La dignità si riconosce, non si concede. È anche reddito, ma più ancora rispetto
domenica 14 ottobre 2018

Gentile direttore,

nel momento in cui scrivo non so quale forma prenderà la manovra finanziaria. Ma vorrei offrirle una riflessione un po’ diversa. Con il "reddito di cittadinanza" così come configurato e le sue spese "non immorali", lo Stato interviene in uno spazio dove operano già molte associazioni di beneficenza e carità che forniscono a chi ne ha bisogno cibi, medicinali di base, vestiti e altri generi di prima necessità. Ora questo rappresenta per noi una sfida (mi permetto di dire "noi", anche se in questo periodo il mio impegno non supera le 3 ore mensili al Banco Alimentare). Che cosa "ci stiamo a fare" se ci pensa già lo Stato? Mi permetto allora di ricordare un episodio narrato da papa Francesco nel libro intervista "Il nome di Dio è Misericordia". Quando era parroco, una donna di condizione veramente infima andò a ringraziarlo. Lui pensava che fosse per il pacco della Caritas. La donna dice che lo ringraziava anche per quello, ma soprattutto perché la chiamavano "signora". Forse, riconoscere la dignità e valorizzare chi si rivolge a noi diventa ora il punto focale del nostro impegno.

Roberto Bera, Torino


Credo, caro amico, che il rispetto per la persona sia già il centro e il fuoco dell’impegno di chi agisce sulle frontiere della povertà animato da vero spirito cristiano e da un forte sentimento civico. Se non fosse così compiremmo un rito sociale, non un gesto fraterno. Detto questo, non so se il cosiddetto "reddito di cittadinanza" si realizzerà o meno nella forma annunciata, ma sono convinto anch’io che nel tempo a venire – e noi vogliamo che sia un tempo civile... – l’impegno prioritario diventerà sempre più il riconoscere dignità a ogni persona (non concedere, sottolineo, ma riconoscere) e aiutarla a manifestare il proprio valore. E la dignità – come la verità – sta dentro la relazione con gli altri e con la realtà che circonda ognuno di noi, e si realizza in quell’essenziale rapporto-azione che chiamiamo lavoro... Se si agisse politicamente solo per fornire un reddito minimo garantito e un certa quantità di beni a chi non ce la fa e, dunque, pur meritoriamente, si legiferasse e si operasse esclusivamente per soddisfare un dato bisogno materiale, rischieremmo di avere – come martedì 9 ottobre 2018 ha magistralmente annotato Luigino Bruni nell’editoriale che ho intitolato «Mai offendere i poveri» – semplicemente e desolatamente «persone povere con un po’ di consumi in più». Non è un obiettivo per il quale appassionarsi, e non sarebbe di certo una via di salvezza dalla miseria che umilia e fa brutta la vita degli uomini e delle donne. La piccola e bellissima parabola raccontata da papa Francesco nel libro-intervista con Andrea Tornielli ce lo conferma con gentile eloquenza cristiana, parole che sono eco della Parola più grande, che tutti possono intendere e trasfondere nella concretezza della propria esperienza.

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