Eni, Report e il tribalismo della Basilicata

Lo sviluppo con le chiacchiere, tra fondi sovrani in miniatura e tuffi acrobatici nella bacinella

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E’ quello che pensa Eni: “Questi politici lucani non sono capaci di fare sviluppo con i soldi che gli diamo”. E’ la tesi sostenuta nel servizio di Report andato in onda l’altro ieri. E’ vero. Tuttavia, si tratta di una tesi esposta a molti equivoci. I ristorni delle estrazioni di gas e petrolio in teoria sono a compensazione ambientale. Si tratta di risorse aggiuntive ai bilanci dei Comuni del territorio interessati dall’attività estrattiva e al bilancio della Regione. Sono una miseria per la Regione, poco meno del 2% del bilancio, mentre per i Comuni rappresentano una montagna di denaro in rapporto ai loro miseri bilanci.

E’ vero che la Basilicata ha trattato quelle risorse non in funzione aggiuntiva ma sostitutiva del denaro necessario a mantenere in vita servizi essenziali, fino a diventarne dipendente. Senza quelle risorse sarebbe impossibile oggi garantire il welfare, l’Università, il trasporto pubblico e finanche una parte dei servizi sanitari. Risorse tuttavia mai certe poiché legate alla quantità di barili estratta e all’andamento del prezzo sul mercato internazionale.

I Comuni dal canto loro avrebbero potuto fare di meglio ma hanno preferito spendere anziché investire. Risultato: zero sviluppo nell’area della val d’Agri nonostante il Piano Operativo finanziato con circa 400 milioni di euro aggiuntivi ai ristorni ordinari.

Di questo fallimento i governi regionali De Filippo e Pittella sono autori principali. Dunque il pensiero di Eni sostenuto a mo’ di tesi da Report può riguardare solo l’area intorno agli stabilimenti estrattivi.

Tuttavia, il calo dell’occupazione nel territorio della val d’Agri, il calo della popolazione, la chiusura di migliaia di aziende agricole con oltre 20mila ettari di terreni abbandonati, il disastro ambientale provocato in quei territori, compresi i danni alla salute delle persone, non ci pare siano opera dei Comuni. Appare più evidente, al contrario, una responsabilità diretta dei petrolieri i quali fin dall’inizio hanno creduto di agire in un territorio franco sul modello nigeriano.

Creare sviluppo e occupazione in un’area che negli ultimi venti anni perde continuamente valore non è facile certo ma non impossibile. Sarebbe stato possibile a condizione, però, che l’intera regione e i suoi dirigenti a tutti i livelli avessero capacità, competenze, visione e, soprattutto, l’intenzione di lavorare per il bene e per il futuro della Basilicata. Queste condizioni come è evidente non ci sono mai state. Hanno prevalso, al contrario, affarismo, clientelismo, malaffare, connivenze oscure, fenomeni che in parte hanno coinvolto il territorio e le sue istituzioni nelle responsabilità, insieme a Eni, di quanto accaduto.

E veniamo alla questione royalties e sviluppo della Basilicata. L’intera regione in questi ultimi 20 anni non è cresciuta, al contrario, alcuni indicatori socio-economici segnalano un arretramento anche importante. Questo è accaduto perché i ristorni petroliferi non sono stati spesi bene? O perché rappresentavano una porzione minima di risorse insufficienti a innescare processi di sviluppo?  Se diamo un’occhiata ai bilanci degli ultimi anni scopriamo, si fa per dire, che quelle risorse sono diventate vitali per la spesa corrente. Ciò vuol dire che sono state assorbite da capitoli che, in condizioni normali, graverebbero sulle risorse del bilancio ordinario della Regione. Questo dato ci dà l’idea dell’arretramento complessivo delle entrate oppure dell’allegra gestione delle uscite. In un caso o nell’altro siamo alla frutta perché dipendere da 50 oppure 80 milioni di ristorni petroliferi è la sanzione evidente di un malgoverno.

Dov’è il punto vero? E’ nelle risorse dell’Unione Europea. Nel periodo 2007-2013 la Basilicata ha avuto una dotazione di circa 2 miliardi di euro. E nel periodo 2014-2020 avrà una dotazione di circa 3 miliardi di euro. A parte la quantità di denaro arrivata prima del 2007, a parte le risorse statali sotto varie forme.

Insomma con quelle risorse bisognava creare sviluppo, altro che 50 o anche 80 milioni di royalties di cui si dovrebbe fare a meno perché ci costano ogni anno quasi 10 volte tanto per consumo di valore complessivo: acqua, suolo, aria, salute, ambiente, spopolamento, calo di reputazione, disoccupazione. E anche perché alimentano sprechi, clientele, malaffare e quindi di conseguenza sfiducia.

Sviluppo che, è sotto gli occhi di tutti, non c’è stato. Perché ci sia, la Basilicata ha bisogno di un’inversione immediata delle politiche su tutti i versanti. Di una svolta nell’approccio alla programmazione economica e finanziaria. C’è bisogno di un rovesciamento radicale del rapporto tra politica, istituzioni e cittadini. Occorre smantellare l’illegalità diffusa e introdurre paradigmi moderni di giustizia sociale, “bonificare” il sistema politico dalle scorie del “tribalismo di casta” nella gestione della cosa pubblica. Un tribalismo che caratterizza nella società lucana anche molti gruppi di interesse chiusi nel loro egoismo e nella loro presunta appartenenza a un’élite imprenditoriale, culturale, intellettuale che da oltre 150 anni ricama il velo di miseria che avvolge la Basilicata.

Occorre tutto questo, o non ne usciamo. Con buona pace di chi propone fondi sovrani in miniatura e tuffi acrobatici in una bacinella d’acqua.

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