martedì 5 dicembre 2017
Per i clan, dal Veneto alla Sicilia, è semplice trarre profitti attraverso pratiche di usura, riciclaggio, estorsione, imposizione: un affare poco rischioso e molto redditizio
Slot machine in un bar (Siciliani)

Slot machine in un bar (Siciliani)

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Sono circa sessanta i clan mafiosi che, dal Veneto alla Sicilia, fanno affari nell'azzardo legale e illegale. Un affare gigantesco, come sottolinea il nuovo procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho: «Quello del gioco d’azzardo, assieme al traffico di sostanze stupefacenti, oggi appare l’affare più lucroso col quale rimpinguare le casse delle cosche». IL DOSSIER

Numeri e parole che smentiscono lo slogan secondo il quale la legalizzazione dell'azzardo avrebbe tenuto lontano le mafia. Non è così. «Per troppo tempo infatti si era erroneamente creduto che se lo Stato avesse ampliato, controllato e gestito l’offerta del gioco lecito, si sarebbe contrastata la presenza dell’illegalità, sino a rendere il mercato del gioco improduttivo per la stessa. Il corso degli eventi, invece, ha sancito ben altro. I tentacoli dell’illegalità prosperano benissimo su un binario “parallelo” e con un giro di affari difficilmente quantificabile; la realtà incontrovertibile evidenzia come, a fronte di una maggiore offerta del "gioco legale" sia più semplice per i clan malavitosi trarre profitti attraverso pratiche di usura, riciclaggio, estorsione, imposizione». Lo denuncia il dossier "Gioco sporco, sporco gioco. L'azzardo secondo le mafie", promosso dal Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) e curato da Filippo Torrigiani, consulente della Commissione Parlamentare Antimafia e del Cnca.

Ecco come la mafia si finanzia con l'azzardo

I numeri parlano da soli. Nel 2016 solo l'Agenzia dei Monopoli ha accertato 223 violazioni penali, 1.687 violazioni amministrative, con 549 misure cautelari, 53 sequestri penali, 245 persone denunciate, 30 milioni di euro di sanzioni e 22 milioni di imposte accertate. «Tra i canali degli arricchimenti, come dimostra questo studio, uno dei più importanti è proprio il gioco d’azzardo - scrive nella prefazione, Luciano Violante, ex presidente della Camera e della Commissione Antimafia -. Esso consente anche un controllo dei bar, tabaccherie, sale gioco e quindi anche del territorio. È un polmone mafioso». E aggiunge che «se nessuno comincia a smettere la mafia continuerà a prosperare dissestando il tessuto civile, democratico e imprenditoriale delle nostre città». Un affare enorme a basso rischio. «Non va infatti dimenticato - si legge nel dossier - che, a fronte di rilevanti introiti economici, l’accertamento delle condotte illegali è alquanto complesso e le conseguenze giudiziarie risultano piuttosto contenute in ragione di un sistema sanzionatorio che prevede l’applicazione di pene non elevate». Mentre le mafie allargano i propri interessi.

Il «fiuto» per l'azzardo online e le "macchinette"

«Negli ultimi tempi si registra un interesse prevalente, da parte delle associazioni criminali, per il gioco online e per il settore degli apparecchi da intrattenimento, le cosiddette “macchinette”». Per le slot viene citata un'inchiesta della Dda di Caltanissetta che «ha acclarato che ogni singolo apparecchio “manomesso” ha garantito alle mafie circa 1.000 euro di guadagno per ogni settimana di esercizio». Per il l'online il dossier ricorda come sono più di 6.200 i siti illegali oscurati. Mentre da numerose indagini (nel dossier ne vengono ampiamente descritte 13) emerge che «la criminalità mafiosa ha operato enormi investimenti nel comparto online, tanto più acquisendo e intestando a prestanome sale destinate al gioco, oppure inserendo uno o più sodali all’interno delle compagini delle singole società di gestione del luogo, quali “preposti” o con altri compiti di rappresentanza, sia per percepire rapidamente guadagni consistenti (soprattutto se le regole vengono alterate per azzerare le già scarse possibilità di vincita dei giocatori o per abbattere l’entità dei prelievi erariali), sia per riciclare capitali illecitamente acquisiti».

Affari talmente importanti che si arriva a uccidere. Vengono così ricordati due omicidi avvenuti a Roma in epoca recente: quello di Angelo Di Masi, ucciso il 19 gennaio 2012 con una scarica di proiettili davanti alla sala giochi dove lavorava, e quello di Antonio Bocchino che gestiva le slot machine nei bar e locali del quartiere Casalotti, ucciso il 12 febbraio 2013. Sempre nel medesimo contesto è maturato l’omicidio di Donato Abruzzese, gestore di alcune sale giochi a Potenza, ucciso il 29 aprile 2013 da Dorino Rocco Stefanutti, esponente della criminalità organizzata locale.

Le proposte per contrastare l'azzardo mafioso

Cosa fare per combattere l'affare delle mafie? Il dossier ricorda le 23 proposte della Commissione antimafia. E tra queste in particolare «ridurre drasticamente la diffusione dei punti gioco, rendere più sicuri i rimanenti, alzare l’asticella degli standard antimafia e di moralità affinché sia omogeneo per tutti gli attori della filiera del gioco pubblico e legale, dal vertice a valle, dare agli enti locali poteri straordinari per gestire le emergenze sui territori, adeguare le norme antiriciclaggio», come sottolinea nella postfazione il relatore, sentore Stefano Vaccari. A questo punto davvero è giustificata la domanda di don Armando Zappolini: «Davvero vogliamo continuare a chiudere un occhio – anzi tutti e due – davanti all’impressionante scenario che emerge dalle tante informazioni presenti in questo dossier? Valgono davvero la manciata di miliardi di euro che lo stato ricava ogni anno da un business quasi senza controllo?».

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