Cultura

​Quando le opere pubbliche si facevano con i cantieri

Vincenzo D'Avanzo
All'origine del "reddito di dignità"
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Sulla scalinata di Mater Gratiae i ragazzi si riunivano a giocare. Quel gruppo di ragazzini stava giocando a “pitt i pitt” mentre Carletto era in disparte, il volto triste: “nà voggh scquè”, comunicò agli amici. Il padre stava morendo e i nonni gli avevano detto di andare a giocare per non fargli assistere all’arrivo della sorella morte, che in effetti si presentò subito e Carletto, a sette anni, si trovò orfano di padre. Ma le disgrazie non erano finite: dopo qualche mese la madre trovò un nuovo compagno, il quale però non gradiva in casa la presenza di questo bambino che a sua volta non gradiva l’estraneo. Alla fine si trovò la soluzione: Carletto fu affidato ai nonni e la mamma potette sposare il nuovo amore. Per molto tempo fu additata come mamma snaturata – a quei tempi abbandonare i figli non era motivo di orgoglio . Anche ora, per la verità -. Carletto fece fatica ad adattarsi alla vita con i nonni mentre diventava sempre più triste.

Carletto cresceva sano e bello ma le condizioni economiche dei nonni non gli permisero di andare a scuola e quando chiese al nonno perché non poteva andare a scuola con i compagni il nonno rispose: “l maggabbnd vann a la scoul”. E così Carletto quando litigava con i compagni li chiamava “maggabbnd”. A nove anni cominciò a frequentare un salone di barbiere; man mano Carletto imparò il mestiere, e più bravo diventava, più aumentavano le mance, fino a quando anche il padrone a fine settimana cominciò a dargli una specie di regalo. Era diventato un giovane prestante, nel salone tutti volevano le sue prestazioni, la parola facile lo rendevano simpatico e già sognava di prendere le redini del salone ora che il padrone era diventato anziano e malaticcio. Però di giorno in giorno crescevano i rombi di guerra e ognuno prendeva le contromisure: chi si tirava i denti, chi si tagliava il dito. Carlo si rifiutò di menomarsi, tanto quando arrivò la bufera tutti furono travolti e anche Carlo (si arrabbiava se lo chiamavano ancora Carletto) fu chiamato alle armi.

Il suo mestiere in parte lo salvò: fu mandato in Grecia ma i suoi superiori lo trattennero nella retroguardia perché la mattina potesse sbarbare gli ufficiali e all’occorrenza tagliare loro i capelli. Questo però non gli impedì di conoscere gli orrori della guerra, soprattutto quando il rombo degli aerei annunciava bombardamenti a tappeto. In un momento di stanca della guerra prima dell’armistizio Carlo riuscì ad ottenere una licenza. La notizia del cambio di alleanza lo colse ad Andria e Carlo decise di non tornare più al fronte e cominciò a nascondersi. Fu fortunato perché la confusione che si era creata in Italia portò l’esercito a dimenticarsi di lui e lui si dimenticò dell’esercito. Alla fine della guerra si trovò pronto a riprendere il lavoro. Ma il salone era stato chiuso e lui non aveva i soldi per aprirne uno anche perché il nonno era morto e la nonna a stento riusciva a mettere il piatto sulla tavola.

Si diede da fare in giro e alla fine accettò l’invito del fattore di una grossa impresa agricola e si dedicò a un lavoro che non aveva mai praticato. Il ragazzo era sveglio e quindi apprendeva subito, era gagliardo e quindi utile per tutti i lavori, era educato e quindi buono per trattare con gli altri braccianti. Un giorno stavano raccogliendo l’uva per il vino. A un certo momento vide arrivare un traino con dei tini sopra. Due braccianti si erano fatti trovare davanti alla masseria dove erano stesi i teli (r racn) per ammassare l’uva per la pesa. I due operai riempirono subito i tini e il traino partì con la velocità possibile con quel carico. Carlo capì che c’era qualcosa che non tornava nella vicenda e scappò dal fattore che era a sorvegliare gli operai intenti a tagliare l’uva. Raccontò quello che aveva visto, ma il fattore con tutta calma disse: “i moue addià u vaich ad acciaffè? Vè fatoich”. Carlo rimase deluso, intuì che il fattore fosse coinvolto nella ruberia ma si stette zitto. Alla fine della giornata, quando con gli altri braccianti si stava sdraiando in uno stanzone della masseria per il riposo notturno, il vicino di pagliericcio gli disse: “cià t l’ha fatt fè”. Passata la quindicina di giorni che erano rimasti in campagna tornarono in Andria. La sera andò dal fattore per ritirare il salario contrattato. Ebbe l’intera somma prevista (mentre gli altri operai lasciavano una quota per il mangiare). Dati i soldi il fattore gli disse che la settimana successiva il suo lavoro non serviva. Licenziato! Stava per reagire a suo modo Carlo avendo capito che era pretestuoso quel licenziamento, ma gli altri operai lo convinsero ad andare via in silenzio, altrimenti non avrebbe trovato più lavoro.

La settimana dopo, rimasto senza lavoro, andò a iscriversi al sindacato scegliendo la CGIL (sinistra) che a lui sembrava più vicino ai lavoratori. Nel sindacato si mise subito in luce nella lotta contro i latifondisti che tenevano sottomessi i braccianti. Fu un grande organizzatore di manifestazioni, tutti cominciarono ad apprezzare il suo valore, la sua intelligenza e la sua educazione. Fino a quando non gli capitò di conoscere un proprietario di salone da barba che andava alla ricerca di un socio. Carlo si buttò a capofitto nel suo antico lavoro pur continuando a collaborare con il sindacato.

Intanto si sposò con Raffaelina, una ragazza delicata, brava nell’arte del cucito, anche lei militante ma nel partito comunista. Essendo arrivato subito il primo figlio Raffaelina chiese al marito che voleva lei badare a crescere questo e gli altri eventuali figli. Carlo convenne e andò lui stesso nella sede del Pci ad informare del ritiro della moglie. I dirigenti rimasero un po’ delusi ma alla fine anche essi stessi dissero che era la scelta migliore. Strani i nostri uomini a quel tempo: erano comunisti ma non sapevano Marx chi fosse, erano mangiapreti ma legatissimi ai valori religiosi e soprattutto alla famiglia. L’anno successivo la storia virò velocemente: alla nascita della secondogenita Raffaelina morì. Qualcosa era andato storto al parto fatto in casa. Carlo si trova solo, con due figli, un lavoro avviato e nessuno che lo potesse aiutare essendo nel frattempo morta anche la nonna. Il problema era drammatico, non c’erano infatti strutture pubbliche per l’infanzia e nemmeno private.

Si fece avanti una “vacanduia grann” vicina di casa: “mbà Carlù r pozz tnaie ioie r creatiur. M dèie cocchi caus p mangè”. Carlo fu contento e pattuì 200 lire la settimana per accudire i bambini, i quali cominciarono a chiamare mamma questa donna. Carlo ogni giorno era costretto a vedere questa “santa” donna, che ogni tanto gli faceva trovare la minestra, un dolce fatto in casa, ecc. Insomma un sorriso oggi, una confidenza domani, i due decisero di sposarsi. Contenta lei che al principe azzurro non credeva più, contento lui che aveva dato una mamma ai figli. A quei tempi l’amore si costruiva giorno per giorno. Per questo durava.

Intanto la situazione sociale si faceva sempre più incandescente in Andria. Scioperi, tumulti erano all’ordine del giorno. I disoccupati premevano sulle autorità comunali e i rappresentanti nazionali perché si provvedesse a sfamare i figli e anche gli adulti. Per l’emergenza nacque la POA (pontificia opera di assistenza) che distribuiva i pacchi americani, contro i quali si scagliavano i comunisti per paura di pagare lo scotto elettorale. Anche Carlo voleva che non fossero solo i preti a fare la “carità”. Ma né loro, né il comune avevano una organizzazione tale da provvedere alle bisogna. La Chiesa invece aveva una organizzazione capillare con le parrocchie e i sacerdoti conoscevano bene coloro che avevano bisogno: non avevano bisogno dell’assistente sociale.

La svolta avvenne con la famosa nevicata del 1956. La distribuzione dei beni di prima necessità era urgente e il sindaco Jannuzzi diede disposizione di mettere i tavolini agli incroci delle strade per raccogliere i nomi dei bisognosi, ovviamente senza verifica alcuna. L’urgenza di dare a mangiare la gente era prioritaria rispetto alle carte e a qualche furbacchione. Solo l’autorevolezza di Jannuzzi poteva consentirselo. Tuttavia la polemica divampò in città. Qualcuno cominciò a porsi il problema se era più opportuno distribuire il cibo o sussidi o invece creare il lavoro per dare dignità ai cittadini. Fu allora che ai più illuminati nacque una idea rivoluzionaria per quei tempi: facciamo i cantieri, così sistemiamo le strade, il verde e altre piccole opere pubbliche, allentiamo la morsa della disoccupazione e non corriamo il rischio di stare ogni giorno a litigare sulle modalità di distribuzione.- Il narratore ricorda che nel 1952 l’amministrazione socialcomunista andò in crisi proprio per uno scandalo in materia, come ricorda che la villa comunale il sindaco Marano la iniziò proprio con i cantieri -.

Nella sinistra rimase maggioritaria la tesi della distribuzione caritatevole: questa posizione la mise fuori dai vantaggi che l’iniziativa comportava. Fu la Comunità Braccianti di don Zingaro a cogliere l’occasione per organizzare numerosi cantieri (anche la scuola materna di Lamapaola si avvantaggiò dei lavori dei cantieri) che migliorarono la viabilità; molti cantieri videro attivi i contadini diventati spaccapietre che frantumavano le pietre per le strade e distribuivano la brecciolina. Questa iniziativa diede modo al senatore Jannuzzi di far arrivare tanti soldi per i cantieri, sommando i soldi per i lavori pubblici a quelli dell’assistenza. L’iniziativa ebbe successo perché finalmente molti operai generici trovarono un lavoro (sia pure precario). Erano fieri perché andavano a lavorare, il cantiere consentiva a ciascuno di mettere in luce le proprie qualità e molti trovarono poi un lavoro più stabile. Insomma era nato il “reddito di dignità”. Il cantiere inoltre prevedeva il pranzo servito nelle “gavette” (per lo più a base di pasta e fagioli. Quanti, il narratore ne ha mangiati!) e non erano pochi gli operai che, muniti di recipienti più grossi, portavano il tutto a casa.

Carlo fu tra i pochi di sinistra che riconobbero come valida la soluzione dei cantieri e questo lo fece allontanare dal sindacato. In questo modo ebbe la possibilità di concentrarsi sulla famiglia che ormai si era arricchita di altro quattro figli. Il lavoro nel salone andava a gonfie vele e fu tra i primi a distribuire i calendarietti profumati che ebbero grande successo a quei tempi turbolenti ma anche creativi. Con i cantieri Andria conobbe le prime opere pubbliche e diradò la pressione determinata dalla fame.

domenica 7 Ottobre 2018

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