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Il reportage

“L’India, il mio primo grande viaggio per superare le paure”

"Dicono che un viaggio in India va pensato a priori, e che solo a posteriori si metabolizza. Confermo, è tutto vero."

“…l’India è una grande incognita, un mondo a parte, lontana da ogni logica e comprensione…”

Questa appena letta è un’estrapolazione del mio diario di bordo, che ho tenuto stretto tra le mie mani per tutti i 14 giorni di tour che ho affrontato nell’India del Nord. Scrivere un diario di viaggio ordinato è stato per me impossibile, credevo che una volta rientrata da quest’avventura avrei riempito mille dei miei diari rossi con i miei racconti, con le mie riflessioni, che avrei riscritto i fiumi di parole che invadevano disordinatamente il mio taccuino. Ciò che ho fatto è stato invece l’esatto contrario. È stato affrontare a petto nudo la realtà che mi è apparsa con occhi diversi. Al mio ritorno
la moltitudine di immagini, di parole che invadevano la mia mente hanno iniziato ad offuscarsi, ad assumere altri significati. Ho dovuto ammettere a me stessa che non sarei mai riuscita a raccontare la verità delle cose, no nella sua pienezza, no nel modo in cui avrei voluto. Il video non rende giustizia e questo articolo altrettanto.

Una cosa però è certa: l’India è gremita in ogni senso. È una nazione immensa, più di 500 lingue parlate anche se solo 14 rientrano tra quelle ufficiali, il Paese abbonda di religioni, di etnie, di abitanti. L’India è un fiume in piena di uomini, donne e bambini che non smette mai di fluire, di giorno e di notte, senza interruzione. È un fiume denso, colorato, vociferante che non conosce limiti e barriere.

Il mio primo grande viaggio, il desiderio di uscire dal continente è stato avverato da mio zio, a cui sarò eternamente grata. Dicono che un viaggio in India va pensato a priori, e che solo a posteriori si metabolizza. Confermo, è tutto vero. Sono tornata da tre settimane e solo il tempo mi sta aiutando a mettere a fuoco quello che ho vissuto. I sentimenti che mi ha suscitato questo continente non hanno conosciuto mezze misure, mi ha travolta in pieno, lasciata senza fiato.

Sono partita con una valigia ricca di entusiasmo e di curiosità, i miei occhi erano assetati di immagini nuove, vogliosi di stupirsi e l’India è riuscita a fare tutto questo. Ho visto uno dei tramonti più belli di sempre ad Agra, la città che ospita l’imponente Tajmahal, magazzini di spezie che invadono le strade con profumi pungenti, ho fatto chilometri in macchina fra i surreali paesaggi desertici e villaggi di commercianti.

Sono stata disorientata da Delhi, la capitale, che mi ha incuriosito e impaurito allo stesso tempo. Un capoluogo fatto di contraddizioni assolute. Ho capito che l’India ti coinvolge, ti abbraccia, ma è la stessa che ti da pugni allo stomaco, che ti graffia senza nessuna pietà, che ti lascia cicatrici indelebili. Nel cuore porto Varanasi, una città da vivere, impossibile da descrivere. Varanasi è un qualcosa di diverso, di indefinito, di mistico; non riconducibile a nessun modello Occidentale.

Di seguito ci sono state Jaipur, Khajuraho, Orcha, Gwalior, tutte città che mi hanno fatto sorridere, ma anche piangere, città a cui non trovo parole. L’unica cosa che l’India non permette? È di restare indifferente. La povertà che vige ti prende la gola, lo stomaco, vorresti fare qualcosa, ma sei impotente. L’unica cosa che fai passando davanti ad un bambino buttato in mezzo alla strada senza nulla, solo con uno straccio per coprirsi le parti intime; è chiederti PERCHÈ? Ogni dettaglio è amplificato, ogni giorno è una grande incognita, e ogni fotografia è insufficiente.

E allora, mentre osservi tutto ciò, mentre cerchi di capire, mentre ti stupisci, ti tornano alla mente le parole del buon Amarnad: here everything is possible. Si, qui tutto è possibile. Avevi proprio ragione caro Amarnad.

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