sabato 12 maggio 2018
«Aiutare i nostri giovani a prepararsi al futuro, riflettendo sulle responsabilità»
«Rieducare noi stessi Prendiamo esempio dai corsi fidanzati»
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Per Izzedin Elzir, imam di Firenze e presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane, «il fattore religioso non deve essere motivo di scontro. Mai. Semmai occorre fare attenzione ai casi estremi, dove si manifesta ignoranza, anche nella fede».

Perché questo accade?
Spesso non c’è conoscenza del fatto religioso e non si trasmettono principi e precetti in modo corretto. Prenda il caso di Sana: a volte, in alcune comunità, la tendenza al maschilismo e alla sopraffazione nei confronti della donna è purtroppo un’abitudine. Non ci si educa ad aprire la mente, non ci si educa alla libertà che è anche responsabilità. Penso che, in questo senso, per il mondo islamico italiano, la Chiesa cattolica possa essere un esempio.

Come?
Se l’obiettivo è accompagnare i futuri genitori, dobbiamo farlo fin da prima che formino una famiglia. L’esperienza dei corsi fidanzati fatti nelle parrocchie italiane è molto importante: i giovani si preparano al loro futuro, riflettendo sulle responsabilità di una famiglia, e in molti casi sono accompagnati anche dopo il matrimonio. Anche noi vogliamo raggiungere i ragazzi musulmani che hanno un progetto di vita. Non solo: dobbiamo essere presenti anche nella fase successiva, quando qualcuno di loro chiede aiuto. Il ruolo dell’imam non si esaurisce solo con la guida della preghiera di una comunità, ma cerca di dare un contributo ulteriore. Ad esempio, al dialogo dentro la coppia e con i figli.

Accade spesso?
Tanti mi chiamano anche da fuori Firenze per avere una parola buona: vedo che poi il nostro contributo è gradito e utile. Serve ad aprire la mente e ad aiutare le coppie ad andare avanti. Allo stesso modo, è cruciale il dialogo tra figlioli e genitori.

Quali sono i problemi più frequenti da affrontare?
Premesso che i casi di sopraffazione e violenza in famiglia sono rari, si tratta soprattutto di problemi legati all’educazione religiosa e al matrimonio misto. Alle comunità, a volte, è richiesto di fare da mediatori e non è facile. È un percorso in salita, tutto da fare.

Non crede che l’islam rischi di diventare il paravento dietro a cui nascondere concetti arcaici, comunità chiuse e tradizioni cultu- ralmente arretrate?
Credo che non si debba generalizzare. La donna è uguale all’uomo, anche per l’islam, e solo in quelle società dove non c’è libertà si arriva anche alla mancanza di rispetto personale. Ma non può essere il caso del Pakistan, ad esempio, dove in passato c’è stato un primo ministro donna. In verità, quando vediamo casi in cui la figura femminile è intesa come un oggetto ed è vittima di sopraffazione, o peggio quando ci sono vicende in cui un padre crede che sua figlia sia sua legittima proprietà, dobbiamo pensare solo a una cosa: a rieducare noi stessi.

Molte autorità religiose sono preoccupate dalla scarsa partecipazione dei giovani musulmani alla vita religiosa.
Le comunità musulmane in Italia stanno dimostrando capacità di coesione e partecipazione alla vita pubblica, a tutti i livelli, all’interno e all’esterno dei luoghi di culto. Senza dubbio, avvertiamo il problema della dispersione dei nostri giovani su Internet, ma vediamo anche i frutti di quanto abbiamo seminato sul territorio: stiamo lavorando da anni, in accordo col ministero dell’Interno, sul versante della prevenzione e i risultati sono molto positivi. Sappiamo bene, quando si parla delle incognite legate al fondamentalismo, che anche se i giovani radicalizzati sono pochi, basta una persona fuori controllo per danneggiare la buona convivenza di tutti.

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