso Zampichelli”. 33 malizzato in un regolare contratto per l’ondata di opposizioni che sollevò70. Si aggiunga a tale ordine di problemi la circostanza che gli affittuari esercitavano in genere uno scarso controllo sui confini del fondo, sovente spostati dai coltivatori dei terreni limitrofi, ma soprattutto sfruttavano la risorsa boschiva in maniera assolutamente indiscriminata71. Mirando unicamente a realizzare il massimo guadagno, senza aver riguardo alle esigenze di conservazione del bosco, essi adottavano pratiche di taglio puramente distruttive. Sistemi del genere erano in uso da lunghissimo tempo, se fin dal 1692 un decreto del vescovo Gregorio Carducci (all’epoca titolare di poteri di controllo sull’amministrazione del luogo pio) obbligava i governatori dell’Annunziata a ripiantare periodicamente nuovi arbusti per reintegrare il patrimonio boschivo72. Non erano certo, tuttavia, provvedimenti del genere a poter contrastare un fenomeno così radicato: nulla di strano, perciò, se nel 1790 il bosco, a causa del “devastamento” subito negli anni passati, poteva fornire pochissima legna, e se nel 1801 l’amministratore Filippo Sardi, rilevando i “gravissimi danni” sofferti dalla proprietà, sollecitava da Napoli l’autorizzazione ad una nuova numerazione degli alberi73. Un punto di svolta nella storia di questo possedimento, come avvenne anche per altri cespiti dell’Annunziata, fu costituito dalla gestione di Pietro Carrera, che si protrasse dal dicembre 1789 all’agosto 1799 (con un’interruzio70 Il condizionale è d’obbligo, considerato che l’episodio ci è noto attraverso un memoriale del governatore dell’Annunziata Pietro Carrera, che subentrò al Targioni nella direzione dell’istituto. In tale memoriale, redatto il 28 febbraio 1790 e indirizzato al Supremo Consiglio delle Finanze (SASS, ACSA, Cartacei, fasc. X, 445), Carrera espone i risultati del primo bimestre della sua amministrazione, e rivolge dure critiche all’operato del suo predecessore. La veridicità di quanto in esso si dichiara potrebbe essere viziata dall’intento del Carrera, di enfatizzare i propri successi, screditando l’azione di chi lo aveva preceduto. Stando al memoriale, comunque, Targioni, volendo affittare il bosco a due persone che intendeva favorire, aveva “accomodate le condizioni dell’affitto, in guisa che a tenore del secondo capo de’ banni emanatisi per ordine del Targioni, l’aumento degli alberi, o crescimonia, doveva loro bonificarsi in fine dell’affitto […] e così si sarebbe fissato, se non vi fosse stato chi fece fracasso contro i complottisti, onde il pio luogo in fine dell’affitto si sarebbe trovato in debito con costoro di più migliaja di docati. Quest’affare ha fatto fremere tutta Solmona”. 71 Sugli sconfinamenti nei fondi boschivi compiuti dai coltivatori dei terreni limitrofi, cfr. R. SANSA, Il mercato e la legge: la legislazione forestale italiana nei secoli XVIII e XIX in P. B EVILACQUA – G. CORONA (edd.) Ambiente e risorse nel Mezzogiorno contemporaneo , Corigliano Calabro, Meridiana, 2000, pp. 3-26, qui 20. 72 “Per che con tagliarsi ogn’anno gl’arbori tanto del bosco, come in altri luoghi di detta Chiesa, senza ripiantarvisi i nuovi, si viene a spiantare detto bosco, il detto procuratore pro tempore sia obligato a ripiantarne tanti, quanti compensino il prezzo di quelli, che si tagliaranno”: cfr. R. CARROZZO , Carità ed assistenza pubblica a Sulmona. Il conservatorio di san Cosimo , cit., p. 96. 73 Cfr. rispettivamente SASS, ACSA, Cartacei, fasc. X, 445, memoriale di Pietro Carrera per il Supremo Consiglio delle Finanze, datato 28 febbraio 1790, e ASN, Segreteria d’Azienda, SS. Annunziata di Sulmona, carte in ordinamento, lettera di Filippo Sardi a Giuseppe Zurlo del 7 marzo 1801. 34 ne dal giugno 1793 al gennaio 1797)74. Nell’uso della risorsa boschiva, la gestione di Carrera significò il passaggio da un approccio sconsiderato e tendenzialmente distruttivo ad una concezione mirante a razionalizzare il prelievo del legname, preservando l’integrità del bene forestale. Il suo intervento si articolò in una serie di azioni coordinate: in primo luogo, trovando il bosco depauperato e interrotto da ampie radure, ne promosse il ripopolamento facendovi piantare 3000 arboscelli di pioppo75. Inoltre, per tutelare la proprietà dagli sconfinamenti dei coltivatori dei campi adiacenti, ne rese evidente il perimetro apponendovi “grandiosi segni lapidei”76. Infine, sul finire del 1797, elaborò con l’ausilio di alcuni periti un piano di sfruttamento del bosco che appariva in linea con i più aggiornati insegnamenti della scienza selvicolturale77. Il progetto prevedeva la suddivisione del bosco in trenta porzioni, numero non scelto a caso, 74 Di origini teramane (per l’esattezza di Rosciano), Carrera aveva ricoperto, prima della direzione dell’istituto sulmonese, importanti incarichi diplomatici e amministrativi. In particolare, era stato segretario dell’Ispezione generale della Fanteria, nonché segretario d’ambasciata a Londra e Parigi. Si era poi distinto, per un quinquennio, quale Regio governatore di Cittaducale, ai confini con lo Stato pontificio. A coronamento del suo mandato, scrisse un Saggio topografico politico economico di tutto il distretto allodiale di Città Ducale in Regno di Napoli sito in provincia di Abruzz’Ultra nelli estremi confini collo Stato Pontificio, (Aquila, Grossi, 1788). La sua direzione dell’Annunziata si interruppe nel periodo 1793-1797, durante il quale, accusato di malversazione, fu richiamato a Napoli e sottoposto a procedimenti giudiziari. Dimostrata la sua innocenza, poté riprendere il suo incarico, che mantenne fino al 1799. In occasione dell’invasione francese del Regno, egli si schierò con gli occupanti, fino ad assumere la carica di presidente della Municipalità sulmonese. Dopo il ritorno dei Borboni fu perciò destituito nuovamente dalla direzione dell’Annunziata (cfr. SASS, ACSA, Registri, n. 23, Libro mastro di debitori e creditori del Pio Luogo, 1790, c.1v). Rimasto senza lavoro, si sforzò inutilmente di essere reintegrato nel suo incarico, cercando di dimostrare, in alcuni memoriali per il sovrano, il carattere esclusivamente tecnico, e scevro di qualsiasi implicazione ideologica, della sua collaborazione con i francesi (cfr. ASN, Segreteria d’Azienda, SS. Annunziata di Sulmona, carte in ordinamento). Si ritirò dunque a Napoli, dove visse visse gli ultimi anni “nelle più deplorevoli miserie”. Solo nel febbraio 1808 il governo francese, a memoria degli “utili servigj” da lui prestati quale governatore dell’Annunziata, si decise ad elargirgli un assegno mensile, troppo tardi però perché egli potesse goderne: si spense infatti il mese successivo, nel marzo 1808. Nonostante l’incontestabile rilievo della sua figura, scarsi sono stati finora gli apporti bibliografici sul suo operato: cfr. A. DI NICOLA, Nel nome del Re. Le Masse della Montagna fra il 1798 e il 1799, Rieti, A.G. Nobili Sud, 1999, pp.35n e 42n; A. TANTURRI, I soccorsi dell’arte salutare. L’ospedale della SS. Annunziata a Sulmona, “Ricerche di storia sociale e religiosa” XXXIV (2005) n. 67, pp. 217-261, qui passim, e R. CARROZZO , Carità ed assistenza pubblica a Sulmona. Il conservatorio di san Cosimo , cit., pp. 30-41. 75 Cfr. SASS, ACSA, Cartacei, fasc. X, 445, memoriale di Pietro Carrera per il Supremo Consiglio delle Finanze del 28 febbraio 1790. 76 Cfr. SASS, ACSA, 22, Registri della corrispondenza 1843-1856, lettera del direttore dell’Annunziata Domenico Sardi alla Commissione amministrativa del 16 giugno 1846. 77 Cfr. SASS, ACSA, Cartacei, fasc. XXIX, 378. Per un confronto con le teorie sull’uso delle risorse forestali elaborate a quell’epoca, cfr. R. SANSA, La trattatistica selvicolturale del XIX secolo: indicazioni e polemiche sull’uso ideale del bosco , “Rivista di storia dell’agricoltura” XXXVII (1997) pp. 97-144. 35 ma equivalente al numero di anni in cui il pioppo giungeva alla maturità, ed era dunque pronto per essere abbattuto. Ogni anno, il taglio degli alberi andava limitato ad una singola porzione, nella quale doveva effettuarsi un immediato rimboschimento per mezzo dell’inseminazione naturale o tramite piante provenienti da vivai78. In questo modo si sarebbe ottenuta una organizzazione razionale e costante del rendimento del bosco, che avrebbe finalmente cancellato il metodo praticato fino ad allora, consistente nell’abbattere i pioppi maturi in qualunque parte del fondo si trovassero. Al posto di un bosco che presentava alberi di diverse età confusamente mischiati (oltre ad ampie radure, dovute agli scarsi controlli con cui i tagli venivano eseguiti) vi sarebbe stato un bosco ordinato geometricamente in trenta porzioni con alberi di età omogenea. Il prelievo di legname, limitato, come si è detto, ad una singola porzione per anno, avrebbe assicurato all’Annunziata una rendita costante, mentre il rimboschimento immediato avrebbe consentito al bosco di rinnovarsi in perpetuo. Il sistema venne approvato dal Supremo consiglio delle Finanze nel luglio 1798, e fu probabilmente applicato da subito79. Il depauperamento subito dal patrimonio boschivo era tuttavia tale da indurre l’amministratore Filippo Sardi, nel 1801, a stipulare un nuovo contratto d’affitto sessennale del fondo con clausole ancora più restrittive per il conduttore. Questi doveva infatti restituire alla scadenza del contratto lo stesso numero di alberi che gli erano stati consegnati, non poteva recidere alcuna pianta, e poteva avvalersi delle sole fronde80. Negli 78 Cfr. SASS, ACSA, Cartacei, fasc. XXIX, 378: “È cosa indubitata (perché la costante e ferma sperienza lo dimostra) che l’albero di pioppo per giugnere alla sua perfezione vi si ricerca il corso di anni trenta. Ciò posto, deve dividersi l’intiero bosco in trenta parti uguali, con recidersene una in ogni anno, e senza preterizione nell’istesso anno tornarsi nuovamente a piantare; ed ecco una seria ed infallibile rendita ascendente a più migliaja; e la ragione è chiara, mentre diviso così in trenta parti uguali, e recidendosene una in ogni anno, e tornandosi subito a piantare pria che si recida quella del trentesimo anno, già è matura l’altra, che venne piantata nel primo anno”. Si ricordi che il taglio doveva tener conto dell’età della pianta, ma doveva anche eseguirsi in fase di luna calante, pena il severo deprezzamento del legno sul mercato: lo si ricava, tra l’altro, da una lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 12 febbraio 1835, (SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1833-1835) in cui, dando notizia della caduta di parecchi alberi a causa del vento, e chiedendo l’autorizzazione a venderli, si rammarica che le piante siano state abbattute “nell’aumento della luna, circostanza tanto disprezzante alla pubblica opinione”. 79 Cfr. SASS, ACSA, Cartacei, fasc. XXIX, 378, dispaccio del marchese Saverio Simonetti a Pietro Carrera del 21 luglio 1798: “ Avendo proposto al Re la perizia rimessa da Vostra Signoria con sua dimostranza de’15 dello scaduto giugno sul nuovo regolato sistema di piantaggione e di coltura da introdursi nel territorio detto il Bosco, appartenente alla Santissima Nunciata di Sulmona, di cui ella è amministratore, si è degnata la Maestà Sua approvarla, e di suo real ordine glie lo partecipo per la corrispondente esecuzione, respingendole a tale oggetto copia della stessa perizia per suo regolamento”. 80 Cfr. ASN, Segreteria d’Azienda, SS. Annunziata di Sulmona, carte in ordinamento, Prospetto dei nuovi affitti di terreni e case del Real Pio Luogo d’A.G.P. di Solmona, del 4 novembre 1801. 36 amministratori dell’istituto sembra insomma essersi creata, da Carrera in poi, la consapevolezza dell’esauribilità della risorsa boschiva e della necessità di operare un prelievo del legname a prese regolari. Gli effetti di tale cambio di rotta non tardarono a manifestarsi: i tagli indiscriminati cessarono, e il numero delle piante passò, come si è accennato, dalle 10.000 del 1797 alle 12.000 del 1840. I problemi legati alla gestione del fondo nella prima metà dell’Ottocento sembrano riferirsi più che altro ad occasionali controversie con i titolari dei terreni limitrofi per le solite questioni di sconfinamento, come quella che a partire dal 1820 oppose l’Annunziata ai baroni Francesco e Nicola Corvi81. Questi ultimi, per accedere ad un fondo di loro proprietà confinante con il bosco, avevano fatto costruire un ponte di legno sul fiume Sagittario e realizzato un viottolo, assoggettando di fatto il fondo di S. Rufino ad una servitù di passaggio. Di qui nacque una lunga lite, che si concluse nel 1841 con esito favorevole all’Annunziata82. A causa, tuttavia, del periodico verificarsi di simili episodi, l’amministratore Domenico Sardi decise nel 1846 di far riconfinare il terreno, apponendovi nuovi termini lapidei83. Altri danni al patrimonio boschivo provennero occasionalmente da fenomeni atmosferici: nel febbraio 1835 il forte vento abbatté 118 alberi fra pioppi, salici, querce, noci ed ontani, mentre nell’aprile 1841 le piogge a dirotto e le abbondanti nevi comportarono la perdita di parecchie giovani piante84. Più fre81 Cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1839-1840, lettera della Commissione amministrativa dell’Annunziata all’intendente dell’Aquila del 24 settembre 1840. 82 Cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1840-1841, lettera della Commissione amministrativa dell’Annunziata all’avvocato Panfilo Gentile del 3 ottobre 1841. 83 Cfr. SASS, ACSA, 22, Registri della corrispondenza 1843-1856, lettera del direttore dell’Annunziata Domenico Sardi alla Commissione amministrativa del 16 giugno 1846: “Fra le grandiose proprietà di questo pio luogo, per cui è salito a tanta altezza e decoro, non v’ha dubio che merita certamente particolare attenzione la grandissima estensione di territori a S. Rufino di oltre le 153 opere tutte di feracissima natura, con una sorgente di eccellenti acque nel suo centro e con una quantità di pioppi di molte e molte migliaia in nessun’altra contrada eguali. Tale quasi regia proprietà è rimasta sempre esposta all’avidità dei limitrofi compadroni, i quali forse insensibilmente occupando, han profittato della poca cura e vigilanza che le proprietà de’corpi morali sotto questo aspetto han sempre riportato. Laonde la necessità di una confinazione legalmente fatta si è da grandissimo tempo sentita, e l’amministratore don Pietro Carrera nella fine del passato secolo si determinò ancora a recar sopra luogo dei grandiosi segni lapidei da servire da segni di termini; ma rimasti colà abbandonati, ben pochi ora se ne rinvengono. Per le quali tutte cose sotto l’aspetto della massima utilità del pio luogo, affine di reintegrare ciò che avesse potuto insensibilmente occuparsi, affine di rimuovere ogni rischio di futura occupazione ed allontanare infine ogni responsabilità potesse aver luogo, mi sembra convenire in ogni modo di pregare la saggezza del ragguardevole Consiglio Generale a degnarsi di autorizzarmi per provedere a quanto si convenga, onde poter divenire alla menzionata confinazione legale”. 84 Cfr. rispettivamente SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1833-1835, lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente del 10 marzo 1835, e SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 37 quenti furono i dissesti dovuti alle alluvioni, giacché le piogge primaverili e autunnali provocavano spesso straripamenti del Sagittario. Di qui la necessità di rafforzare periodicamente gli argini del fiume, con spese talora piuttosto considerevoli85. Ai danni derivanti dalla natura non si aggiunsero più, tuttavia, quelli apportati dalla mano dell’uomo. L’uso del bosco, durante l’Ottocento, obbedì nel complesso alla logica del prelievo regolare, accompagnato da frequenti e puntuali opere di rimboschimento86. 5. I canali di irrigazione Un quadro generale delle proprietà rurali dell’Annunziata non sarebbe completo se non includesse i canali d’irrigazione (o “scerti”) che distribuivano le risorse idriche su una porzione considerevole del suolo coltivabile87. L’istituto ne era entrato in possesso nel 1634: a quell’epoca infatti la città di Sulmona, volendo estinguere un debito di 1.200 ducati che aveva con l’Annunziata, fu costretta a cederle queste infrastrutture di cruciale importanza per l’agricoltura della zona88. I canali in questione erano due, entrambi derivanti dal fiume 1840-1841, lettera della Commissione amministrativa dell’Annunziata all’intendente dell’Aquila del 18 aprile 1841. 85 Cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836-1838, lettere del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 14 settembre 1837 e del 19 luglio 1838. 86 Fra i numerosi documenti che accennano a lavori di rimboschimento, si veda SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836-1838, lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 3 luglio 1836: “Non obbliando annualmente le sagge disposizioni di cotesto Consiglio per lo rimpiazzo delle piante di pioppo nel bosco di questo ospizio a S. Rufino ne’luoghi ove sono stati recisi gli alberi di pioppo venduti, […] non ho mancato neppure in questo anno di far seguire un tale rimpiazzo, consistito in 350 piante”; ivi, lettera allo stesso del 18 giugno 1837: “Per mandare ad effetto gli ordini di cotesto Consiglio circa il rimpiazzo degli alberi di pioppo nel bosco di quest’ospizio venduti a subasta dietro le convenevoli autorizzazioni nell’anno 1835, furono impiantate n. 300 posture acquistate dal signor Domenico Corvi a ragione di grana 3 l’una, le quali importarono ducati 9”. 87 Sull’abbondanza di acque nella valle Peligna, cfr. P. SERAFINI , Monografia di Sulmona, cit., pp. 148-149; E. MATTIOCCO , Struttura urbana e società della Sulmona medievale , cit., pp. 111-112; A. DE MATTEIS, “Terra di mandre e di emigranti”. L’economia dell’Aquilano nell’Ottocento , cit., pp. 152-153. Lo stesso toponimo “Sulmona” sembra riconducibile etimologicamente alla ricchezza di acqua: cfr. la voce Sulmona in Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino, UTET, 1990, p. 641. 88 Cfr. SASS, ACSA, Registri, n. 11, Libro mastro della Real Chiesa e Sacro Ospedale d’A.G.P. di Solmona, c. 400v. Anche in altre aree della penisola non era infrequente il caso di grossi enti ecclesiastici proprietari di canali d’irrigazione: cfr. E. ROVEDA, Il beneficio delle acque. Problemi di storia dell’irrigazione in Lombardia tra XV e XVII secolo , “Società e storia” VII (1984), pp. 269287, qui 279; L. AIELLO , Monache e denaro a Milano nel XVII secolo in A. PASTORE – M. G ARBELLOTTI (edd.) L’uso del denaro, cit., p. 355. 38 Gizio: il primo, denominato “scerto grande”, deviava le acque del fiume verso oriente, e dopo aver scavalcato il corso del torrente Vella sul maestoso ponte delle Canala, provvedeva ad irrigare un’ampia zona compresa fra la città e la base del monte Morrone. Da esso si diramavano una serie di condotte secondarie, che penetravano fin dentro l’abitato, irrigando gli orti e i giardini. Un ulteriore ramo lambiva poi le mura occidentali della città, alimentando alcuni impianti industriali tra cui un mulino, una cartiera e una rameria di proprietà della stessa Annunziata89. Il secondo, detto “scerto piccolo” o “al ponte della Pietra”, attraversava la zona delle Cavate e dell’Arabona, a sud-ovest della città, passando sotto il ponte omonimo. A causa di lavori di manutenzione non eseguiti, questa condotta finì per interrarsi, restando inutilizzata. Fu così che, nel 1811, un tal Vincenzo Cattenazzi, proprietario di vasti appezzamenti nell’Arabona, offrì all’Annunziata di anticipare le spese per l’escavazione di un canale che sostituisse il vecchio. La nuova condotta, denominata da allora “scerto di Arabona” o “di Cattenazzi”, seguiva parallelamente il corso dell’altra, pur collocandosi più a monte90. Nel complesso, i canali posseduti dall’Annunziata, con tutte le loro ramificazioni, irrigavano una superficie abbastanza vasta del territorio, modificandone gli orientamenti colturali ed incrementandone le capacità produttive. Ancora molto arretrati erano tuttavia i metodi di irrigazione: il più diffuso era quello “a scorrimento”, che consisteva nel rompere con la zappa l’argine del canale, facendo affluire l’acqua senza alcuna guida su tutta la superficie dell’appezzamento91. Non risulta inoltre in uso nella zona la pratica, testimoniata altrove, di spargere sui campi la fanghiglia dragata annualmente dai canali, che aveva buone proprietà fertilizzanti92. Quanto ai criteri di gestione degli scerti, anche qui l’Annunziata era solita ricorrere all’affitto. La conduzione in economia, che si ebbe solo eccezional89 Sul percorso di questo canale, cfr. E. MATTIOCCO , Struttura urbana e società della Sulmona medievale , cit., pp. 112-113. Per un quadro dei canali irrigui presenti nella zona, cfr. E. MAT TIOCCO – F. VAN W ONTERGHEM, Sistemi irrigui nel territorio dei Peligni tra antichità e medioevo , “Atlante tematico di topografia antica” 4(1995) pp. 197-209. 90 Cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836-1838, lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 19 luglio 1838: “Il canale così detto di Cattenazzi prese tale dominazione [ sic] sin dall’anno 1811, tempo in cui l’antichissimo canale detto Scerto piccolo di proprietà di questo ospizio, a causa delle alluvioni e straripamenti, erasi inutilizzato, in modo che doveva interamente rinnovarsi in sito superiore a quel vecchio, accostandosi l’incile sopra corrente, operazione che presentava un interesse non lieve. Allora fu che la famiglia de’ signori Cattenazzi si offrì eseguirne il lavoro anticipandone le spese per esserne rivalsa dalla Commissione amministrativa quando conveniva agli interessi dell’ospizio, rivaluta che si verificò nel 1814 circa”. 91 Sui metodi di irrigazione diffusi nella zona, cfr. T. B ONANNI , Le antiche industrie della provincia di Aquila, Aquila, Grossi, 1888, pp. 65-69; V. B ATTISTA, La via del grano. Lavoro e cultura contadina nella Valle Peligna, cit., pp. 21-24. 92 Cfr. B. H. SLICHER VAN B ATH, Storia agraria dell’Europa occidentale , cit., p. 357. 39 mente, comportava per gli amministratori “grave imbarazzo, responsabilità ed inquietudine”, e si traduceva spesso in un guadagno minore93. I contratti, stipulati sempre in primavera, nell’imminenza dell’inizio dell’irrigazione, che si protraeva da maggio ad agosto, prevedevano delle clausole abbastanza uniformi94. La durata dell’affitto poteva variare da uno a sei anni, a seconda dell’affidabilità e della forza contrattuale del conduttore, spesso peraltro affiancato da garanti che si obbligavano in solido per il rispetto degli obblighi contrattuali. L’affittuario si impegnava a corrispondere un estaglio in moneta, sovente in tre rate, e rinunciava a qualunque richiesta di scomputo per mancanza d’acqua. Doveva eseguire a proprie spese tutti i lavori di manutenzione ordinaria dei canali, mentre restavano a carico del luogo pio solo le spese occorrenti per restaurare le strutture “in caso di dirroccamento”. Era poi tenuto a dividere la corrente delle acque in maniera tale che una quantità adeguata fluisse nel canale che alimentava il mulino, la cartiera e la rameria, assumendo l’obbligo di risarcire i gestori di questi tre impianti per ogni eventuale danno. Si impegnava ad attenersi a precise tariffe nella somministrazione dell’acqua ai vari terreni: prezzi più elevati (fino a 40 grana per opera nel 1826) erano ammessi per le redditizie colture orticole e per alcuni vigneti, mentre per il resto dei terreni doveva accontentarsi di compensi più bassi (non più di 24 grana per opera). Era infine obbligato a restituire gli scerti al termine dell’affitto in buone condizioni e adeguatamente spurgati. A tenore di tali accordi, in definitiva, gli amministratori dell’Annunziata dovevano preoccuparsi soltanto di eseguire i più importanti lavori di riparazione delle condotte. Tra questi, particolarmente frequenti erano i restauri degli incili (ossia le imboccature dei canali irrigui), spesso danneggiati dalla neve e dalle alluvioni, nonché il consolidamento delle strutture essenziali al funzionamento di tutto il sistema irriguo, come il già ricordato ponte delle Canala95. 93 La citazione è tratta da SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836-1838, lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 19 maggio 1836. Nel periodo 1818-1861, la gestione degli scerti in amministrazione si ebbe solo per il triennio 1833-1835: cfr. SASS, ACSA, Registri, n. 41, Libro maggiore 1814-1815, c. 68v. 94 Cfr. SASS, ACSA, Registri, n. 11, Libro mastro della Real Chiesa e Sacro Ospedale d’A.G.P. di Solmona, cc. 400v-407v, per i contratti stipulati dal 1790 al 1806, e SASS, ACSA, Registri, n. 41, Libro maggiore 1814-1815, c. 65v e segg. per quelli stipulati dal 1815 al 1847. La citazione che segue nel testo è tratta dalle clausole del contratto con Giacomo Granata, concluso il 30 aprile 1815. 95 Danni agli incili sono documentati tra l’altro nel 1828 e nel 1836. Nel primo caso, le “copiose nevi” provocarono la rottura dell’incile dello scerto piccolo, mentre nel secondo, le “alluvioni avvenute in modo straordinario” il 5 e 6 luglio danneggiarono gravemente l’incile dello scerto grande: cfr. rispettivamente SASS, ACSA, 21, Registri della corrispondenza 1824-1828, lettera del direttore Vincenzo Sardi all’intendente dell’Aquila dell’8 maggio 1828, e SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836-1838, lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aqui- 40 Assai pesanti erano viceversa gli obblighi posti a carico degli affittuari, e va notato che l’adempimento dei vincoli contrattuali veniva in genere preteso con una certa inflessibilità. Lo dimostra, fra l’altro, il caso di Croce Balassone, conduttore degli scerti dal 1821 al 1826 per l’estaglio annuo di 755 ducati. Questi sperimentò fin dall’inizio una certa difficoltà a pagare la somma convenuta, perciò, fondandosi sul mancato rispetto di alcuni vincoli da parte dell’Annunziata, chiese ed ottenne nel 1823 uno scomputo di 80 ducati l’anno96. Neppure in tal modo, tuttavia, riuscì a far fronte ai suoi obblighi: il volume delle acque, ridotto in quegli anni a quantità assai modeste, non gli consentì di ricavare dai diritti d’irrigazione neppure la metà delle somme che doveva annualmente all’istituto97. Quest’ultimo fu dunque autorizzato ad espropriare diverse proprietà di Balassone e di tutti i suoi garanti, anche se non riuscì mai a recuperare tutto il denaro di cui era creditore98. Oltre ad ammettere, naturalmente, cause di ordine climatico, la diminuzione del flusso delle acque poteva derivare anche dalla mano dell’uomo. Frequenti erano, in particolare, le sottrazioni di acqua compiute dagli abitanti di la del 31 luglio 1836. Per quanto concerne il ponte delle Canala, sappiamo che nel maggio 1761 subì il crollo di una parte in muratura lunga 5 canne e mezza (all’incirca 11 metri). L’imminenza dell’inizio della stagione delle irrigazioni indusse l’amministratore Biase Zampichelli ad approntare provvisorie riparazioni in legname, che costarono 40 ducati: cfr. ASN, Tribunale misto, Processi, 900, relazione del governatore di Capestrano Pietro Celentani dell’8 gennaio 1762. Nel giugno 1814, il ponte richiese ancora urgenti lavori di restauro. Come afferma una nota redatta da Giuseppe Arcangioli e dal direttore Vincenzo Sardi, i lavori “debbono farsi sollecitamente, primo perché dovendosi cominciare l’irrigazione, l’impeto dell’acqua che passar deve per lo cennato canale produrrebbe un guasto considerevole, cosicché la spesa poi sarebbe quadrupla di quella che al presente occorre; secondo perché trascurandosi i riattamenti medesimi, il ponte potrebbe ancora pericolare, ed allora oltre della spesa per la rifazione, che sarebbe incalcolabile, non si potrebbe avere il beneficio della irrigazione, si correrebbe il rischio di perdere tante derrate, e sarebbero in conseguenza grandi ed inesprimibili gli schiamazzi ed i clamori del popolo; terzo perché mancando l’irrigazione, l’ospizio verrebbe a privarsi di un cespite di rendita ben significante”: cfr. SASS, ACSA, Mandati di pagamento , vol. 1, giugno- dicembre 1814, c. 108r. 96 Cfr. SASS, ACSA, 21, Registri della corrispondenza 1824-1828, lettera del direttore Vincenzo Sardi all’intendente dell’Aquila del 17 marzo 1825: “Nell’anno 1821 si procedé all’affitto degli scerti delle acque in subasta, e rimase per anni sei e per l’annuo estaglio di ducati 755,00 ad un tal Croce Balassone di questo comune, ed a di costui favore fu da cotesto Consiglio approvato. Il Balassone diede varj garanti, ed ottenne da cotesto stesso Consiglio un annuale diffalco di ducati 80,00 sul cennato estaglio, a causa di non essersi aperto il formale della Madonna delle Grazie, cosicché l’estaglio stesso si ridusse a ducati 675. In ciascun anno, il cassiere ha durato molto stento e fatica, e per via di coazioni, e mezzi giudiziarj contro del principale, e de’ garanti, ha esatto come meglio ha potuto, ed ora in saldo del 1824 debbono esigersi altri ducati 549,25”. 97 Cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1836-1838, lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 13 novembre 1836. 98 Cfr. ivi, lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 22 giugno 1836. 41 Pettorano, un comune situato in prossimità delle sorgenti del Gizio, da cui si alimentavano, come si è accennato, i canali irrigui di proprietà dell’Annunziata99. Nel luglio 1826, ad esempio, i pettoranesi edificarono delle “forti impalizzate” nell’alveo del fiume, facendo sì che pochissima acqua fluisse verso Sulmona, al punto che fu necessario interrompere l’attività dei mulini e delle gualchiere cittadine100. Nell’agosto 1833 una nuova emergenza fu provocata dalla sistemazione di “grosse ceppe, lunghi travi e grossi margini” in prossimità delle imboccature dei canali posseduti dall’istituto101. Nel settembre 1839, infine, con il pretesto di restaurare il vecchio ponte d’Arce, i pettoranesi ne intrapresero la costruzione di uno nuovo, strutturato però in maniera tale da alimentare i canali che adacquavano le campagne del piccolo centro in modo assai più abbondante che nel passato102. Tali episodi non furono tuttavia che le manifestazioni più evidenti di un conflitto mai del tutto sopito, che dava anzi adito, considerata l’entità degli interessi in gioco, a gravi problemi di ordine pubblico. Non per caso, le operazioni di distribuzione delle acque irrigue dovevano spesso eseguirsi con l’assistenza di gendarmi103. 99 Le controversie tra gli abitanti di Sulmona e Pettorano per l’utilizzo delle acque irrigue sono antichissime: le prime testimonianze in merito risalgono al 1291: cfr. E. MATTIOCCO , Sulmona. Città e contado nel catasto del 1376, cit., p. 34. Sull’argomento, cfr. C. MARINUCCI , Una controversia in materia di acque in E. MATTIOCCO (ed.) Scripta et scripturae , cit., pp. 71-98. 100 Cfr. SASS, ACSA, 21, Registri della corrispondenza 1824-1828, lettera del direttore Vincenzo Sardi all’intendente dell’Aquila del 13 luglio 1826. 101 SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1833-1835, lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila dell’11 agosto 1833. 102 Cfr. SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1839 – 1840, lettera di Scipione Corvi al sottintendente di Sulmona del 19 settembre 1839: “Non ho potuto pria di questo giorno significarle le mie osservazioni sulla nuova opera che il sindaco di Pettorano intende fare sul corso delle acque del fiume Gizzio nel locale detto ponte d’Arce col fondare i due pilastri a fabbrica per costruirvi un ponte in surroga del vecchio cadente […] e tra perché non ho potuto avere sott’occhio il progetto dell’opera, e tra perché ho voluto attendere lo scavo delle fondazioni per vederne la direzione. Non ho trascurato giorno per giorno di farvi assistere persona dell’arte, ed avendo ricevuto l’avviso di essersi già incominciato ad operare, che immantinenti nella giornata di ieri insieme coll’avvocato dell’ospizio ci portammo sopra luogo, e col massimo rincrescimento rilevammo che l’oggetto di quel comune di Pettorano non è quello di rinnovare il vecchio ponte cadente, ma di divergere al di più che si può la corrente delle acque, costruendo un muro alla parte di oriente non rettilineo come era costruito l’antico ponte, ma in linea piegata, sufficiente a far divergere le acque per imboccare una maggiore quantità, ed anche totale se fosse possibile, nell’incile del formale detto di ponte d’Arce, che irriga i campi di esso e degli altri sottoposti […] Potendo aver luogo e termine quella operazione novella, gravissimi pregiudizi ne risentirebbe l’ospizio, e le campagne di questa città potrebbero fin da ora dirsi a secco”. 103 Le testimonianze in proposito sono numerosissime. Per tutte, si veda SASS, ACSA, Protocolli corrispondenza 1833-1835, lettera del direttore Scipione Corvi all’intendente dell’Aquila del 6 ottobre 1833: “Che tale guardia […] sia stata necessaria ed indispensabile può contestarlo 42 Tabella XIV - Rendita in ducati proveniente dall’affitto dei canali di irrigazione (1818-1861) Anno Rendita canali di irrigazione % Rendita lorda complessiva dell’Annunziata 1818 640,00 5,68 11.253,51 1819 640,00 4,14 15.437,10 1820 640,00 5,14 12.449,01 1821 251,67 1,94 12.967,45 1822 186,20 1,39 13.313,90 1823 355,17 2,44 14.497,68 1824 205,75 1,30 15.732,35 1825 442,34 3,24 13.649,95 1826 528,00 4,20 12.543,15 1827 624,00 4,49 13.891,87 1828 475,84 3,69 12.888,61 1829 700,00 5,59 12.504,66 1830 700,00 6,49 10.773,68 1831 570,00 4,75 11.975,10 1832 570,00 4,14 13.764,76 1833 566,14 3,94 14.339,94 1834 663,02 4,74 13.961,33 1835 550,77 4,35 12.643,68 1836 476,44 4,11 11.569,91 1837 505,00 4,23 11.917,95 1838 624,00 5,05 12.337,02 1839 635,00 4,93 12.872,85 1840 635,00 4,42 14.347,05 1841 560,01 4,69 11.934,47 1842 577,32 5,09 11.332,26 1843 798,40 6,93 11.506,70 1844 746,56 6,18 12.071,10 1845 800,00 6,42 12.450,72 1846 500,00 4,06 12.312,15 1847 700,00 5,35 13.066,14 1848 770,00 5,23 14.710,73 1849 700,00 4,95 14.120,62 1850 700,00 3,58 19.505,71 1851 700,00 3,58 19.550,02 1852 800,00 3,97 230.151,04 1853 750,00 4,38 17.100,12 1854 760,00 5,07 14.974,39 1855 800,00 4,92 16.234,73 1856 850,00 4,79 17.716,61 1857 750,00 3,67 20.427,98 1858 750,00 3,52 21.256,29 1859 750,00 3,70 20.252,20 1860 750,00 3,36 22.302,27 1861 750,00 2,91 25.695,18 Fonti: SASS, ACSA, Registri di introito 1818-1861. 43 Alla luce di tutto questo, può ben comprendersi l’orientamento seguito dagli amministratori dell’Annunziata, che, concedendo in affitto i canali d’irrigazione, scaricavano sui conduttori i rischi e le inquietudini connesse a tali problematiche, preoccupandosi solo di incassare gli estagli in corrispondenza delle scadenze pattuite. A quanto ammontava la rendita che l’istituto ricavava dagli scerti? Anche in questo caso, siamo in grado di rispondere a tale domanda solo per il periodo che va dal 1818 al 1861, come può più dettagliatamente osservarsi nella tabella XIV. Le somme variavano da un minimo di 186,20 ducati, registrato nel 1822, ad un massimo di 850 ducati, attestato nel 1856. L’incidenza di tale rendita sulla rendita lorda complessiva oscilla dall’1,30% al 6,93% 104. Se si considera che la media dell’intero periodo è del 4,33% , può concludersi che dai canali d’irrigazione l’Annunziata ricavava una rendita non elevata, ma comunque sicura e non soggetta alle imprevedibili fluttuazioni di altri cespiti. lo stesso signor sindaco, non solo, ma il fatto stesso, giacché per raro esempio l’irrigazione si è eseguita senza le solite risse ed omicidi, ed altri gravissimi sconcerti, verificati in tutti i tempi trascorsi periodicamente”. 104 Per ciò che riguarda il periodo anteriore, è possibile fare un confronto solo con il 1728 (l’unico stato patrimoniale completo del ’700 di cui disponiamo si riferisce infatti a tale anno). A fronte di una rendita lorda di 6.966,85 ducati, la rendita proveniente dall’affitto degli scerti era di 236 ducati, con un’incidenza del 3,38% : cfr. SASS, ACSA, 6, Collegiata chiesa di A.G.P., cc. n.n 44