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60 anni dopo

“Mi chiamerò Giovanni”, la storia del papa buono che conquistò il mondo

Il suo magistero fu un inno alla pace e alla fratellanza

“Festa dei Santi Apostoli Simone e Giuda. Messa nella Cappella Matilde, con molta devozione da parte mia. Invocati con speciale tenerezza i miei santi protettori: s. Giuseppe, s. Marco, s. Lorenzo Giustiniani, s. Pio X perché m’infodano calma e coraggio. Non credetti bene discendere a desinare coi cardinali. Mangiai in camera. Seguì un breve riposo e un grande abbandono. All’XI scrutinio, eccomi nominato Papa. O Gesù, anch’io dirò con Pio XII “Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam”. Si direbbe un sogno ed è, prima di morire, la realtà più solenne di tutta la mia povera vita. Circa 300 mila persone mi applaudivano. I riflettori mi impedivano di vedere altro che una massa amorfa in agitazione”.

Con disarmante semplicità Angelo Giuseppe Roncalli, sessant’anni fa, racconta la sua elezione. “Mi chiamerò Giovanni”, non più in uso da 600 anni. Alle 17,08 di martedì 28 ottobre 1958 la fumata bianca di un Conclave iniziato sabato pomeriggio 25; alle 18,05 il cardinale protodiacono Nicola Canali proclama: “Habemus Papam”; alle 18,20 dalla loggia di San Pietro la benevola e rotonda figura di Giovanni XXIII imparte la benedizione «Urbi et orbi».Tutti pensano e scrivono: «Un Papa di transizione» a 76 anni, 11 mesi e 3 giorni (Joseph Ratzinger diventerà Benedetto XVI a 78 anni e 3 giorni). Mai previsione fu più errata.

Roncalli nasce sotto Leone XIII il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte, da famiglia contadina povera, onorata, religiosissima. Studia in Seminario e poi a Roma dove il 10 agosto 1904 è ordinato sacerdote. È segretario del vescovo Giacomo Maria Radini Tedeschi e direttore della “Casa dello studente”. Durante la prima guerra mondiale è sergente di Sanità e cappellano tra i soldati. Nel 1921 è chiamato a Roma a presiedere “Propaganda Fide”.

Vive le esperienze più importanti fuori d’Italia. Il 3 marzo 1925 Pio XI lo nomina vescovo e rappresentante apostolico in Bulgaria. Sceglie come motto “Oboedientia et pax”: “Queste parole sono un po’ la mia storia e la mia vita. Siano esse la glorificazione del mio povero nome nei secoli”. I cattolici sono una minoranza nel mare dell’ortodossia. Coniuga mitezza e tenacia, prudenza e determinazione, furbizia contadina e bontà, intesse buoni rapporti: è meglio cercare ciò che unisce piuttosto di ciò che divide; preferisce incontrare gli avversari a tavola piuttosto che inondarli di note diplomatiche.

Il 5 gennaio 1935 è delegato apostolico in Turchia e Grecia con sede a Istanbul. L’Islam domina in una terra un tempo cristiana: sulle rive del Bosforo considera indifferibile il dialogo tra ortodossi e cattolici. Durante la guerra collabora a salvare 24 mila ebrei. Pio XII lo sceglie a fine 1944 come nunzio a Parigi per riallacciare i rapporti con irritato Charles De Gaulle che vuole cacciare 33 vescovi presunti “collaborazionisti”: Roncalli ne salva 30. Si avvia la scristianizzazione degli operai; alcuni preti operai diventano comunisti; nasce la “nouvelle théologie” guardata con sospetto da Roma. Evita fulmini contro Jacques Maritain, Henri De Lubac, Yves Congar, Dominique-Marie Chenu.

Il 12 gennaio 1953 Pacelli lo nomina cardinale patriarca di Venezia. Pensa di chiudere la vita sulla Laguna. Confida allo scrittore francese Henri-Daniel Rops: “Mi contento di procedere nella notte, un passo dopo l’altro, sotto le stelle”.

Il 9 ottobre 1958 Pio XII muore. Roncalli accetta l’elezione “in pura obbedienza alla volontà del Signore: assoluto abbandono in Dio quanto al presente, perfetta tranquillità circa il futuro”. Al vertice di una istituzione rigidamente monarchica un prete lombardo-veneto tradizionalista, vissuto alla “periferia”. “Sacerdote secondo il cuore di Dio”, sa che la Chiesa può solo vivere e annunziare il Vangelo. La gente non lo conosce e si stupisce: non lascia indifferente nessuno. Nel primo messaggio si presenta: “Io sono Giuseppe, il vostro fratello”. Paterno, affabile, tenero, visita i piccoli dell’Ospedale Bambin Gesù, i carcerati di Regina Coeli: “I miei occhi nei vostri occhi”, le parrocchie di Roma, va pellegrino in treno ad Assisi e Loreto.

Il 25 gennaio 1959 nel cenobio di San Paolo fuori le mura, agli sbalorditi cardinali, “tremando un poco di commozione ma insieme con umile risolutezza”, annuncia un Sinodo per Roma, la riforma del Codice canonico e un Concilio ecumenico. Una bomba. Il Sinodo per Roma è un fallimento; la riforma del Codice impiega 24 anni fino al 1983; il Concilio è un fiore d’inattesa primavera e “un’ispirazione dell’Altissimo”. Ne fissa gli scopi: bene delle anime, incremento della fede, rinnovamento dei costumi, aggiornamento della disciplina, tempi nuovi e un nuovo vigore per la Chiesa, “Mater et magistra” impegnata per la giustizia sociale come spiega nell’enciclica (15 maggio 1961).

L’11 ottobre 1962 apre il Vaticano II: “Esulta la Santa Madre Chiesa”; smentisce i “profeti di sventura”; auspica “un nuovo ordine di rapporti umani”; propone il dialogo a ogni livello. Partecipano 2500 vescovi e i rappresentanti delle Chiese protestanti e ortodosse, compresi due osservatori del Patriarcato di Mosca. La sera, in piazza San Pietro gremita di cuori e fiaccole, lo stupefacente “discorso della Luna”: “Tornando a casa, date una carezza ai vostri bambini e dite loro che è la carezza del Papa”.

Per la crisi dei missili sovietici a Cuba il mondo rischia l’olocausto atomico: “supplica” Kennedy e Krusciov a “non restare sordi al grido dell’umanità che chiede di promuovere, favorire e accettare colloqui di pace”. I due Grandi accettano, la crisi è scongiurata.

Fino alla morte il suo magistero è un inno alla pace e alla fratellanza. L’enciclica “Pacem in terris” (11 aprile 1963) è il testamento di un pontificato breve ma intensissimo. Distingue “fra errore ed errante che è sempre un essere umano e conserva la dignità di persona”, fra movimenti atei e impegni di giustizia. I suoi interlocutori sono i poveri e i semplici, più le persone che le istituzioni. Ama l’Italia ma rinuncia alle ingerenze. Non è il papa che piace a tutti. Il 7 marzo 1963 riceve Rada figlia di Krusciov e il marito Alexis Adjubei e manda una benedizione al capo del Cremlino.

Sussurra al fedele segretario Loris Francesco Capovilla: “Perché piangere? È un momento di gioia e di gloria” per l’Angelino di Sotto il Monte, “uomo inviato da Dio di nome Giovanni”. La robusta fibra del figlio dei contadini bergamaschi cede al tumore alle 19,45 del 3 giugno 1963: la finestra del suo studio si illumina. L’umanità lo piange e dal 27 aprile 2014 lo venera santo.

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