Cultura

Quando Grillo era andriese

Vincenzo D'Avanzo
Come finì ad Andria il reddito di disoccupazione?
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Tante volte in questi racconti ci è capitato di affermare che Andria ha fatto la Storia. In effetti questo è capitato sicuramente durante la prima repubblica, quando il consiglio comunale era formato dalle rappresentanze di tutte le categorie della società e il dibattito era vivace all’interno e tra i partiti.

Michelino era un giovane di buona famiglia (nel senso etico e religioso). Non aveva avuto una grande istruzione ma gli piaceva leggere. Frequentava la biblioteca comunale e ovunque trovava un libro se lo faceva prestare e lo leggeva tutto d’un fiato. Parlava bene ma la scrittura non era ugualmente valida. Se la scrittura era un handicap, la parlantina lo aiutava tantissimo. Da piccolo, come tutti del resto a scuola andava a periodi, aveva provato ad andare in campagna con risultati apprezzabili per gli altri ma insoddisfacenti per lui. I contadini non tolleravano il suo continuo parlare di storia o di romanzi essendo abituati al più banale gossip casereccio e spesso pecoreccio. Diventato grandicello pianse molto per convincere il padre a fargli lasciare la campagna e farlo entrare in un salone da barba. Riteneva fortunati “l varvirr” perché sapevano tutto di tutti ma avevano modo di esprimersi al meglio quando capitava un signorotto, un insegnante o un medico. Con i sacerdoti poi trovava pane per i suoi denti: a lui piaceva molto parlare di religione e scandagliare i misteri della vita.

Tuttavia i suoi clienti migliori erano i poveracci, disposti ad ascoltare di tutto, tanto loro non sapevano parlare. Michelino con garbo li stimolava a parlare, soprattutto quando guardandoli in faccia si accorgeva che qualche problema li faceva soffrire. In quegli anni l‘argomento più drammatico era la disoccupazione, mentre il risvolto più frequente era la emigrazione. E’ vero, gli andriesi furono fortunati perché l’emigrazione da noi era assistita dalla partenza fino all’arrivo, ivi compreso il contratto di lavoro, l’abitazione, ecc. Eppure erano molti gli andriesi che di partire non avevano alcuna voglia, soprattutto quelli con problemi di salute: forte era il legame alla terra d’origine, alla famiglia, alle tradizioni. Per cui nonostante le migliaia di migranti molti erano i disoccupati che rimanevano in città. E questo era un bel problema. La politica non era distratta: se l’emigrazione era organizzata dai cattolici (don Zingaro in primis), se la DC (Jannuzzi) aveva pensato alle donne agricole con gli elenchi anagrafici, la disoccupazione in loco era governata dai comunisti soprattutto dai sindacati che avevano imposto di distribuire un contributo di mille lire giornaliere tramite l’ufficio del lavoro (abbasc a u Fuss) lasciando all’Eca l’assistenza ordinaria. Buona soluzione sarebbe stata se fosse riuscita veramente a dividere i compiti.

Michelelino nel salone raccoglieva il lamento dei disoccupati che con mille lire non riuscivano a sfamare la famiglia e quando capitava sotto le sue lamette un dirigente del partito o del sindacato faceva il gesto della minaccia con la lametta alla gola se non si fosse alzato quel modesto contributo. Scherzava ovviamente, ma intanto l’idea girava. Ottenne il risultato che si parlasse dell’argomento durante la campagna elettorale del 1972, con i comunisti che arrivarono a promettere il raddoppio della indennità di disoccupazione a carico del comune. Furono fortunati perché dopo le elezioni i socialisti decisero di lasciare la DC e formare la nuova amministrazione proprio con i comunisti. Sindaco fu eletto l’on. Leonardantonio Sforza, a cui fu attribuito l’onore in virtù dei tanti meriti acquisiti nel passato, anche se a decidere erano i più giovani esponenti del PCI e del PSI (quindi anche la figura di Conte è nostra invenzione: pure Sforza faceva l’equilibrista anche se aveva a suo favore una lunga dimestichezza con la politica). Tra i primi provvedimenti ovviamente arrivò il raddoppio della indennità di disoccupazione.

Tra le forze di opposizione v’era la preoccupazione che il provvedimento fosse dettato più dalle esigenze demagogiche dei partiti che si professano paladini dei più deboli e non dalla preoccupazione di salire alle origini per risolvere il problema occupazionale. Insomma era letto come un provvedimento elettorale.

Il primo problema sollevato fu: come facciamo a sapere che i beneficiari sono veramente disoccupati? Se una volta fatto l’appello la mattina questi scappassero a lavorare? Fu istituito allora il doppio appello onde verificare che non ci fossero furbi. Questa soluzione però fu soggetta a critiche perché a mancare al secondo appello erano spesso proprio i più bisognosi che magari avevano bisogno di cure, o avevano difficoltà di deambulazione e quindi arrivano con qualche minuto di ritardo.

“La risultante è che oggi i lavoratori disoccupati assistiti sono 800 divisi in due turni e il comune impegna per essi 200 milioni l‘anno senza nulla ricavare sul piano della utilità pubblica. Per noi questo si chiama sperpero di pubblico denaro, soprattutto perché non risolve i problemi e umilia chi è costretto a chiedere”, diceva l’opposizione.

“La dimostrazione è che presso l’ufficio del lavoro si è creato un doppione dell’ECA. Infatti molti dei presunti lavoratori disoccupati altro non sono che malati, invalidi, vedove, pregiudicati ecc. Tutte categorie che dovrebbero essere assistite dall’Eca, con il risultato di non gravare sulle casse comunali e di evitare a questi bisognosi la continua umiliazione di stare a tendere la mano”.

“E’ noto a tutti che per pudore o dignità molti cittadini veramente bisognosi si rifiutano di sottoporsi alle tante umiliazioni che il modo di esercitare l’assistenza così produce. L’assistenza pubblica ha spogliato i poveri di ogni dignità, trattandoli come un popolo a se stante”.

“Rispondere con un po’ di beneficienza a complicati problemi sociali e personali non può costituire una soluzione permanente….. Essa deve essere resa superflua con servizi efficienti alla persona e alla famiglia”.

Michelino si era prodigato molto per far passare questa idea di una indennità di disoccupazione adeguata parlandone con tutti, come abbiamo visto. Non previde, però, che la sorte gli stava tendendo un tranello. Infatti la varvaroie dove lavorava era entrata in crisi. Essendo ubicata nel centro storico molti dei clienti assidui si erano trasferiti in periferia o emigrati all’estero. Il padrone a questo punto decise di chiudere bottega e andare a “segnarsi” abbasc a u fuss. Era diligente a rispondere agli appelli, nell’intervallo dei quali approfittava per andare a fare qualche barba o taglio di capelli in casa, soprattutto ai malati o agli stessi che trovava in coda per la presenza. Michelino però era rimasto senza lavoro. Non aveva l’età per adattarsi al sotterfugio: in coda vedeva uomini avanti con l’età: i giovani erano emigrati in molti o trovavano più facilmente lavoro. Per lui sarebbe stata una umiliazione mettersi in coda per il sussidio. Ma lui sapeva fare la barba o tagliare i capelli. Girò per i vari saloni offrendosi per lavorare inutilmente. Alla fine decise di emigrare: piangendo i genitori lo lasciarono andare. Tramite la Comunità Braccianti riuscì ad avere un contratto come metallurgico: un lavoro pesante per lui. Ma tant’è, doveva abituarsi. La fortuna (o la Provvidenza) sempre toglie con una mano e concede con l’altra. In Germania dopo le prime settimane si offrì di fare la barba e i capelli ai dirigenti della fabbrica, facendosi benvolere da tutti. Ma il capo quando lo seppe gli pose l’alternativa: smettere di fare i capelli o smettere di lavorare in fabbrica. I suoi clienti gli offrirono un paio di stanze vicino alla fabbrica dove Michelino si stabilì per vivere e per fare il suo mestiere. Cominciò con i clienti della fabbrica, poi, spargendosi la voce, allargò la clientela prima agli italiani poi ai tedeschi. Alla fine si aprì un grande salone, cominciò ad assumere qualche italiano emigrato in Germania: cominciò la fortuna per lui che si completò quando i genitori ormai anziani decisero di andare a vivere con lui. Michelino diventò prima friseur poi damenfriseur Michael.

Come finì ad Andria il “reddito di disoccupazione”?

Nota: il virgolettato riporta parte di un articolo che il narratore scrisse nel 1973 per il TEDOFORO di Foggia.

domenica 2 Dicembre 2018

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