• Abbonati
Il concorso

“Holy Boom” a Bergamo Film Meeting: drammatico spaccato dell’Atene multiculturale

La sensazione forte mentre si assiste alla proiezione del film di Maria Anafi è che venga messa troppa carne al fuoco e che tutto il materiale narrato sia esageratamente esacerbato

Titolo: “HOLY BOOM”,
Regia e sceneggiatura: Maria Lafi e Elena Dimitrakopoulou.
Produzione: Grecia, Albania, Cipro 2018;
Interpreti: Nena Menti (Thalia), Luli Bitri (Adia), Anastasia Raffaella Konidi (Lena)

Too much. La sensazione forte mentre si assiste alla proiezione del film di Maria Anafi è che venga messa troppa carne al fuoco e che tutto il materiale narrato sia esageratamente esacerbato. Così la carica drammatica delle storie narrate, che nelle intenzioni dell’autrice vuole scuotere lo spettatore e ricordargli che dietro ai numeri – dell’immigrazione, del crimine, dei fenomeni sociali – ci sono persone in carne e ossa, si perde invece nel disordine abbagliante e rumoroso dei fuochi d’artificio del Sabato Pasquale che illuminano il cielo di Atene.

La vicenda si svolge infatti ad Atene. In un quartiere popolare abitato anche da immigrati clandestini (come la donna albanese che resta vedova proprio all’inizio del film e non ha i documenti in regola per poter riconoscere il cadavere del marito), immigrati regolari (la famiglia filippina di Ige, teen ager teppista arrabbiato che vorrebbe integrarsi coni coetanei), piccoli spacciatori (come Manou, d’origine africana che fa coppia con Lena, violinista rock ribelle greca). Tra loro c’è anche Thalia, anziana greca che sa tutto ciò che accade nel vicinato.

Un domino di guai viene innescato la Domenica delle Palme dallo scoppio della cassetta della posta creato da Inge e altri teppisti: cose e documenti di vitale importanza vanno perduti – i francobolli di Lena e Manou, una lettera per Thalia, l’atto di nascita del figlio di Adia – con conseguenze inesorabili.

I fili delle loro vite, già abbastanza aggrovigliati, si coagulano in una matassa inestricabile. Il film procede frammentario e tortuoso; anche se lo spettatore non si annoia, dopo un po’ ha l’impressione di esser portato per mano allo zoo.

Buona – anche se non nuova – l’idea di far intrecciare le storie di vicinato attraverso un “accidente” (come direbbe Aristotile) che determina poi conseguenze disastrose su tutti i soggetti coinvolti. Buona l’intenzione di rappresentare in questo microcosmo dinamiche e problematiche comuni oggi a tanti luoghi. Infruttuoso però l’investimento in narrazioni con tanti risvolti che, a forza di accumulo di complicazioni e qualche ridondanza, perdono forza drammatica e finiscono per conflagrare in uno sterile guazzabuglio di negatività. Tutto va a finire male, un po’ per caso, un po’ per scelta, un po’ per predestinazione. E non è chiaro che cosa bisogna fare per evitare che vada tutto male.

Il titolo “Holy Boom” si riferisce allo scoppio dei fuochi alla fine delle funzioni religiose della settimana santa, ma anche alla fatale esplosione dei bubboni narrativi che sono cresciuti durante la pellicola. Una sorta di big bang senza appello.

Alla fine anche alcune svolte narrative dolorose ma di speranza – come il poppante che resta affidato alle cure di Thalia perché la madre viene rimpatriata, o la madre di Inge che sogna di mandare nelle Filippine il figlio menomato dall’esplosione a rifarsi una vita dai nonni – vengono smentite da scene che alludono a ulteriori sciagure. E non è ancora finita, nelle ultime inquadrature si intravvede una lettera bruciacchiata mai giunta a Thalia che potrebbe esser l’inizio di un altro feuilleton..! Questo compiacimento di negatività ha finito con l’esasperarci e allontanarci dalla verosimiglianza che aiuta a rimanere vicini al problema. Peccato.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI