domenica 14 ottobre 2018
Da domenica a martedì si ritrovano insieme rappresentanti delle grandi religioni. Tra gli altri, il grande imam di Al-Azhar e il rabbino capo di Francia
Andrea Riccardi

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Ponti di pace per cancellare la paura dai cuori. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, parla in quest’intervista di una «caduta delle tensioni unitive», dell’occasione perduta di realizzare la «globalizzazione dello spirito». Tuttavia, presentandoci “Ponti di pace” che si apre domenica a Bologna, pare soprattutto preoccupato per i giovani, «che oggi sono troppo spaventati in un mondo di adulti che li spaventa troppo». Per uscire dalla paura pregando insieme i rappresentanti delle grandi religioni si troveranno da domenica a martedì nel capoluogo emiliano per la 32ª tappa dello spirito d’Assisi, inaugurato nel 1986 da Giovanni Paolo II e portato avanti dalla Comunità di Sant’Egidio. Tra le personalità, Ahmad Muhammad Al-Tayyeb grande imam di Al-Azhar, Bernice King figlia di Martin Luther King, il rabbino capo di Francia Haim Korsia, l’ex presidente della commissione europea Romano Prodi e la senatrice Liliana Segre.

Nel 1986 si tenne il primo incontro di preghiera delle grandi religioni del mondo. In trentadue anni lo spirito di Assisi si è rafforzato o si è indebolito?

In questi 32 anni il filo dello spirito di Assisi si è dipanato attraverso scenari diversi, dalla guerra fredda che sembrava un destino eterno alla belle époque della globalizzazione che sembrava una “provvidenza”; per arrivare ad oggi, quando ci siamo rassegnati troppo alle distanze, ai linguaggi aggressivi, ai conflitti, a considerare la guerra come una compagna ineliminabile della storia. Direi che in questo momento c’è un rilassamento o una caduta di tensioni unitive, di passioni per le comunità dei popoli, di affezioni all’ecumenismo nel senso ampio del termine, di tensione all’unità. Questo si avverte anche nel linguaggio con cui la gente comune e i responsabili dei popoli si parlano. Non dico che pace e unità siano scomparse dall’orizzonte della speranza, ma sono astri affievoliti.

Verrebbe da dire che non ci crediamo più...

Guardi, in un simile contesto lo spirito di Assisi non solo è ancora attuale ma è più attuale. Se al tempo della guerra fredda rappresentava l’attualità di un ponte oggi rappresenta un complesso di ponti; da un lato sottrae le religioni al fascino di farsi imprigionare da identità contrapposte, di sacralizzare i conflitti, di benedire i destini separati e addirittura di legittimare i radicalismi e i terrorismi; dall’altro, incontrandosi, le religioni, come diceva Giovanni Paolo II, vanno al fondo di se stesse e trovano quella vocazione a fare pace, a vivere in pace che è nei loro cromosomi. Perché la pace è il bel nome di Dio.

Quest’Europa divisa può avvertire lo spirito di Assisi?

C’è bisogno oggi di più spirito di Assisi, non di meno spirito di Assisi. L’incontro avviene a Bologna in un’Europa che si sente meno comunità in un mondo di grandi distanze, tra nord e sud, tra est e ovest, ed appare come il segnacolo di una via. Fatta di preghiere e dialogo, perché come diceva Paolo VI, la preghiera è dialogo con Dio ma è scuola di dialogo con l’uomo. E direi che in ogni preghiera c’è un’espressione di dialogo. Per questo, l’intuizione preveggente di Giovanni Paolo II che la Comunità Sant’Egidio ha continuato è stata colta da papa Francesco quando è venuto per i 30 anni dello spirito di Assisi e ha definito il nostro ideale quello di un mondo fraterno.

Ponti di pace si aprirà con la testimonianza di una rifugiata siriana e del grande imam di Al-Azhar. Perché il primo “ponte” lo volete lanciare in Medioriente?

A Bologna vedremo i rappresentanti del mondo mediterraneo, il grande imam, i patriarchi orientali, cristiani ed ebrei, religioni asiatiche e umanisti. Sì, anche gli umanisti perché gli umanisti sono ugualmente interessati alla pace, al metro del dialogo e a quel Dio che vive nella mente dei loro concittadini.

Tutti quanti, in questi 32 anni, hanno sperato che la globalizzazione fosse l’altro nome della pace. Dunque, non era così?

Abbiamo creduto che la globalizzazione fosse una “provvidenza” destinata a portare ovunque sviluppo e democrazia. Credo che non abbiamo colto quell’occasione per lavorare per una globalizzazione dello spirito, che era una proposta di Assisi. Purtroppo, spesso, le religioni sono rimaste chiuse tra le loro mura. Alcune si sono fatte addirittura benedicenti rispetto alle resistenze alla globalizzazione e non c’è stata per l’appunto quella dello spirito, un avanzamento del dialogo ecumenico. Il patriarca Atenagora di Costantinopoli diceva guai se il mondo arriverà all’unificazione e i cristiani resteranno divisi...

Si parlerà anche del 1968 e interverrà la figlia di Martin Luther King: cinquant’anni dopo, in un mondo orfano di ideologie e di idee, disintermediato e impoverito, è ancora possibile «avere un sogno»?

Credo che senza un sogno il mondo muore nel gelo della paura. La paura è un sentimento troppo diffuso tra i nostri concittadini. Il grande sogno è quello messianico della pace. Noi dobbiamo far emergere dai cuori questo sogno perché è il sogno dei giovani, che oggi sono troppo spaventati e che un mondo di adulti spaventa troppo. Ed è il sogno che germina dalla preghiera e diventa una fede: che Dio non abbandonerà il mondo al male della guerra.

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