mercoledì 8 agosto 2018
Oggi si commemora la strage: lo scorso marzo è morto l'ultimo sopravvissuto
Attilio, Mario e le 262 vittime. «Il lavoro indegno uccide sempre»
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Tra i minatori morti di Marcinelle, che oggi si ricordano nella città belga a distanza di 62 anni da quella tragedia, c’è anche la storia di Attilio Dassogno. Arrivava da Berbenno, provincia di Sondrio. Quella mattina, alle ore 8.10, si trovava al lavoro in quel pozzo quando un violento incendio, causato dalla combustione di olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica, riempì di fumo tutto il pozzo minerario. Di Attilio non si ebbero più notizie. Oggi, su un muro del cimitero della cittadina valtellinese, una lapide lo ricorda con una foto. Il suo corpo non venne mai restituito alla famiglia. La ricerca venne sospesa nel dicembre del 1957, più di un anno dopo la tragedia e quel corpo non venne alla luce. All’epoca Attilio aveva 32 anni, sposato e papà di due bimbi. Per il loro futuro decise di emigrare in cerca di fortuna. «Non è molto diverso dagli uomini di questi giorni» dice il parroco don Feliciano Rizzella: uomini e donne che con «coraggio vanno incontro a una possibile morte per sfuggire a una morte sicura o presunta dei propri ideali di dignità e amore per le proprie famiglie. Abbiamo bisogno di ricordare, abbiamo bisogno di pregare, abbiamo bisogno di riflettere» affinché la storia e il dramma di quella famiglia, la sua storia, non si «perda nell’oblio della memoria».

La figura di questo minatore è stata portata alla luce dal presidente dell’Azione Cattolica di Como, Paolo Bustaffa, mentre con l’associazione stava facendo un percorso di memoria su quella vicenda. «Nel cimitero di Berbenno cercavo una traccia di quel minatore e trovai quella lapide», ricorda Bustaffa. Uno dei 262 morti che oggi, 8 agosto, nel sito minerario Bois du Cazier a Marcinelle, oramai dismesso, dichiarato patrimonio storico dell’Unesco, verrà ricordato quando la campana 'Maria Mater Orphanorum' diffonderà 262 rintocchi accompagnati dai nomi delle vittime. Oggi, a quei rintocchi occorre aggiungerne altri, dice la Fondazione Migrantes della Cei: si tratta dei tanti migranti che ogni anno «perdono la vita alla ricerca di una vita diversa». Ricordare quello che è successo in questo tempo in cui la crisi ha aperto una nuova stagione di emigrazione dei giovani italiani, significa «non abbassare la guardia sulla tutela dei diritti dei lavoratori migranti in Europa».

A Marcinelle morirono 262 minatori: 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 algerini, 3 ungheresi, 2 francesi, 1 inglese, 1 olandese, 1 russo e 1 ucraino e ben 136 italiani. Il bilancio complessivo, evidenzia il volume di Toni Ricciardi 'Marcinelle, 1956. Quando la vita valeva meno del carbone' (Donzelli), listò a lutto più di un terzo delle province italiane, ben 32 tra Nord e Sud. «Vorrei che questa data ricordasse il sacrificio di tutti i lavoratori nel mondo perché il lavoro – ha detto in una intervista al mensile della Fondazione Migrantes 'Migranti-Press' don Gianni Bordignon per 19 anni missionario con gli italiani nella Missione di Marchienne au Pont presso Charleroi, nel cui territorio cadeva la miniera – non ha nazionalità. Io ho imparato tantissimo dai minatori, dalle famiglie che avevano perduto il loro capofamiglia: che dignità, che solidarietà, che semplicità nel raccontare la loro vita...».

Proprio lo scorso mese di marzo è morto l’ultimo sopravvissuto. Si chiamava Mario Ziccardi e aveva 83 anni. «Il matrimonio mi ha salvato la vita – raccontava sempre –. La mia, quella di mio padre e quella di mio fratello. Ma lì sotto sono rimasti sepolti tutti i miei amici, quelli con cui andavo al bar dopo il lavoro, con cui uscivo la domenica. Eravamo come i migranti di oggi, in fuga da un Paese che non ci poteva garantire nessun futuro». Quell’8 agosto 1956 Ziccardi non era presente al Bois du Cazier. «Stavo a Ferrazzano, il mio paese in provincia di Campobasso. Dovevo rientrare al lavoro quattro giorni prima e sarei sicuramente morto anche io. Mi presentai in chiesa e dissi al prete: non voglio più aspettare, mi sposo prima di rientrare in Belgio. Al lavoro mi diedero qualche giorno di permesso, giusto il tempo di fare la cerimonia. E così mi sposai e tre giorni dopo seppi della tragedia».


MOAVERO: «I NOSTRI PADRI ERANO MIGRANTI»

«Non dimentichiamo che Marcinelle è una tragedia dell’immigrazione, soprattutto ora che tanti vengono in Europa, non sottostimiamo la difficoltà di gestire un tale fenomeno ma non dimentichiamo che i nostri padri e nonni erano migranti»: lo ha detto il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, intervenendo alle celebrazioni del 62esimo anniversario dell’incidente nella miniera di carbone di Marcinelle, dove persero la vita 262 minatori, di cui 136 italiani.

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