"Seguendo il pensiero del Magistero ecclesiale, possiamo elaborare quasi un discorso teologico sui beni culturali, considerando che essi hanno parte nella sacra liturgia, nell’evangelizzazione e nell’esercizio della carità. Essi, infatti, in primo luogo rientrano fra quelle «cose» che sono o sono state strumenti del culto, «santi segni» , «res ad sacrum cultum pertinentes», secondo la definizione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium. Il senso comune dei fedeli percepisce per gli ambienti e gli oggetti destinati al culto la permanenza di una sorta di impronta che non si esaurisce anche dopo che essi hanno perduto tale destinazione". Lo scrive Papa Francesco nel messaggio inviato al Convegno “Dio non abita più qui? Dismissione di luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici”, organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura.

"I beni culturali ecclesiastici - ha aggiunto Francesco - sono testimoni della fede della comunità che li ha prodotti nei secoli e per questo sono a loro modo strumenti di evangelizzazione che si affiancano agli strumenti ordinari dell’annuncio, della predicazione e della catechesi. Ma questa loro eloquenza originaria può essere conservata anche quando non sono più utilizzati nella vita ordinaria del popolo di Dio, in particolare attraverso una corretta esposizione museale, che non li considera solo documenti della storia dell’arte, ma ridona loro quasi una nuova vita, così che possano continuare a svolgere una missione ecclesiale".

"I beni culturali - ha concluso Papa Francesco - sono finalizzati alle attività caritative svolte dalla comunità ecclesiale. Ciò costituisce un costante insegnamento ecclesiale che, pur inculcando il dovere di tutela e conservazione dei beni della Chiesa, e in particolare dei beni culturali, dichiara che essi non hanno un valore assoluto, ma in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri. La constatazione che molte chiese, fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero, o per una diversa distribuzione della popolazione nelle città e nelle zone rurali, va accolta nella Chiesa non con ansia, ma come un segno dei tempi che ci invita a una riflessione e ci impone un adattamento".