giovedì 7 giugno 2018
L’abbraccio di Bergoglio a cinque sacerdoti che subirono violenza. Teso il clima nel Paese latinoamericano ferito dallo scandalo
Alcune delle vittime cilene di abusi in una conferenza stampa a Roma (Ansa)

Alcune delle vittime cilene di abusi in una conferenza stampa a Roma (Ansa)

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«Vi chiedo perdono a nome della Chiesa per quanto avete sofferto». Lo ha ripetuto più volte nelle lunghe giornate dal 1° al 3 giugno, papa Francesco. Lo ha detto a tutte e cinque i preti vittime di abusi da parte del sacerdote Fernando Karadima nonché ai quattro che li avevano aiutati nel difficile percorso e che sono stati chiamati ad accompagnarli in Vaticano. Lo hanno raccontato, appena atterrati a Santiago, alcuni esponenti della comitiva ricevuti singolarmente o in piccoli gruppi a Santa Marta, dove hanno anche alloggiato. «Eravamo ospiti nella sua casa, dove vive e lavora, come tutti. Si entra nella mensa e trovi il Papa a tavola che parla con i suoi ospiti, che prende un po’ di insalata, che versa dell’acqua all’amico... Non accetta, quando arriva, che i commensali si alzino e desidera che tutti proseguano il loro pranzo normalmente. Là ti senti a casa del tuo migliore amico», ha detto padre Eugenio de la Fuente in una dichiarazione ripresa dal sito italiano Il Sismografo. Sabato pomeriggio i preti cileni hanno anche potuto concelebrare la Messa con Francesco.

«Tutto era grandioso ma supernormale. Nulla di enfatico o iperbolico », ha sottolineato il sacerdote. I colloqui tra le vittime e il Pontefice sono stati «franchi al cento per cento», «con noi sembra essersi concluso quella sorta di ciclo esplorativo», cominciato con gli incontri con altri tre abusati – James Hamilton, Andrés Murillo e Juan Carlos Cruz –, ricevuti a Santa Marta tra il 28 e il 30 aprile. Infine un richiamo alla visita apostolica in Cile dello scorso gennaio e delle sue parole per il vescovo Barros: «Il Papa – ha detto de la Fuente – ci ha spiegato anche la sua esperienza (sul Paese e sul viaggio, ndr). Lo ha fatto con umiltà e chiarezza. È chiaro che lui è arrivato in Cile senza avere una informazione veritiera ed equilibrata». Anche padre Sergio Cobo ha ribadito l’attenzione data dal Pontefice agli abusati. «Che ci abbia ascoltato è stato meraviglioso. È stato impressionante stare con lui per quattro ore e fargli ascoltare la voce delle vittime».

Le rivelazioni dei partecipanti agli incontri sono arrivate lo stesso giorno in cui il sito della Santa Sede ha diffuso la versione integrale della lettera inviata da Bergoglio, il 31 maggio, al “popolo di Dio pellegrino in Cile”. Nel testo il Papa pronuncia un vibrante “nunca más” alla «cultura dell’abuso, così come al sistema di coperture che gli permette di perpetuarsi». L’antidoto a quest’ultima risiede nella «cultura dell’attenzione e della cura», in primis delle vittime. Proprio nell’incapacità di ascoltare e dare pieno riconoscimento alla loro sofferenza, Bergoglio individua «una delle nostre principali mancanze e omissioni».

Parole cariche di umiltà e consapevo-lezza, che arrivano come un balsamo nel Cile ferito dallo scandalo degli abusi. E soprattutto dalla convinzione diffusa nella società che vari vescovi si siano, troppo a lungo, “voltati dall’altra parte”. Del clima incandescente cercano di approfittare alcuni esponenti anticlericali e anticattolici, ansiosi di regolare vecchi conti in sospeso con la Chiesa. Una feroce campagna di stampa sta provando a screditare figure di grande prestigio dell’episcopato che niente hanno avuto a che fare con Karadima: da monsignor Héctor Várgas a monsignor Luis Infanti de la Mora. Nell’esclusivo quartiere di Providencia uno sconosciuto “Movimento sociale patriottico” ha appeso fantocci impiccati con l’abito talare e il cartello: «Sacerdote abusatore, al patibolo per traditore».

Alla macabra provocazione si è aggiunta la richiesta di due senatrici di togliere la cittadinanza cilena all’arcivescovo di Santiago, Ricardo Ezzati, nato in Italia. La tensione è forte ad Osorno, diocesi guidata da tre anni da monsignor Juan Barros, ex segretario di Karadima, accusato di averne coperto le malefatte. Il vescovo è ricomparso davanti al clero dopo essere scomparso per 48 giorni, al rientro dall’Italia. Barros ha detto di essersi preso un periodo di riposo per ragioni di salute e non ha risposto alle domande dei giornalisti.

A Osorno si recheranno, dal 14 al 17 giugno, i due inviati speciali del Papa, monsignor Charles Scicluna, arcivescovo de La Valletta, e monsignor Jordi Bertomeu, ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede. La loro seconda missione cilena comincerà martedì prossimo e durerà fino al 19. La prima, nei mesi scorsi, ha dato origine al rapporto di 2.300 pagine in base al quale Francesco ha deciso di convocare, dal 15 al 17 maggio, i vescovi cileni in Vaticano che, dopo gli incontri, hanno presentato in toto al Pontefice le loro dimissioni.

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