sabato 2 marzo 2019
Con la fine del Califfato tornano a casa i prigionieri, i bimbi indottrinati come kamikaze e le donne violentate. Le sepolture rivelano teste mozzate e corpi torturati
Dalle fosse comuni irachene e siriane spunta il genocidio del popolo yazida
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Vestiti di stracci. Gli occhi sgranati. Li hanno fatti sedere a terra a semicerchio per fotografarli bene, gli undici bambini yazidi messi in salvo dall’Fds, le Forze democratiche siriane. Non sono più curdi, tanto meno parlano la loro lingua dopo l’addestramento dei campi speciali del programma «Cuccioli del Califfato», per diventare soldati e kamikaze. Solo uno di loro ricorda la famiglia: padre ucciso e madre rapita a Sinjar nel 2014, l’attacco che ha massacrato, rapito, schiavizzato e fucilato o decapitato in tutto 10.400 uomini donne e bambini della minoranza religiosa invisa al Califfato.

Poi è stata la volta di una famiglia di quattro persone; due ragazze con numeri di telefono scritti sulle braccia; sei donne con i loro figli, fuggiti con decine di migliaia di civili durante i combattimenti per smantellare l’ultima sacca del Daesh nella Siria nord-orientale: meno di 500 miliziani che resistono e conoscono il destino di 3.000 donne e bambini che ancora mancano all’appello. Ma 23 è meno di 50. La cifra delle teste mozzate di donne dentro bidoni abbandonati in un tunnel ritrovate dai corpi speciali dell’esercito britannico durante le ultime fasi della battaglia a Baghuz, è netta e feroce.

«Il Daesh sta usando gli yazidi rapiti come scudi umani – ha commentato la Premio Nobel per la Pace 2018 Nadia Murad. Ho chiesto ripetutamente alla comunità internazionale di salvarli dalla prigionia». Un altro attivista yazida, Ali Hussein al-Khansuri, ha pubblicato la chat Whatsapp di un miliziano a cui chiedeva informazioni sulla sorte delle donne rapite diventate schiave sessuali e gli sarebbero stati spiegati i contorni di quest’ultimo massacro: ordinato dallo stesso Abu Bakr al-Baghdadi nel dicembre scorso, sarebbe la risposta ai bombardamenti degli ultimi quartier generali di Daesh da parte della Coalizione internazionale.

«Facciamo appello alle forze della Coalizione, agli Stati Uniti e chiunque stia combattendo il Daesh per scoprire il destino delle vittime e riportare indietro i prigionieri», hanno detto con una nota i leader delle organizzazioni tribali yazide in Iraq. Il loro non è l’unico appello di queste ore: molte Ong e anche l’Ufficio per le Minoranze religiose a Baghdad ha chiesto al governo iracheno chiarimenti ufficiali in merito a questo ritrovamento invitandolo a fare di più. «Ci sono piani e operazioni di ricerca in pieno svolgimento», fanno sapere dal Krg, il governo regionale del Kurdistan iracheno, dove si sei è rifugiata e vive ormai da 5 anni nei campi profughi la maggioranza degli sfollati di Ninive e Sinjar.

Non si conosce il numero di quanti possano essere ancora nella zona delle battaglie, tra Baghouz e Deir ez-Zor, sull’Eufrate, al confine con L’Iraq. Ma è un’area che si restringe di giorno in giorno. Notoriamente Daesh porta con sé i prigionieri mentre si sposta e molti potrebbero essere adesso intrappolati nell’assedio. Oppure trovarsi nei campi tra i siriani sfollati e le famiglie dei jihadisti in fuga: si stima siano tra 11.000 e 20.000 le persone fuggite dall’inizio del dicembre scorso dagli ultimi villaggi occupati. Gli yazidi combattono per la sopravvivenza della loro identità. Nelle scorse settimane un braccio di ferro per trasformare in museo la scuola di Kojo, teatro del peggiore massacro ai danni della minoranza e dove è stata rinchiusa la stessa Nadia Murad. Comunità, Onu, Unesco e Baghdad si sono viste sfidare dal Dipartimento per l’Educazione di Ninive che aveva quasi già avviato i lavori per riaprire le aule. In queste ore intanto è stata scoperta una nuova fossa comune con decine di cadaveri di yadizi, uomini e donne: il comandante delle Forze democratiche siriane Adnan Afrin ha detto che la maggior parte è stata decapitata. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’ORRORE

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