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L'intervento

È razzismo, magari non fascista, ma capiamolo per contrastarlo

Il razzismo non è morto ma si è trasformato e si presenta, rispetto al passato, in modo più schermato e solitamente è negato da coloro che lo pensano.

Non credo che per contrastare il neo-razzismo sia utile richiamare il razzismo nazionalsocialista e fascista. Vanno fatte analisi puntuali sul fenomeno e sull’emergere nella nostra società di tensioni xenofobe e discriminatorie, che sono propedeutiche al sorgere e al radicarsi delle nuove forme di razzismo.

Sono convinto che lo sfruttare il bisogno di vita dei migranti con il lavoro nero e sottopagato sia una forma di razzismo, in questo modo leggo quanto è successo a Foggia.

Da diverso tempo si è venuto evidenziando che la nostra società sia attraversata da un pensiero che si fonda sulla discriminazione e che presenta tratti fortemente preoccupanti, anche se raramente si definisce razzista. Sentiamo discorsi , vediamo comportamenti seppur velati da altri problemi si incanalano in questa direzione e aprono la strada a un nuovo razzismo. Basta ascoltare i discorsi che si fanno al bar, le grida allo stadio per smentire il ministro Salvini quando afferma che il razzismo è una invenzione politica, ma anche questo dire è un modo per giustificare un modo di pensare e di fare.

Il razzismo è spesso e giustamente considerato scandaloso; ma se qualcosa è indecente, ciò non significa che questo qualcosa non esista. Tuttavia, sovente ci consoliamo con il dire che “l’Italia non è razzista”, affermazione che, alla prova dei fatti che stanno verificandosi e agli atteggiamenti diffusi in una parte della popolazione, non è completamente vera.

Oggi c’è il rischio concreto e palpabile che tra la popolazione “indigena” si coltivino ,consciamente o inconsciamente, e si diffondano impulsi discriminatori nei confronti dei diversi, sia che provengano da altrove o che pratichino stili di vita diversi.

Prendiamo per esempio la questione della “legittima difesa” e la liberalizzazione del possesso delle armi, che in sé non è razzista, ma che sta assumendo contorni di un modo di pensare che percepisce l’altro come potenziale nemico cui
difendersi.

Fatte queste precisazioni penso che l’attuale situazione vada analizzata in modo più complesso e sottile. Inoltre, bisogna tenere presente che nessun movimento, partito o leader si dichiara apertamente “ razzista”, come del resto nessuna persona è ostentatamente “razzista”. Viviamo in una società democratica occidentale in cui il rifiuto del “razzismo” è convenzione diffusa , ma questo non ci consente di affermare che il “razzismo” sia scomparso, anzi si presenta in forme diverse e più insinuanti.

Il razzismo non è morto ma si è trasformato e si presenta, rispetto al passato, in modo più schermato e solitamente è negato da coloro che lo pensano.

Spesso ci troviamo di fronte a modalità di esclusione e di discriminazione che caratterizzano un razzismo che non basato sulle cosiddette caratteristiche biologiche. Il neo-razzismo è senza “razze” e molte volte si cela nelle forme e nei discorsi del nazionalismo sovranista.

Un nazionalismo che non sfugge alla tentazione xenofoba, soprattutto quando si affrontano i temi e le politiche che riguardano l’immigrazione, ma anche di altre componenti sociali . L’omofobia e il femminicidio, la mancanza di parità tra uomo e donne, l’islamofobia sono tutte forme discriminatori che inducono al formarsi di un neo-razzismo.

Più che basarsi sull’aspetto fisico o sul colore della pelle il neo-razzismo, tende a sottolineare le differenze culturali, gli stili di vita e, in primo luogo, l’appartenenza religiosa: assistiamo a una strumentalizzazione del sentire e del sedimento religioso, i simboli della religione (crocifissi, corone del Rosario, Vangelo ) vengono agitati per giustificare o animare le contrapposizioni a
scopo politico.

Non a caso dobbiamo parlare di “neo-razzismo” per indicare una forma di pensiero e di prassi che si fonda sull’ipostatizzazione delle differenze culturali. Il neo-razzismo è più sottile e insinuante, ma altrettanto pericoloso del razzismo tradizionale, dal momento che il suo scopo ed i suoi effetti sono gli stessi: si tratta di spiegare, legittimare e far agire comportamenti discriminatori. Molte volte si presenta con le ragioni di concretezza, di difesa degli interessi “dei nativi”, dei lavoratori (ci rubano il lavoro) e viene legittimato da discorsi e pensieri in cui è rintracciabile il risentimento, l’invidia, l’egoismo e in molti casi l’odio.

La diversità di culture, stili di vita, di costumi e di credenze è presentata dai neo-razzisti come ostacoli insormontabili alla convivenza. Le diversità culturali e religiose sono presentate in opposizione e il “vivere insieme” considerato come impossibile e non come una grande opportunità per tutti.

È in questo contesto assistiamo con profondo turbamento a un aumento dell’antisemitismo, a un’ossessione antislamica che tende far percepire il musulmano come un invasore e come una minaccia per la nostra “civiltà”. Crescono e si rafforzano i pregiudizi verso i rom che a volte conducono ad atti di violenza. L’ anti-zingarismo è un fenomeno che ha radici antiche e profonde nella cultura popolare a cui, ultimamente, hanno contribuito le politiche di emergenza messe in atto dalle diverse istanze istituzionali , che hanno finito per aumentare i pregiudizi verso questa parte della popolazione italiana.

La mia impressione è ci troviamo innanzi a una “culturalizzazione” della dimensione razzista: l’idea che esista una “gerarchia di culture” sta sostituendo la vecchia “gerarchia di razze” e questo rende il neo-razzismo più sottile e insinuante e pertanto capace di maggior presa tra i cittadini, soprattutto quando viene legato a ragioni economiche.

Contrastare queste forme di discriminazione e di rigetto è molto difficile in quanto sono meno strutturate ideologicamente e pertanto più complessa la loro identificazione, credo che a questo proposito non basti la richiesta di nuove leggi con il razzismo, ma una grande mobilitazione culturale e un forte impegno dei sistemi e delle agenzie educative, dei corpi intermedi e di tutta la
società civile.

Savino Pezzotta, l’autore dell’intervento, è stato segretario generale della Cisl e parlamentare. 

 

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