Si epifanizza (nel senso che si connette, ma nel suo caso non sarebbe abbastanza mistico) sullo schermo via Zoom con il bel viso incorniciato da una barba solenne e bizantina, che lo rende più maturo dei suoi 36 anni: Daniel Roseberry, direttore creativo della Maison Schiaparelli, somiglia a un profeta biblico, un aristocratico tormentato, un poeta romantico che mai si stanca di confezionare bouquet di parole.

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Look della collezione A/I 21-22 esposto alla mostra Shocking! The surreal world of Elsa Schiaparelli, Musée Des Arts Décoratifs di Parigi, fino al 22 gennaio 2023.

Daniel Roseberry, texano Vergine

È un grandissimo lavoratore: «Sono della Vergine come Elsa Schiaparelli. Ma in più ho l’ascendente Vergine, pianeti in Vergine: una tripla Vergine. Tutto terra e fuoco, né acqua né aria nella mia carta astrale. Quindi sono davvero pratico, pragmatico, strategico, analitico e perfezionista. I miei punti di forza? Sono romantico, fantasioso e divertente. E le debolezze sono eccessive, autodistruttive e inconsapevoli». Dai saldi princìpi morali si intuisce che è figlio di un’artista e di un pastore (lui dice «prete»), professione abbracciata anche da uno dei suoi fratelli. È nato nella sana e affidabile provincia texana, a Plano, non lontano da Dallas. Un bravo ragazzo, insomma.

Molto esigente e pignolo fino allo spasimo come solo un vero couturier può, anzi deve essere. E non solo nella sartoria di una raffinatezza irrispettosa e incalzante, ma anche negli accessori: borsette a forma di scatola-regalo o scolpite come busti, i bijou giganti, violentemente, perversamente raffinati – bulbi oculari, nasi, mani, labbra, alberi vascolari di polmoni umani e naturalmente l’enorme broche ispirata alla colomba di Picasso, che Daniel ha disegnato per l‘abito di Lady Gaga quando lei ha cantato The Star-Spangled Banner per l’insediamento di Joe Biden. L’aveva appuntata su un abito rosso e blu a simboleggiare la pace di cui la Nazione ha un disperato bisogno.

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Daniel Roseberry, direttore creativo della Maison Schiaparelli.

La prima sfilata

Tutto inizia ad aprile 2019, quando viene scelto come direttore creativo di Schiaparelli da Diego Della Valle, che ha acquisito il marchio. Il passaggio dalle strade grezze e rumorose di New York al cuore del quartier generale della Maison, in Place Vendôme a Parigi, può sembrare una favola, ma lui non ha tempo di aspettare una magia: la sfilata di esordio è prevista due settimane dopo. E il fashion system ha gli occhi puntati su di lui, il bel texano che ricrea il sofisticato e intellettualissimo “Hard Chic” della nobildonna italiana. La magia è avvenuta. La sfilata è un trionfo. Roseberry riporta alle glorie di un tempo il fulgore selvaggio ed elegante della couturière surrealista italiana rivale di Chanel. Anzi, di più: fa conoscere una stilista, oseremmo dire un’artista, che, pur avendo scritto una pagina fondamentale della storia della Moda occidentale, a tutt’oggi è sconosciuta alla generazione Z e a molti millennial.

Una borsa con macro lucchetto della collezione Ready to Wear 22-23 di Schiaparelli, in uno scatto dal flair surrealista.

Una borsa con macro lucchetto della collezione Ready to Wear 22-23 di Schiaparelli, in uno scatto dal flair surrealista.

Roseberry prima di Schiaparelli

Roseberry ha un curriculum impressionante: artista, pittore, designer, factotum per sei anni nell’atelier di Thom Browne, forse l’ultimo rimasto dei grandi stravaganti d’Oltreoceano che sanno realizzare un abito secondo regole immutabili, dopo Charles James. Poiché la sua serietà è contagiosa (spoiler: tra un po’ non sarà più così), lo stuzzico rivolgendogli una delle domande che meno sopporta: ha finito o no di leggere quella benedetta autobiografia della Schiaparelli che tre anni fa disse di non avere neanche voglia di sfogliare? Non l’ha fatto. «So di avere molte connessioni con lei su piani spirituali, metafisici e filosofici e non ho bisogno di sapere molto sulla sua vita privata», sorride. Ed elenca le similitudini.

Cos’hanno in comune Elsa e Daniel

Né lui né Elsa sapevano tenere un ago in mano («se mi salta un bottone, vado nel panico», ammette), cucire era fuori discussione ma disegnare bene invece no: usavano le matite come prolungamento delle mani, a imbastire figure di volti, paesaggi, silhouette. «Sono figlio di un prete e di un’artista, credo alle connessioni alchemiche e spirituali tra due anime, anche se lontane nel tempo. Conosco ogni creazione, ogni disegno di Elsa, mi creda. Non mi servirebbe a nulla sapere con chi andava a letto, non sarebbe mortificante? Inoltre, nel suo atelier, è come se lei fosse sempre presente: si vive e si lavora fra tracce di mito, mitologia e iconografia stabiliti da lei. Per questo, oltre a non leggere la sua autobiografia, non ho voluto nemmeno riaprire un suo archivio. Il mio compito era di traghettarne lo spirito, non di riprodurne i pezzi più famosi».

Arriverà una collezione maschile? «Non so, ma mi piace molto l’idea. C’è qualcosa nella mia personalità che risponde davvero al mio aspetto più introverso, che sento di più nell’abbigliamento da uomo». Daniel è perfettamente a conoscenza della portata culturale ma soprattutto simbolica dell’essere il primo direttore creativo americano di una Maison d’Alta Moda parigina che solo di recente si è convertita al prêt-à-porter. Sebbene io continui a dire che dovrebbe saperne di più sulla Schiaparelli (colta, aristocratica, poliglotta, amica dei più grandi artisti dell’epoca, celebre al punto di aver creato un punto di rosa sfacciato e insolente – per di più durante la guerra! – che lei chiamerà “rosa shocking”, come Shocking Life è il nome della famigerata autobiografia), comprendiamo che lui ne incarna i princìpi e lo stile, calcolato e ricalcolato come su un’app per muoversi nelle strade del mondo.

Ramages sontuosi e asimmetrici per l’abito Haute Couture A/I 22-23.

Ramages sontuosi e asimmetrici per l’abito Haute Couture A/I 22-23.

La ricerca della stravaganza che sfiora anche il kitsch, senza approdarvi mai

«Vorrei un lusso visibile ma non inutilmente esibizionista, magari contorto e conturbante, anche perché la società di oggi è contorta e conturbante». Ed è un altro link con Elsa, come la ricerca della stravaganza che sfiora anche il kitsch senza approdarvi mai. «Da quando ho iniziato qui, ho voluto tornare a qualcosa che fosse puro ed emozionante. Partecipare a una mentalità apocalittica sulla Moda non mi interessa: mi interessano altre forme di bellezza», come la modella Maggie Maurer, bionda, diafana e diversamente giovane rispetto alla media, musa di Roseberry.

Schiaparelli Ready to Wear per questa stagione, interpretato da Maggie Maurer, modella-musa di Roseberry. “Spero che la gioia che abbiamo provato nel realizzare oggetti preziosi, che le persone ricorderanno per sempre, sia evidente in ogni vestito e accessorio”, afferma il couturier.

Schiaparelli Ready to Wear per questa stagione, interpretato da Maggie Maurer, modella-musa di Roseberry. “Spero che la gioia che abbiamo provato nel realizzare oggetti preziosi, che le persone ricorderanno per sempre, sia evidente in ogni vestito e accessorio”, afferma il couturier.

La bellezza secondo Roseberry

«Per esempio, nella scorsa collezione d’Alta Moda Matador Couture, mi sono sentito libero di fare qualcosa di ferocemente, innegabilmente, impenitentemente bello – a volte devi ribellarti alla bellezza per tornare a essa. Era emotivo, vertiginoso come l’innamoramento. È anche un tributo al romanticismo, all’eccesso, ai sogni. C’è qualcosa di più urgente oggi che sognare in grande, sognare un mondo migliore? Di afferrare ogni pezzo di bellezza con entrambe le mani?».

È questo, secondo lei, ad appassionare così tanto i giovani d’oggi al marchio che disegna? «Certo, anche se non si deve sottovalutare (ride, ndr ) che viviamo in tempi così surreali che solo il Surrealismo li può evocare… No, in realtà io credo che noi tutti – donne, uomini, forse perfino i bambini – non ne possiamo più di quello che chiamo “moda con gli stampini”. Mai come adesso sento fortissimo l’influsso del marketing sulle collezioni e sono molto grato a Della Valle di lasciarmi tutta la libertà che mi serve per esprimermi. I vestiti devono appassionare, eccitare, anche scioccare. Certo non servono più solo a dimostrare quanto sei ricco o quanto buon gusto possiedi».

Daniel, lei certamente saprà che a Elsa Schiaparelli venne detto a 8 anni di essere così irrimediabilmente brutta che lei rubò dei semi al giardiniere e li piantò in bocca, orecchie, naso e gola con la speranza che, crescendo, le avrebbero coperto il viso. Finì all’ospedale, priva di semi e di illusioni. «Questo episodio mi ha fatto capire, più degli altri, quanto i look vistosi di Elsa in realtà servissero anche da protezione», osserva Roseberry. «Immagino quanto per Chanel dovesse sembrare assurdo vedere questo stile ruvido e a tratti brutale prendere d’assalto la Francia, senza alcun rispetto per quella che era considerata la retta via da seguire nel campo della Moda. Ecco, io penso che il mio essere provocatorio derivi proprio dal fatto che non mi preoccupo di seguire la “retta via”».

Orecchini-tralcio di vite, Haute Couture A/I 22-23.

Orecchini-tralcio di vite, Haute Couture A/I 22-23.

Un americano a Parigi

Finalmente si concede una risata e si siede più comodo sulla poltrona. Gli domando se in Europa persiste ancora, secondo lui, un certo pregiudizio verso i creatori americani di Moda, che pure hanno avuto nomi geniali: da Halston a Claire McCardell, da Bill Blass a Calvin Klein, da Tom Ford a… be’, lui. Mi guarda dallo schermo e sorride. Ehm, sì. Il sano ragazzo di Plano sbotta e parla tout court di arroganza, anche perché lui si rifiuta di imparare il francese, «mentre, non perché adesso ci sia lei, con gli italiani succede molto meno. Non so se realmente siate più gentili. Sicuramente siete più diplomatici». Un’ultima domanda: qual è la caratteristica umana che predilige? «L’innocenza. È una virtù che amo e amo le persone che si sforzano di mantenerla in loro a un grande stato di purezza. Io ci provo. Ma è difficilissimo, se lavori nella Moda».

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