mercoledì 27 ottobre 2021
Marito, moglie e tre figli andranno tra gli indios. «Il Vangelo, dono che non va tenuto per sé». L’arcivescovo Tisi: beati quelli che sanno uscire da loro stessi per andare incontro agli altri
La famiglia Bettini con l’arcivescovo Tisi

La famiglia Bettini con l’arcivescovo Tisi - Gianni Zotta

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All’arrivo in Cile, tre settimane fa, i tre figli Francesco, Mario e Rosette custodivano ancora nello zainetto come mamma e papà quella matita «per disegnare la bellezza della nuova missione» che era stata consegnata loro in un incontro di “mandato” a nome della diocesi di Trento: «Non partono per un’esperienza soltanto familiare, ma come segno di una comunità che li vuole accompagnare», aveva spiegato don Cristiano Bettega al Centro Missionario di Trento, mentre l’arcivescovo Lauro Tisi li benediceva: «Voi siete una buona notizia, testimonianza di una Chiesa in uscita, che si fa dono; beati gli uomini e le donne che sanno uscire da loro stessi per andare incontro agli altri».

«L’accoglienza è stata molto calda – ci aggiornano al telefono Fabrizio Bettini e la moglie Francesca arrivati in Cile con i tre ragazzi di 12, 11 e 7 anni – dopo il periodo un po’ stressante prima della partenza, visto che l’appartamento che avevamo prenotato per la quarantena era risultato occupato; però siamo stati accolti a Santiago dalla comunità dei tre francescani di origine trentina, che custodisce un santuario in un quartiere molto difficile».

Sono abituati agli imprevisti i due coniugi missionari perché Fabrizio per vent’anni è stato volontario in Croazia, Albania, Palestina e Libano per Operazione Colomba, il corpo permanente non violento dell’Associazione Papa Giovanni XXIII a cui appartiene la moglie Francesca. «Il Vangelo è un dono da non tenere per sé – dice semplicemente lei – e ognuno di noi deve vivere la propria vocazione».


La loro residenza si trova in Araucania, regione di scontri tra lo Stato e gli indios Mapuche. I ragazzi hanno 12, 11 e 7 anni Fabrizio Bettini è il loro padre: come elastici per dare un contributo ma anche per portare a casa ciò che si è imparato

Un anno fa avevano conosciuto durante un viaggio con i tre figli questa realtà di Valdivia, nel sud del Cile, dove operano altri volontari della Papa Giovanni XXIII impegnati in due case famiglia e un centro di accoglienza per migranti, d’intesa con la Chiesa locale. «Non appena ambientati – promettono – potremo davvero metterci a servizio di queste realtà, con la consapevolezza che la strada non sarà sempre lineare».

Da pochi giorni il governo cileno ha decretato lo stato d’emergenza nella regione dell’Araucania, la zona dove maggiormente si sviluppa lo scontro fra lo Stato e i gli indios Mapuche (il più grande importante gruppo etnico del Cile “monitorato” dai volontari italiani per difendere i loro diritti), che credono in una forma di sviluppo rispettosa dell’ambiente e che permetta alle persone di vivere in simbiosi con la terra.

«La mia vocazione è sempre stata quella di lavorare dentro al conflitto e continuerò a farlo con la mia famiglia - spiega Bettini, di Rovereto che, pensando all’impegno preso per tre anni non si sente missionario a vita in senso tradizionale, ma si definisce “un elastico per dare un contributo ma anche riportare a casa, nel proprio contesto quotidiano quanto si è imparato”».


La reazione dei ragazzi? Francesca, la madre: gli abbiamo proposto «qualche piccola azione concreta perché imparassero ad aprire gli occhi sul mondo. Hanno voluto mettersi in gioco in questa grande avventura»

E i ragazzi? «Ne abbiamo parlato a lungo – risponde Francesca – e proposto loro qualche piccola azione concreta per imparare ad aprire gli occhi sul mondo. Pur dovendo salutare a Rovereto i compagni di scuola e amici, hanno voluto mettersi in gioco in questa grande avventura».

«È stato quasi più difficile comunicarlo ai miei genitori, che sentiranno la mancanza dei nipoti», confida Bettini. E anche gli amici e gli altri parrocchiani di Santa Caterina di Rovereto appoggiano a distanza la famiglia-elastico: si sono suddivisi le piante del loro appartamento per curarle durante la loro assenza, una forma non solo simbolica di partecipare alla loro missione. «Ci sentiremo anche noi accuditi e “curati”, nonostante la distanza», confermano i Bettini dopo le prime settimane cilene.

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