Divelte a Roma 20 pietre d’inciampo. S’indaghi
martedì 11 dicembre 2018

Può anche essere che non sia stata un’iniziativa organizzata e realizzata da una delle numerose organizzazioni neofasciste che si mostrano in questo nostro Paese sempre più attive e visibili, ma certamente il furto delle venti pietre d’inciampo poste al quartiere Monti a ricordare i membri delle famiglie Di Consiglio e Di Castro assassinati dai nazisti non sarebbe mai avvenuto appena ieri, in un clima meno favorevole di quanto non sia divenuto oggi alle affermazioni fasciste e neonaziste.

Con questo episodio, si è realizzato un impressionante 'salto di qualità' e si è voluto, al di là dei nascondimenti e delle ambiguità, fare un’aperta proclamazione di antisemitismo. Per farlo, si è colpito uno dei simboli più significativi della memoria della Shoah a Roma: venti pietre d’inciampo, un numero molto alto, poste a ricordare quella notte del 21 aprile 1944 in cui un’intera famiglia di ebrei, dai bambini ai vecchi, fu scoperta in via Madonna dei Monti 82 in seguito alla delazione di un italiano, arrestata e deportata. Sette membri della famiglia, gli uomini, furono uccisi alle Fosse Ardeatine, gli altri, compresi i neonati, ad Auschwitz.

Le pietre d’inciampo, sampietrini con in cima una targa di ottone con inciso il nome del deportato, la sua data di nascita e di morte, sono sculture ideate da un artista tedesco, Gunter Denmnig. In Italia è l’Associazione Arte in memoria creata e diretta da Adachiara Zevi che si cura, ogni anno, di organizzarne la posa, in toccanti cerimonie di fronte ai portoni delle case da cui sono stati portati in deportazione degli esseri umani: non solo ebrei, ma anche antifascisti, partigiani.

Si chiamano pietre d’inciampo perché servono a far inciampare l’attenzione di chi passa, a ricordargli quello che è successo proprio in quel luogo, nel punto in cui pone il suo passo. A Roma, dove i nazisti hanno deportato quasi duemila ebrei, ce ne sono molte, in particolare in alcuni quartieri, come in quello che fu prima del 1870 il ghetto, ma non solo. Non tutti i luoghi della deportazione sono segnalati da queste pietre, solo quelli in cui qualcuno – discendenti, amici, istituzioni – ne ha fatto richiesta.

Se le pietre d’inciampo, facendo inciampare l’attenzione di chi passa, servono a perpetuare la memoria e ad ancorarla ai luoghi concreti in cui quegli eventi sono accaduti, è pur vero che proprio questo è intollerabile per chi ha finora negato la Shoah, con mille discorsi speciosi e bugiardi, e si sta ora preparando invece, a rivendicarla come un merito: neofascisti, nazisti, antisemiti, ogni genere di seguaci di Bannon e di Julius Evola. Tutta gente che aveva finora tenuto sotto controllo, per viltà e conformismo, le sue teorie e ora si sente legittimata a parlare apertamente, a esprimere a parole e con i fatti il suo razzismo e il suo antisemitismo. Pochi mesi fa Adachiara Zevi è stata minacciata da questi figuri proprio per l’attività che svolge per la memoria. E nessuno è stato arrestato per queste minacce apertamente antisemite.

Ora, si è passati ai fatti, sradicando le pietre stesse, uccidendo un’altra volta, con la loro memoria, le vittime dello sterminio nazista. Le associazioni che propagandano l’antisemitismo e il razzismo non sono clandestine, fanno pubbliche manifestazioni autorizzate dalle autorità in nome della libertà di stampa e di espressione, affiggono mani-festi, non sono aliene da atti di squadrismo. Sono insomma presenti sulla pubblica scena. Che si indaghi al loro interno, che si trovino i colpevoli di questo atto, che si sancisca una volta per tutte che nell’Italia nata dall’antifascismo e dalla Resistenza, nell’ottantesimo anniversario delle leggi razziste, il razzismo e l’antisemitismo non sono consentiti.

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