martedì 24 aprile 2018
Fra il ’43 e il ’44, al Quadraro, fu la forza di tanti romani razziati dai nazisti e tenuti prigionieri a Cinecittà. Il ricordo del 92enne Sergio Frezza, allora bambino: «Un uomo vero»
Don Gioacchino Rey insieme a un gruppo della Croce Rossa

Don Gioacchino Rey insieme a un gruppo della Croce Rossa

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«Un uomo vero, un sacerdote coraggioso che aiutava tutti ed era sempre accanto a quanti avevano bisogno». È il ricordo nitido, a caldo, che Sergio Frezza, 92 anni, ha di don Gioacchino Rey. «Lo conobbi quand’ero bambino, al quartiere Quadraro di Roma. Avevo sei anni e frequentavo le scuole elementari. Non potrò dimenticare mai questo sacerdote che ogni settimana veniva a scuola ad ascoltare i nostri problemi, a darci una carezza e farci forza. Erano tempi difficili per via della guerra e della povertà. Nonostante questo don Gioacchino era sempre lì, con noi, nella parrocchia di Santa Maria del Buon Consiglio, all’oratorio. Insieme ai suoi collaboratori - ricorda Frezza cercava in tutti i modi di alleviare i nostri disagi. Faceva di tutto per portarci la merenda e per coinvolgerci nelle attività dell’oratorio. In particolare il teatrino, un modo per farci dimenticare quanto brutta fosse la guerra e per darci speranza». Poi arrivò quel 17 aprile del 1944, data del rastrellamento del Quadraro, vissuto da Sergio Frezza in prima persona: «Quel giorno noi, così come altre famiglie che abitavano a pian terreno, sentimmo bussare alla porta - ricorda Frezza -. Erano i nazisti. Entrarono e rivolgendosi a mia madre dissero di raccogliere pentole e altre cose utili che sarebbero servite a me e a mio padre. Ci portavano via. Una volta compreso questo l’istinto e l’amore di mia madre fu quello di correre verso di me. Fu un attimo. Un tedesco la spinse a terra e lei cadde con tutte le pentole. Grazie a Dio non sbatté la testa. La reazione di mio padre fu quella di aiutare mia madre, ma uno di loro gli puntò il fucile».

Un’esperienza scioccante per il giovane Sergio che con suo padre insieme a centinaia di altre persone dai 16 ai 55 anni venne condotto a Cinecittà. «Don Gioacchino Rey dopo essersi offerto ai tedeschi come ostaggio al posto dei suoi parrocchiani, per giorni fece da spola tra le famiglie del quartiere Quadraro razziato e gli studi cinematografici di Cinecittà, dove erano stati temporaneamente raccolti i rastrellati, per portare vestiti, informazioni, messaggi dei parenti e conforto, venendo per questo più volte picchiato dai tedeschi» dice lo storico Pierluigi Amen, che sulla base dei documenti inediti ora disponibili ha ricostruito per conto dell’Anrp, l’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, l’intera vicenda del rastrellamento del Quadraro e con essa la figura del 'parroco delle trincee', così come Pio XII definì il sacerdote nato a Lenola, in provincia di Latina, che aveva svolto il suo ministero come cappellano militare durante il primo conflitto mondiale. «Nei due giorni in cui fummo raccolti a Cinecittà mi capitò più volte di vedere don Gioacchino che, affaticato, portava conforto ai rastrellati - aggiunge Frezza -. Un giorno con altre sei, sette persone, stavamo andando, scortati, a prendere dell’acqua da bere. Assistetti a un episodio drammatico: la reazione di un militare italiano di guardia all’ingresso che in base agli ordini ricevuti non volle far passare don Gioacchino. Il prete insistette e per questo fu schiaffeggiato. Immediatamente arrivarono altri mi-litari, sia tedeschi che italiani, e dopo qualche momento il sacerdote fu fatto passare».

Un altro episodio, quello narrato da Sergio Frezza, che racconta la tenacia e il coraggio del 'partigiano di Dio' che insieme a don Pappagallo e don Morosini, nella 'Roma città aperta' si prodigò a favore della popolazione rischiando la propria vita. «È grazie all’intuizione di don Rey di raccogliere i nominativi dei deportati che si è potuto nel tempo far riconoscere a buona parte degli aventi diritto le provvidenze e le qualifiche dovute per legge, in quanto gli elenchi dei rastrellati redatti dai tedeschi non sono mai stati reperiti - prosegue lo storico Amen -. Nella complessità della situazione dell’Italia lasciata a se stessa dopo l’8 settembre 1943 e occupata dai nazisti, don Gioacchino riuscì a far liberare il medico condotto e il farmacista, utili per far fronte alle esigenze di cura degli abitanti della zona. Il parroco tuttavia non vide mai tornare la quasi totalità dei deportati in quanto morì in un incidente stradale a Roma il 13 dicembre 1944». Don Rey, al quale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito la medaglia d’oro al merito civile alla memoria durante un cerimonia al Quirinale il 12 ottobre 2017, «intrecciò relazioni con tutte le organizzazioni resistenziali che gravitavano nella zona, fornendo aiuti logistici e aiuti a persone ricercate dal regime quali soldati renitenti alla leva, alleati in fuga ed ebrei», aggiunge lo storico Amen, che ha fatto riemergere dall’oblio le gesta di don Gioacchino Rey. In occasione del 74° anniversario del rastrellamento del Quadraro, Sergio Frezza, rintracciato dall’Anrp insieme ad altri testimoni di quei tragici giorni come Renato Corsi, Giovanni Mola, Oreste Prosperi, Giuseppe Schiavoni, Umberto Spadoni e Guido Di Roma, per incarico del Capo dello Stato e nel corso di una solenne cerimonia in Campidoglio a Roma è stato onorato col titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

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