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Montagna

Escursione sul monte Alto Solo 2 ore per godersi un panorama mozzafiato

La rivista Prealpi, in collaborazione con Gabriele Zerbi, ci porta sulla cima del monte Alto: un'escursione che richiede solamente due ore ma che, una volta in vetta, permette di abbracciare Prealpi bergamasche e bresciane.

A cura di PREALPI in collaborazione con Gabriele Zerbi

Chi va spesso in montagna, chi ama le giornate dedicate alla contemplazione e alla conoscenza della natura e dei paesaggi, è portato di solito, con gli anni, a ordinare le escursioni secondo le loro caratteristiche peculiari. Ecco allora i percorsi storici, le salite alle vette, i sentieri dei fiori, la risalita delle vallate, i percorsi tra boschi e foreste, le escursioni alla ricerca della fauna, le camminate lungo le creste delle montagne, le cordate sui ghiacciai, i sentieri attrezzati e le ferrate, e così via.

Quando si cerca una vera evasione dal mondo angusto delle città, del lavoro, della quotidianità, il richiamo più intenso è comunque quello esercitato dai grandi spazi, dalle cime, dai panorami. Sono i grandi panorami “vicini”, alla portata del semplice escursionista, luoghi da scoprire, che non è difficile raggiungere, che richiedono non più di due o tre ore di cammino prima di offrire alla vista spettacoli realmente emozionanti. Nelle Prealpi, a cavallo tra le province di Bergamo e Brescia, tra la Val Seriana e la Val Camonica, dove l’Oglio si immette nel lago d’Iseo, si trova la cima del monte Alto.

Il nome non sottolinea in realtà la sua altezza (parliamo di 1.723 metri) quanto piuttosto la sua rilevanza come riferimento visivo, come punto di osservazione del territorio circostante. Per salirlo, un punto di partenza consigliabile è Costa Volpino, nelle vicinanze di Lovere, dove con l’auto si imbocca la strada che sale rapidamente in direzione delle frazioni Flaccanico e Ceratello. Si prosegue sempre in auto fino a un bivio e si prende la strada sterrata sulla destra che porta ad un parcheggio presso la vecchia cascina “Ciar”, oggi trasformata in un ristorante. Si è così al punto di partenza, nella Val Supine, a poco più di 800 metri di altitudine. Inizialmente si risale il percorso, tutto a balzi e cascatelle, del torrente Supine, per poi staccarsene seguendo il sentiero 551. Per circa un’ora si cammina in un bosco di abeti e faggi lungo una larga mulattiera di antichi sassi, fino a un segnavia che invita a proseguire lungo uno stretto sentiero diretto al rifugio Magnolini. Un’altra mezz’ora di salita e si arriva alla malga Ramello del Nedi (1.420 m) dove le giornate soleggiate invitano l’escursionista ad una sosta, per ammirare il panorama che si apre sulle Prealpi, solo a tratti nascosto dai boschi di abeti e dai rari larici che circondano la radura erbosa.

IL RIFUGIO

Ancora lontano, in alto, si staglia contro l’azzurro del cielo il rifugio Magnolini (1.610 m) al Pian della Palù, a cui si giunge in mezz’ora di salita per grandi prati fioriti. Il rifugio, di proprietà del CAI di Lovere e intitolato a Leonida Magnolini, comandante di artiglieria alpina e medaglia d’oro al valor militare, venne inaugurato nel 1948. Le testimonianze parlano di enormi fatiche non solo da parte di chi lavorò alla sua costruzione, ma anche di chi, negli anni difficili del dopoguerra, raccolse i fondi necessari per materiali, trasporti e manodopera. Non era certo una gran paga quella destinata a muratori, manovali e artigiani che vi lavorarono, tanto che si pensò di integrarla con beni di prima necessità per le famiglie. Un documento del tempo parla di 700 grammi di farina gialla, 500 grammi di riso e 300 grammi di pasta. Il tutto consegnato sul posto, alla fine della giornata di lavoro. Solo 65 anni fa. Ma è veramente un’altra epoca, un altro mondo. Lontano come alcune foto incorniciate e appese lungo le pareti: sfocate dal tempo. Oggi il rifugio, che dal 2002 riceve l’energia elettrica, dispone di 25 posti letto ed è sempre aperto dal 16 giugno al 29 settembre; solo il sabato e la domenica durante il resto dell’anno (tel. 0346.65145). Qui si incontrano escursionisti che provengono da altre località, altri percorsi. Bastano 30 minuti per arrivarvi dalla Malga Alta del Monte Pora. Ci vogliono circa tre ore di cammino per chi proviene da Bossico (sentieri 551, 552 e 553), tre ore e mezza da San Vigilio (sentiero 559).

IN CIMA

Conviene proseguire infatti, per circa un quarto d’ora, tra annunciate fioriture di rododendri, fino alla vicina cima del Monte Alto (1.723 m) dove una piastra geodetica sul prato aiuta a riconoscere tutti i monti intorno. Il panorama che si apre sulla Val Camonica, sul lago d’Iseo e sul Monte Guglielmo è veramente spettacolare. Un panorama che si completa in direzione est solo sulla sommità del monte, mentre per tutta la salita si è accompagnati dalla visione delle vette delle Prealpi bergamasche. Si riconoscono il pizzo Formico, l’Alben, l’Arera, il pizzo del Diavolo di Tenda, il pizzo Redorta, la Presolana e il vicino monte Pora, che contende proprio al monte Alto il primato del più bel panorama della zona. Lontani, ma ben visibili nelle giornate più limpide, da un lato il monte Fumo e il Corno di Cavento, dall’altro il Monte Rosa.

LA DISCESA

Dopo aver respirato appieno la sensazione che i grandi spazi trasmettono, dopo aver nominato a voce alta le cime conosciute e ricordato, tra amici, quelle raggiunte insieme, la via del ritorno è accompagnata dai ricordi, dalle parole e dalle battute dei compagni d’escursione. La dovuta sosta al Magnolini ha tutto il sapore delle specialità che escono dalla cucina. É ora di riprendere il cammino e ritornare in valle. Questa volta, per non ritornare sui passi della salita, per la discesa si imbocca il sentiero 558, in modo da completare così un ampio anello. La Val Supina non nasconde all’occhio attento la sua storia. Ancora sono riconoscibili i resti delle antiche “calchere” dove, fino alla fine dell’ultima guerra, le rocce calcaree locali venivano “cotte alla griglia” a circa 800 gradi per ricavarne calcina. Ancora si osserva ciò che rimane della Capanna Rodari, incendiata nel corso di una rappresaglia fascista contro i partigiani.

E i sentieri parlano delle fatiche di un tempo: quelle dei taglialegna, dei carbonai, dei contadini e dei mandriani che per secoli hanno ripetuto gli stessi percorsi e gli stessi gesti “perché questa era la vita”. Oggi invece, nel fare il resoconto di una piacevole escursione, ci conforta il clima della primavera: la stagione giusta per apprezzare le forme e i colori dei fiori che punteggiano i prati, i boschi e i cigli dei sentieri. Nel percorrere il versante sud-est della montagna si attraversano prati interi di crocus, si incontrano splendide fioriture di pervinche, di pulsatille, di genziane, fino a rientrare poi nel bosco e a concludere il giro, in poco più di un’ora, là dove era iniziato. La vita è un eterno ritorno.

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