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Ratzinger Schuelerkreis, Cardinale Koch: “Anche la Chiesa riscopra la redenzione”

Dopo il simposio dello scorso anno sulla questione di Dio, allievi vecchi e nuovi di Ratzinger si sono concentrati sulla questione della redenzione. Ecco perché

Ratzinger Schuelerkreis 2021 | Un momento del simposio del Ratzinger Schuelerkreis del 18 settembre 2021 | EWTN Deutsch Ratzinger Schuelerkreis 2021 | Un momento del simposio del Ratzinger Schuelerkreis del 18 settembre 2021 | EWTN Deutsch

C’è un filo rosso che unisce la riflessione sulla questione di Dio alla redenzione. Perché si crede in Dio, e soprattutto nel Dio cristiano, soltanto se si crede di essere redenti, ovvero di essere profondamente amati da Gesù Cristo. È il centro della teologia di Benedetto XVI, ed è la riflessione alla base del III Simposio internazionale del Ratzinger Schuelerkreis.

Un po’ di storia. Quando Joseph Ratzinger fu nominato arcivescovo di Monaco, i suoi ex studenti chiesero di continuare a vedersi per sviluppare insieme le riflessioni cominciate. Ratzinger acconsentì. Si creò così un Circolo di ex allievi, coordinato da padre Stephan Horn, salvatoriano, che di Ratzinger era stato assistente universitario. Non era niente di strutturato, perché Benedetto XVI non ha mai voluto creare una scuola teologica. Ma divenne un appuntamento fisso e atteso, che è continuato anche quando Joseph Ratzinger fu chiamato a Roma come prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, e persino quando fu eletto Papa. Non solo: quando rinunciò al pontificato, gli incontri dello Schuelerkreis sono continuati, anche senza la presenza del maestro. E nel frattempo, si era creato un “Nuovo Schuelerkreis”, fatto non più dagli studenti di Benedetto XVI , ma da studenti che si erano formati sul pensiero di Benedetto XVI.

Tre anni fa, il vecchio e il nuovo Schuelerkreis hanno dato vita a un nuovo modo di incontrarsi: un simposio pubblico, da tenersi ogni anno, per rendere vivo e presente il pensiero del Maestro e diffonderlo anche nella società. Guida di questo nuovo gruppo è il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

È stato proprio il Cardinale Koch a dare il via e a concludere al simposio pubblico di quest’anno, tenutosi il 18 settembre. Linea guida è stato, ovviamente, il pensiero di Benedetto XVI. E due frasi in particolare: “Dio viene come un agnello, cioè la redenzione del mondo”; e “Solo essere amati è essere redenti”.

“Sappiamo dalla nostra esperienza – ha detto il Cardinale Koch - che la vera radice di tutta la felicità è la profonda comprensione che una persona ha di se stessa. Solo coloro che possono accettarsi per quello che sono possono diventare felici. E solo chi sa accettare se stesso può accettare anche gli altri e il mondo”.

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Per il Cardinale Koch, ci si può accettare solo se prima si viene accolto da Qualcun altro che gli parla. E per questo: “Ciò che Joseph Ratzinger confessa sulla redenzione di noi uomini attraverso Cristo è ancora più vero della sua perfezione escatologica. Perché l'amore infinito e senza limiti di Dio vuole l'eternità per ogni essere umano. La fede cristiana ci dà questa fiducia quando viviamo in quella grande speranza che può essere solo Dio stesso, che ci dà ciò che noi soli non possiamo, cioè la vita eterna”.

Il cardinale Koch vede una continuità tra il simposio dello scorso anno e quello di quest’anno, perché “”al centro delle considerazioni c'era la convinzione che noi cristiani non crediamo solo in un Dio qualsiasi, ma in un Dio che è legato a noi umani, vuole esserci per noi umani e quindi vuole la nostra salvezza”.

Il Dio venuto “per noi uomini e per la nostra salvezza” – come si legge nel credo niceno costantinopolitano – è un segreto della fede che “non è più evidente nel mondo di oggi e nemmeno nella Chiesa, motivo per cui deve essere riaperto. È importante partire dalle elementari, cioè dalla questione delle persone. Poiché è all'uomo che Dio vuole donare la redenzione, sorge la domanda su come l'uomo concepisca se stesso per poter essere ricettivo al dono della redenzione. Secondo l'analisi sensibile di Joseph Ratzinger, ci sono due possibilità, certamente completamente contrarie, di autocomprensione umana, che egli descrive come la visione gnostica e cristiana o cristologica”.

Nella visione gnostica – continua il Cardinale Koch – “Dio non può in alcun modo essere inteso come amore, semplicemente perché l'amore rende l'uomo dipendente. Allo gnostico l'amore sembra troppo insicuro e quindi troppo pericoloso”. Invece, “il cristiano, che vede se stesso come l'immagine di un Dio che vive egli stesso nelle relazioni nella vita divina interiore, cioè nella comunità trinitaria d'amore, non può, secondo la sua costituzione di creatura, altro che dagli altri e in una Vita fiduciaria fondamentale”. Una dipendenza “non umiliante né degradante” proprio perché ha la forma dell’amore.

E così “alla luce della fede cristiana, è l'amore di Dio che opera tale trasformazione e che guarisce anche i disordini delle relazioni umane, cioè i peccati. La fede cristiana è quindi convinta che la creazione di Dio sia già espressione del suo amore e che noi uomini non esistiamo se non sul fondamento dell'amore”.

Ma da dove prende il concetto dell’amore, Benedetto XVI? Dalla famiglia, risponde l’arcivescovo Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia e Segretario particolare di Benedetto XVI.

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È partendo dalla famiglia che si comprende il senso della soteriologia di Benedetto XVI. Una teologia della salvezza che “cerca di rispondere a uno dei problemi più scottanti del mondo, ossia il fatto che, nonostante tutti gli sforzi, l'uomo non è in alcun modo ancora salvo e né libero e sta anzi vivendo una crescente alienazione”.

Si tratta – prosegue l’arcivescovo – “dell'esperienza di un'umanità che si è separata da Dio e in questo modo non ha trovato la libertà, bensì solo la schiavitù".

Il segretario particolare di Benedetto XVI ripercorre la teologia del maestro, e nota che la liberazione “sembra essere il programma a cui si sono dedicate tutte le culture contemporanee in tutti i continenti”. Scriveva Joseph Ratzinger: "Sulla scia di queste culture, la volontà di cercare la liberazione permea il movimento teologico dei vari settori culturali del mondo. La ‘liberazione’ è anche il concetto chiave dei paesi ricchi del Nord America e dell'Europa occidentale: la liberazione dall'etica religiosa e con essa dai limiti dell'uomo stesso. La liberazione viene ricercata anche in Africa e in Asia, dove il distacco dalle tradizioni occidentali si presenta come un problema di liberazione dall'eredità coloniale nella ricerca contestuale della propria identità. Si parla di liberazione in Sud America, dove è intesa soprattutto in senso sociale, economico e politico”.

Insomma, il problema della redenzione e della salvezza è “ diventato la questione centrale del pensiero teologico". E per Benedetto XVI “la fede nell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo è il centro stesso” della sua teologia, e la professione di fede per Ratzinger è “fede nell'incontro ultimo di redenzione di Dio e dell'uomo in Gesù Cristo”.

 

“L'incarnazione – conclude l’arcivescovo Gaenswein - trova il suo compimento nella croce e nella risurrezione. Questo nesso è anche la vera ragione della rivendicazione cristiana di assolutezza. L'unità con Dio in Gesù Cristo è insuperabile. Solo la fede ci permette di partecipare alla salvezza che ci è data per mezzo di Gesù Cristo e in comunione con Lui”.