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L'intervento

Perché la Chiesa non è in grado di comunicare il Vangelo ai giovani

Francesco Cavallini, padre gesuita bergamasco, riflette sulla difficoltà della Chiesa (intesa come comunità dei credenti, sacerdoti e laici) nell'annunciare il Vangelo ai giovani

In occasione del prossimo Sinodo indetto da Papa Francesco dal titolo: “I giovani, la fede, il discernimento vocazionale” volevo condividere alcune considerazioni frutto della pluriennale esperienza con i giovani di diverse appartenenze, provenienze, sensibilità.

Proprio su Bergamonews qualche tempo fa apparve un articolo relativo alla presentazione a Bergamo dell’indagine dell’Istituto Toniolo sui “giovani e la fede” dal titolo: “Non vanno a Messa ma credono a modo loro” (leggi qui).

Quello che ho constatato in questi anni confrontandomi con tanti ragazzi è che il Vangelo per la maggior parte di loro (anche chi crede e frequenta la Chiesa) non è significativo per la propria vita, nel senso che non incide concretamente sulla quotidianità. Per altri è addirittura “castrante” rispetto alla vita e al desiderio di vita.

Pochi colgono che il Vangelo sia la cosa più bella, liberante e realizzante per la propria Vita. Che il Vangelo e la relazione “viva” con il Dio della Vita attraverso Gesù sia una “forza liberante” capace di trasformare tanto il cuore e la vita delle persone da renderle capaci di stare al mondo con gioia, pace, coraggio e quindi anche amore. Di sostenere scelte di qualità e di autenticità (per quanto difficili) e quindi un antidoto alla mediocrità, alla paura, alla tristezza e di conseguenza all’egoismo e al “non senso”.

Tutto questo perché la Chiesa (la comunità dei credenti) non è in grado di comunicare il Vangelo ai giovani. Il Vangelo mediamente non è annunciato e se lo è, lo è in modi e linguaggi che mediamente non raggiungono il cuore e la testa dei giovani. (Mi esprimo in modo generalizzante sapendo di non rendere conto alle tantissime situazioni in cui invece questo avviene positivamente ma mi serve per esporre e la mia lettura della realtà e le mie considerazioni).

Dal catechismo, alle liturgie, alla predicazione, alle attività proposte, alle dinamiche dei vari movimenti e associazioni, io credo che non siano calibrate in modo tale che la bellezza liberante e la gioia del Vangelo raggiungano esistenzialmente le persone.

Penso anche che bisognerebbe recuperare (e formare i sacerdoti in seminario) a quell’atteggiamento missionario che si chiama “Inculturazione” che ha permesso la diffusione del Vangelo nei primi secoli e poi nel mondo con le scoperte dei “nuovi mondi”. Cioè la capacità di spogliarsi delle proprie categorie culturali ed esistenziali, delle proprie precomprensioni, per certi aspetti anche dei propri “dogmi” per entrare – in questo caso – in dialogo con i giovani, capire ed assumere le loro categorie culturali ed esistenziali, le loro comprensioni (circa la vita, il senso, ecc.) e a partire da tutto ciò annunciare loro il Vangelo, con le loro categorie affinché giunga al cuore e alla testa. Altrimenti semplicemente non arriva.

Spesso però la formazione di noi sacerdoti è pensata per acquisire il patrimonio teologico che ci consegna la Tradizione per saperlo spiegare, difendere, trasmettere e non ci alleniamo abbastanza a a vivere quell’atteggiamento di spogliamento di sé che è il presupposto per capire le dinamiche dell’altro e ritradurre e declinare in modo adeguato e calibrato sulla vita concreta dei giovani il Vangelo e ciò che ne deriva in termini di comprensione della vita, di Dio, del vivere in pienezza la vita.

E siccome il titolo del Sinodo è “I Giovani, la fede e il discernimento vocazionale” credo che senza aver fatto un esperienza vera della Buona Notizia di Gesù di Nazareth, manchi il presupposto per una fede sana e per un discernimento vocazionale sano. Per questo penso che sia urgente una radicale conversione della Chiesa (laici e preti, ognuno per il proprio ruolo e responsabilità) all’annuncio del Vangelo. E spero con tutto il cuore che il Sinodo metta in moto una riflessione in tal senso e dia qualche utile spunto concreto.

E poi promuovere cammini spirituali che favoriscano la meditazione, l’introspezione, la capacità di cogliere l’azione dello Spirito in noi, di dare strumenti concreti per vivere una “relazione adulta e seria” (e non ridotta a devozionismo e precetti) con il Dio della Vita, l’unico che può mettere nel cuore dell’uomo quella pace, quella gioia, che genera coraggio, perseveranza e amore e che sostiene scelte di qualità. L’alternativa è una vita mediocre, ripiegata sul proprio ego, condizionata dalla paura e dall’avere e quindi sotto sotto, un po’ triste.

Francesco Cavallini sj
*responsabile della pastorale giovanile dei gesuiti a Genova
assistente regionale MEG (Movimento Eucaristico Giovanile)
guida per pellegrinaggi giovanili in Terra Santa

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