sabato 16 dicembre 2017
La Dna già nel 2011: il trucco del “giro bolla” «prevede strutture criminali» fatte da «professionisti di natura tecnica, operativa e contatto con i destinatari finali». Salute a rischio
Un'altra immagine dal video realizzato dai Carabinieri della Forestale in una discarica vicino a una scuola nel Livornese

Un'altra immagine dal video realizzato dai Carabinieri della Forestale in una discarica vicino a una scuola nel Livornese

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Rimane poco o nulla di misterioso. L’inchiesta livornese è un esempio. È un esempio quella frase che ricorre spesso nelle intercettazioni fra gli indagati: «L’importante è che tutto sulla carta sia a posto». Ed è un esempio che una delle discariche dove sono state sversate 200mila tonnellate di rifiuti pericolosi, quella di Rosignano, è di proprietà pubblica. Ma gli esempi sono più di quanti si creda e in gran parte del Paese. Meccanismo sempre uguale e, appunto, senza quasi più segreti, nemmeno quelli riguardanti il cambiamento di certi suoi attori degli ultimi anni.

A chi smaltisce illegalmente rifiuti tossici, ormai servono poco o nulla le mafie, perché è via via diventato talmente esperto e organizzato da non aver quasi più bisogno delle criminalità che controllano i territori. Del resto lo aveva spiegato subito Ettore Squillace Greco, capo della Procura livornese, riferendosi all’indagine sfociata in arresti e sequestri dell’altro ieri: «Si tratta di episodi che non hanno nulla a che fare con la camorra, ma un certo modo di gestire e trattare i rifiuti è significativo». Già, significativo. Proprio com'è significativa quella frase agghiacciante di un indagato intercettato che parla di rifiuti tossici da smaltire nella discarica vicina a una scuola: «M'importa una s... che i bambini si ammalano. Che muoiano».

Torniamo indietro dieci mesi. «Parlo da magistrato che lavora a Livorno e da magistrato che lavora alla Dda»: proprio Squillace Greco, capo della Procura livornese, il 16 febbraio scorso, viene ascoltato dalla “Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti”. Racconta della «falsificazione dei codici» che classificano i rifiuti: «Un aspetto significativo» al quale «bisogna prestare attenzione». E ne spiega le ragione riferendosi «alla questione pubblica amministrazione» e a come «vengono fatte le autorizzazioni». Ce ne sono, cioè, «se mi passate l’espressione – va avanti Squillace Greco – come i contratti di assicurazione, hanno dieci pagine e poi ci si accorge che fra una virgoletta e l’altra c’è una parolina importante». Ecco, allora «sarebbe importante attirare l’attenzione su tutti gli enti interessati». Magari spiegando che «non si deve rilasciare un’autorizzazione che apparentemente consente la lavorazione di rifiuti di un certo tipo, per esempio non pericolosi, per poi scoprire che alla fine si miscela tutto perché c’è quella parolina che fa cambiare le carte in tavola».

La chiave è proprio la falsificazione con relative bolle che magicamente “girano” (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/come-si-sversa). La Direzione nazionale antimafia lo scriveva già otto anni fa: «Il ricorso al sistema del “girobolla” sintomatico della presenza di strutture criminali», perché «richiede una organizzazione composta da varie figure professionali di natura tecnica (laboratori) ed operativa (trasporti, ecc.), oltre che di contatto con i destinatari finali», si legge nella Relazione 2011. Nella quale la Dna cita la «declassificazione dei rifiuti pericolosi per farli rientrare nella tabella dei rifiuti non pericolosi».

Dopo di che, quanto alle tendenze criminali, da una parte «si nota il progressivo svincolarsi dei traffici dei rifiuti dal loro storico collegamento con le organizzazioni di tipo mafioso, specialmente camorra». Dall’altra, «il loro inserirsi in dinamiche, anch’esse organizzate, ma facenti capo a centrali affaristico-imprenditorial-criminali nazionali e transnazionali».

Un cerchio che poi si è chiuso. Ed è sempre la Dna a definirne i contorni nella sua ultima Relazione, presentata neanche sei mesi fa: «Quella ambientale è una criminalità pericolosissima, spesso veste i panni di quella stessa legalità cui arreca pregiudizio» e «risulta ben più pericolosa di altre», compresa «quella mafiosa, dalla quale si è separata». Così, «se prima le strutture dedite alla criminalità ambientale per aver luoghi dove smaltire illegalmente si rivolgevano alla camorra, adesso quelle stesse strutture dispongono di discariche legali dove operare illegalmente» e «di quanto occorra per farlo». Tutto quadra, insomma.

Annotazione. È l’11 marzo 1997. Venti anni fa, quasi ventuno. Scrive la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella sua Relazione: «Sono ben tredici le regioni dove nel 1996 sono state avviate inchieste per traffici e smaltimento illegale di rifiuti. Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Abruzzo, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia». E annota quanto sia «evidente che fino al 1993 non è stata realizzata alcuna attività
significativa d
’indagine e quindi contrasto ai traffici illeciti di rifiuti».

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