Da Bergamo alla Cina andata e ritorno. Ma la porta verso l’estremo oriente resta aperta. E’ la storia di Luigi Difrancesco, 25enne di Mapello, professione studente di Economia Bancaria alla Bicocca di Milano e allenatore che, nonostante la giovane età, è già molto conosciuto nei vivai della nostra provincia (un anno a Presezzo e tre all’Atletic Almenno). Due esperienze in Cina (a luglio e ottobre) in quattro diverse città per promuovere il calcio italiano e insegnare ai giovani cinesi le metodologie di lavoro dei nostri tecnici.
Luigi, partiamo dall’inizio. Come nasce quest’avventura? “Mio papà legge un annuncio sul sito di Bergamo & Sport. ICFA (Italy China Friendship Association) sta cercando un giovane allenatore dotato di patentino (Uefa C il requisito minimo) per promuovere il calcio italiano nella provincia di Shandong. Io avevo appena conseguito il patentino Uefa B e ci ho provato. Ho svolto due colloqui a maggio e alla fine ho superato la selezione (una cinquantina le candidature). Sensazioni? Un po’ incredulo e allo stesso tempo orgoglioso: si erano candidati tanti bravi allenatori, molti anche più esperti di me. Non so cosa possa aver fatto la differenza, probabilmente ho messo in mostra qualche caratteristica che è piaciuta particolarmente. E’ stato tutto molto veloce, a giugno avevo in mano il passaporto e a luglio sono partito”.
Reazioni? Come l’hanno presa famiglia e amici? “Stupore, tanto stupore. All’inizio ho visto anche un po’ di preoccupazione. Andare a 8mila chilometri da casa non è come andare da Mapello ad Almenno. La distanza, insomma, si fa sentire. Ma ho visto anche tanta felicità: sapevano che sarei andato a fare ciò che amo e penso siano stati orgogliosi della mia scelta”.
Pronti, partenza, via: il volo. “A luglio sono atterrato a Pechino dopo uno scalo (a Mosca) che ha allungato il viaggio e aumentato il senso di stanchezza. Molto meglio a ottobre, quando invece il volo era diretto. La destinazione, in entrambi i casi, era sempre la provincia dello Shandong, in quattro città diverse (prima Heze e Linyi, poi Linzi e Zibo)”.
Le condizioni. “Il lavoro è chiaramente retribuito. A carico dell’organizzazione anche visto, trasporti, vitto e alloggio durante tutta la mia permanenza in Cina”.
Il primo impatto. “Mi ha colpito molto il senso di sicurezza che si percepisce in Cina. Entri in metro, in stazione, in aeroporto e c’è sempre un controllo specifico. Alla stazione dei treni non entri senza biglietto e comunque, in ogni posto, i bagagli devono passare il controllo allo scanner. Un aspetto nuovo, che non avevo mai visto in Italia né altrove”.
La vita di tutti i giorni. “A luglio le mie giornate erano abbastanza abitudinarie: allenamenti al mattino e al pomeriggio intervallati dal pranzo. Cena molto presto, come da abitudine cinese. Nella seconda esperienza un solo allenamento al giorno e quindi più tempo libero, che occupavo studiando o uscendo per conoscere le città che mi ospitavano. Nessun problema di lingua perché agli allenamenti era sempre presente un interprete che traduceva le mie parole dall’inglese al cinese. Ho trovato un paese molto ospitale, gente che capisce la tua condizione di “expat”, ti aiuta in tutto e si offre per portarti in giro a conoscere nuovi posti”.
Il cibo. “Qui l’impatto è stato un po’ più complicato, ma devo premettere che io sono abbastanza difficile anche in Italia. In linea di massima ho trovato una cucina un po’ troppo speziata per i miei gusti. E dire che io sono uno che ama il piccante… Ma non mi lamento: nell’hotel in cui alloggiavo c’era anche un ristorante di cucina occidentale”.
Il lavoro. “Mentre in Italia i ragazzi vanno a scuola e poi giocano nella squadra del paese o del quartiere, in Cina del calcio se ne occupa direttamente la scuola, e in particolare il Dipartimento dell’Educazione. Il calcio è diventato materia scolastica, il che secondo me è molto positivo. Ho notato grandi differenze nelle metodologie di lavoro sul campo. La maggior parte degli allenamenti era strutturata solo sulla parte fisica (resistenza, addominali) e sulla partita. Io ho cercato di portare il nostro credo: curare l’aspetto fisico, tecnico e tattico e vedere la partita solo come il risultato di questi tre ingredienti. Ho notato molta curiosità e voglia di apprendere, ho visto allenatori cinesi che osservavano e prendevano appunti durante i miei allenamenti. Ho visto grande disponibilità e tanta voglia di imparare per crescere. Penso che nel medio-lungo termine tutto questo grande lavoro, parallelamente agli ingenti investimenti, possa portare grandi benefici al calcio cinese”.
I momenti indimenticabili. “Di sicuro la visita di Pechino, dove ho avuto modo di vedere sia la parte più moderna che quella più antica. Visitare la Città Proibita è stato emozionante. In generale penso comunque che queste due esperienze cinesi mi abbiano arricchito molto dal punto di vista culturale”.
Pronto per il terzo viaggio? “Se devo pensare al mio futuro, sogno di allenare a livello professionistico. D’altronde il calcio è la mia passione. Certo, se potessi allenare un po’ più vicino a casa non sarebbe affatto male, però tornare in Cina non mi dispiacerebbe affatto”.
I ringraziamenti. “Un grande grazie va alla presidentessa di ICFA, Yan Wang, e al mio responsabile tecnico Daniele D’Eustacchio. E poi alla mia famiglia e ai miei amici che mi hanno sempre fatto sentire vicino a casa nonostante la distanza”.