mercoledì 28 febbraio 2018
Il Pd punta sulla credibilità. Il premier: «Da me gli italiani comprerebbero un'auto usata»
Matteo Renzi e Paolo Gentiloni insieme sul palco (Ansa)

Matteo Renzi e Paolo Gentiloni insieme sul palco (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

Il governo e il Pd, il Pd e il governo: a pochi giorni dal voto Matteo Renzi parla sempre più la stessa lingua di Paolo Gentiloni e dei suoi ministri, che in buona parte erano anche i ministri dell’esecutivo del leader dem. Le battute finali della campagna elettorale si accavallano. Premier ed ex-premier se le scambiano, in una sintonia che i due ostentano: «Hanno giocato spesso, troppo, sulle nostre divisioni. Caro Matteo, al gioco delle divisioni noi non ci prestiamo – dice Gentiloni, sullo stesso palco con Renzi e il candidato governatore del Lazio, Nicola Zingaretti –. Il nostro è un Pd orgoglioso dei risultati, incarna la speranza di migliorare ancora, si prende cura delle persone delle difficoltà. E questo Pd, unito, metterà la sua forza al servizio del governo del Paese».

Gentiloni mette a disposizione la credibilità conquistata in questo anno di governo: «Da me gli elettori un’auto usata la comprerebbero», scherza, mostrando il suo "curriculum": «Ho cercato di dare l’impressione di affrontare i problemi degli italiani, di non metterli sotto al tappeto, di fare un lavoro di squadra, di rispettare le istituzioni e di conoscere i problemi in questione». Ma subito il presidente del Consiglio estende i risultati al suo predecessore: «A cinque anni di distanza ci presentiamo di fronte agli elettori nella consapevolezza che la nostra proposta di governo ha dimostrato forza e credibilità e ha raggiunto i risultati».

Una credibilità da cui non prescindono neppure i padri nobili del Pd, Prodi e Veltroni, ricorda il capo del governo nel ringraziarli: «La posta in gioco è molto alta», troppo per «voti di ripicca». Così alta, che l’immagine di unità diventa determinante e Renzi trascorre la giornata di campagna elettorale con i "suoi" ministri, con i quali racconta le politiche attuate dal suo Pd.

Comprese quelle sulle banche, che il leader dem ricorda per spiegare la collocazione di Maria Elena Boschi lontano dai riflettori, a Bolzano non in Toscana, «per evitare che tutta la polemica fosse contro di lei». E però, ricorda, «noi anziché scappare dalla questione banche, abbiamo detto: andiamo a Siena con Pier Carlo Padoan». Ma, ricorda, «se non fosse passata la riforma delle banche popolari, scritta da Draghi con Ciampi nel 1998, oggi l’Italia sarebbe a rischio bancarotta. Noi ci abbiamo messo la faccia sulle banche».

Insieme, dunque, gli uomini del governo puntano sulla credibilità e insieme sulle poche chance degli avversari (i 5 Stelle per Gentiloni non arriveranno alla maggioranza, mentre il centrodestra si sfalderà). «Di questo sforzo di cinque anni – dice allora Renzi – , lo sforzo di una comunità, resterà traccia a lungo. Nessuno potrà portarci via quello che abbiamo fatto. Il problema è che rischiamo di farci portare via il futuro». Il Pd ha investito in sicurezza e «non con un giro di mance». Ora gli avversari «sono terrorizzati» e attaccano il Pd, perché nelle battute finali l’obiettivo sono gli indecisi. «Qualcuno di voi è ancora da convincere? Vi faccio vedere gli ultimi sondaggi del 2014, prima delle europee, eravamo dati al 32 per cento e siamo finiti al 40», ricorda Renzi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: