domenica 12 novembre 2017
«Per stendere Renzi bisogna sparargli». È difficile stabilire se sia un complimento o una uscita di infimo livello, dato almeno il tipo villano ("stendere") di linguaggio. Questo titolone dominava la prima pagina di Libero mercoledì scorso: «Quando assunsi la direzione editoriale di Libero, che fondai nel 2000 non avendo nulla di meglio da fare – scriveva il direttore Vittorio Feltri –, un esercito di imbecilli mi accusò di aver accettato l'incarico allo scopo di sponsorizzare Matteo Renzi... Ora il "Rottamatore" è considerato un reietto...», eccetera. Sarebbe divertente continuare nell'analisi: per esempio della collocazione dell'inciso, che sembra squalificare la creazione del giornale.
Fermiamoci, dunque, al titolo: si potrà obiettare che è un modo di dire, ma è anche e soprattutto una dimostrazione dello spirito personalistico e demolitore che anima la disputa politica di questo tempo. Appartengono a questo genere di titoli anche due del Giornale (giovedì): «A sinistra si ammazzano tra loro» e «Bersani fa una strage». In altri giornali esistono frequenti titoli che rubano il linguaggio religioso per farne frasari satirici come minimo irriverenti. Lunedì e per criticare, con qualche motivo, una "omelia" tenuta da Renzi in una basilica di Paestum perché fuori diluviava, Il Fatto Quotidiano ha fatto questo titolo: «Sante urne in nome del Candidato, del Padre e del Figlio». Invece martedì, per annunciare la nuova edizione del manuale del Comitato cardiologico con le «linee guida per i medici sportivi, la Repubblica parlava della «Bibbia che tutela gli atleti».
Per finire questa descrizione di un giornalismo in decadenza, ecco, nella settimana, il primo di questo tipo di titoli. È del Tempo di lunedì che in prima pagina ha festeggiato l'esito delle elezione in Sicilia con una parolaccia sessuale, molto usata in loco, che non si può citare per la sua volgarità: «M…, che centrodestra!». Noi avremmo detto "perbacco!".

IL CAFFÈ DEL PARROCO
Sul Corriere della Sera c'è una rubrica di fine ironia importata dalla Stampa con nome diverso ma medesimo autore: «Il Caffè» di Massimo Gramellini. Condannato a sorbirlo è quel parroco (perlomeno incauto e, poi, giustamente pentito) che, alla parrocchiana stuprata da un maghrebino, ha detto che «se l'era cercata» perché ubriaca e con quella compagnia. Il caffè è in ebollizione per la «esibizione brutale di senso comune» (del parroco), ma non ha aggettivi per lo stupratore. È vero che la donna ha il diritto di andare con chiunque, a qualsiasi ora della notte, in qualsiasi strada e dopo aver tracannato qualsiasi bevanda. Però non si può trascurare il buonsenso, che qui è annegato nel fondo della tazzina. Anche se «Il prete!» (con punto esclamativo incorporato) non conosce i diritti (civili), è meglio che la ragazza non torni da sola alla stazione di Bologna in ore antelucane neanche per rieducare «il prete!»: quello con il punto esclamativo incorporato, che «non merita nessuna pietà», ma soprattutto non questo Caffè.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: