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Casal di Principe (Ce) –  Su sollecitazione della Segretaria Provinciale CGIL Camilla Bernabei, in questi giorni mi sono dedicato ad approfondire una fase storica e sociale di Terra di Lavoro a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso. In particolare ho cercato di ricostruire il contributo di  resistenza – a volte pagato con il sangue – offerto dal movimento operaio e sindacale con le lotte per affermare la legalità democratica. Grazie ad alcuni articoli de L’Unità ed altri quotidiani dell’epoca – forniti da Renato Natale – ho potuto ricostruire due vicende emblematiche: quella di Tammaro Cirillo e di Franco Imposimato.

Il primo venne gambizzato  il 4 luglio 1980 morì in ospedale tra atroci sofferenze dopo l’amputazione. Come ha di recente ricordato il sindaco di Casal di Principe, l’ operaio del cantiere SLED di Villa Literno per la realizzazione del depuratore, era stato da poco eletto delegato di fabbrica per la Fillea CGIL. Nel suo discorso agli operai appena eletto, dichiarò la volontà di lottare contro i subappalti che mettevano in discussione i livelli occupazionali e quindi i posti di lavoro. Pochi giorni dopo, qualcuno si presentò a volto coperto alla sua abitazione ( in casa in quel momento c’era anche una figlia) , e gli sparano alle gambe. Morì in conseguenza delle ferite, sette giorni dopo.

E Natale aggiunge: “Vi furono delle manifestazioni prima per l’attentato e poi per la sua morte, ma dopo per anni nessuno più si è ricordato di questo sindacalista, finché io non ho cominciato a fare qualche ricerca e ne ho cominciato a parlare in vari incontri, anche per vedere di inserirlo fra i morti innocenti . La cosa però non è stata facile anche perché i pochi familiari ancora presenti in zona non hanno mai voluto più ricordare quella vicenda. A darmi una mano in questa ricerca è stato Franco Cirillo, sindacalista della UIL”.

L’altro episodio eclatante avvenne qualche anno dopo con la barbara esecuzione di Franco Imposimato, delegato Fiom della Face Standard di Maddaloni. Fu ucciso l’11 ottobre 1983, all’uscita dalla fabbrica. mentre era in macchina con la moglie ed il cane per recarsi a casa dopo il lavoro. A trecento metri dallo stabilimento, si trovò la strada sbarrata da una Ritmo 105 con a bordo tre sicari. Due di questi scesero e aprirono il fuoco. Il sindacalista, colpito da 11 proiettili, morì sul colpo. Nell’agguato riuscì a salvarsi sua moglie, benché gravemente ferita da due proiettili sparati da Antonio Abbate, il killer riconosciuto dalla donna anni dopo in sede processuale. In un primo momento si parlò di omicidio di terrorismo, eventualmente da ascriversi alle Brigate Rosse; ma ben presto apparve chiara la matrice mafiosa e camorristica del delitto, anche se per le sentenze definitive si è dovuto attendere fino al 2000 e il processo Spartacus.

A ben vedere si tratta delle prime vittime sociali di camorra, a cui fece seguito una lunga scia di sangue, di centinaia di atti di violenza e di morti. Ora è necessario ritornare a riflettere per capire come mai alcuni casi sono finiti nel dimenticatoio, a partire da Tammaro Cirillo, di cui non si trova traccia nemmeno dei testi e documenti sulle vittime innocenti di camorra, così ampi e dettagliati raccolti da Libera e Fondazione Polis. Alle famiglie, ma ancor più alle associazioni del terzo settore e del sindacato (a partire dalla CGIL), spetta il compito di recuperare e ricostruire la memoria storica.

Nei decenni 1980-90 la camorra dominava interi settori economici e filiere produttive (da quella alimentare a quella edile). Imponeva le sue leggi con il taglieggiamento e con la violenza delle armi. In una ricerca pubblicata nel 2007 da Agrorinasce è stata ricostruita l’impressionante escalation di attentati e ritorsioni: vi furono in quegli anni tra il 1985 e il 2004 ben 646 vittime accertate di morti  innocenti per mano della camorra, tra cui  9 minorenni, 21 donne, tanti immigrati e lavoratori, sindacalisti, ma anche imprenditori ed il caso emblematico di don Peppe Diana. In quegli anni le classi politiche locali non reagirono in modo adeguato, anzi ci furono casi clamorosi di collusione e copertura da parte di apparati istituzionali ed organi dello Stato – come quello del vicesindaco di Casal di Principe che organizzava a casa sua gli incontri con i capiclan per la spartizione degli appalti pubblici.

Oggi va riconosciuto che fu grazie al sacrificio di queste persone e militanti, alla loro azione di resistenza civile – insieme all’opera di contrasto e repressione delle forze dell’ordine e della magistratura – è stato possibile ricostruire nuovi spazi di partecipazione consapevole e di cittadinanza democratica (come quelli realizzati con diverse buone pratiche di uso sociale e produttivo dei beni confiscati). Tutto questo è stato raccontato con le testimonianze raccolte nelle loro opere da giornalisti come Rosaria Capacchione e Raffaele Sardo, da storici come Paola Broccoli e Gianni Cerchia, da saggisti come Gianni Solino e Gigi di Fiore, da esponenti della chiesa come il VE Raffale Nogaro e S. Rita Giaretta, da me stesso nei volumi sul Sud che resiste e su una vita per i diritti.

Per non dimenticare e per trarre esempio da queste storie virtuose, propongo alla Segreteria CGIL Provinciale e Campania di dedicare nell’ambito del prossimo congresso una apposita sezione di ricerca e di approfondimento sul contributo (in alcuni casi tanto eroico quanto poco ricordato) del movimento operaio e sindacale per la rinascita democratica delle nostre terre, proprio a partire dagli inizi degli anni ’80 del secolo scorso.