A precedere una guerra è sempre un sentimento malconcio, dove il rispetto e la vita dell’altro è un ouverture al menefreghismo e del valore, pari a zero, che dai a quelle vite, disfatte in un fosso di ossa.
Quando la guerra inizia, è in realtà in atto da tempo anche se in un’atmosfera apparentemente pacifica; è in questa bolla di quiete che si nasconde il conflitto per poi scoppiare.
Così, di punto in bianco? No, è un errore comune confondere un’azione improvvisa da un’azione premeditata, macinata nella mente di un “boia- aiutante boia” Ma la guerra è ossa, carne, sangue, dolore, corpi mai ritrovati, cadaveri che sbalzano su tombe di sabbia, perdita anche nella vittoria.
E’ il cessare di quei respiri, mancanza di aria e sfinimento di corpi inermi sotto i nostri piedi, sotto i nostri nasi, odori che strappano il respiro. Per un attimo il mio si ferma. Un momento di empatia, dove invano cerco di raggiungere, anche se per un attimo, la morte, come se dovessi capire fino a quale punto la vita smette di esistere. Tutto ad un tratto l’aria trapassa i polmoni, sento il sussurro del vento e vedo la luce del sole immettersi tra me e quell’attimo di empatia. Ed è quello che rende la mia vita diversa da quella di una vittima di guerra.
Questo è uno dei punti di partenza per un lungo elenco di cose che separano una persona morta da una persona viva. E’ il ricordo numero uno da anni, quando penso alla mancanza di scrupoli di chi ha inflitto tale morte. Di chi ha puntato una pistola colpendo il respiro di una persona che non avrà la possibilità di vedere il sole sorgere, crescere oppure invecchiare; procreare oppure vivere se non come un mero ricordo di guerra, un corpo senza vita.
E adesso mi rivolgo a coloro che hanno causato così tanti morti, che sono rimasti impassibili dinnanzi a tanto orrore, per il vostro cinismo, per il vostro menefreghismo verso la vita di certe etnie e certe persone.
Nessuna scusa solo lobby e mosse strategiche, dentro e fuori i vostri confini, pur di screditare e indebolire quelle terre che avete riempito di morte, di vittime innocenti privandole anche di una degna tomba. Tutto è documentato, innumerevoli sono le testimonianze, sconfinato è il dolore. Ma da parte vostra nessun tipo di rimorso, finché ancora oggi, non un accenno a una richiesta di un umile perdono. Io ho la pelle d’oca…
Dopo aver visto un documentario del noto giornalista albanese Marin Mema, sulle piaghe tutt’ora dolenti del popolo albanese in Kosovo, ho sentito un urgente bisogno di esprimere l’indignazione dinnanzi a coloro che non hanno capito il rispetto per la vita altrui, senza preselezione di etnie o credo, e che, anche dopo anni, si comportano come se niente fosse mai successo. Come se quelle vite non fossero mai esistite oppure non meritassero di esistere.
Nel documentario, le lacrime di un signore anziano il quale deluso dalla “post -ingiustizia” lascia la parola a Dio – mi conducono alla mia domanda: “E le vostre sincere scuse?” – Per tutte le vittime di guerra albanesi e non, anche per le tue vittime, quelle innocenti, quelle che non provano nessun sentimento di guerra e di odio, per quelli che si vergognano in silenzio o che desiderano chiedere delle scuse.
Anche quelle sono le vostre vittime, per le quali provo un’immensa pietà ed empatia. Per mille ragioni. Non vorrei che le mie parole procurassero nessun tipo di imbarazzo né a loro né ai miei conoscenti, provenienti dalla vostra stessa terra, ma tuttavia questi sono fatti realmente accaduti, quando invece le vostre pubbliche scuse devono ancora realmente accadere.
E’ dura accettare la cruda verità e riconoscere i crimini di guerra senza troppi giri di parole, ma è ancora più dura per chi è stato e continua essere una vittima innocente delle vostre follie. Non c’è nessuna giustificazione che può reggere delitti inferiti con tanto odio e disprezzo. Il precedere di una guerra va ricercato nel disprezzo che il carnefice provava già nei confronti della vittima. E quello temo sia tutt’ora vivo, in un contesto politico malsano, talmente pericoloso anche nel suo silenzio o nella costruzione di una nuova immagine da benefattori. Quelle fiamme non del tutto spente possono far riemergere quei sentimenti che precedono un “conflitto” che sembra non essere quietato.
Perché non si è lavorato abbastanza su una seria presa di coscienza. Piuttosto, abbiamo un mare di rifiuti del passato, che cambiano vestito ornandolo di perline, ma la pelle che lo indossa cerca un nuovo vizio, che non è poi così lontano dal vecchio vizio. Intenta a reinventare la propria immagine perseguendo una offensiva strategia di marketing.
In un’epoca di cambio generazionale, si rischia di accentuare sentimenti di disprezzo e di odio con politiche propagandistiche, ai limiti del patetico, offendendo, prima di tutti le vittime di guerra. Qualsiasi siano le tattiche è stupido pensare che si possa ancora continuare ad agire come se niente fosse mai successo. E’ successo invece, eh, si!
E dal momento in cui vedi tante ingiustizie, specialmente se si tratta di vittime di guerra, capisci che, in quanto cittadina, non hai fatto abbastanza per contestare politiche nocive e totalmente scorrete, verso un popolo che ha subìto la guerra e che continua a subire movenze malintenzionate. Segnali da non sottovalutare in quanto retoriche guerrafondaie.
Quello che è certo che le patologie del nazionalismo sono ancora una piaga in tutta la penisola balcanica, c’è chi più e c’è chi meno, ma nessuno si è liberato del tutto.
E’ arrivato il momento di un confronto per discutere sulle prospettive comuni: su cosa i politici, dei rispettivi paesi vogliano offrire alle nuove generazioni, interesse di una realistica prospettiva di pace.? Ma l’unica via per riuscirci è mettere luce sulle ombre del passato e porre fine ai giochi disonesti del presente.