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Lo sguardo di beppe

Ma a Corleone, caro ministro, poteva andare un altro giorno

La visita di Salvini ai luoghi che han visto nascere e crescere la mafia avrebbe potuto essere calendarizzata in altro momento, proprio per non dare l'impressione di snobbare l'evento che sta alla base della libertà di cui oggi gode il nostro Paese

Alla luce di alcuni fatti significativi che hanno sporcato la celebrazione del 25 Aprile, è doveroso riflettere su alcuni importanti temi.

La ricorrenza avrebbe dovuto far rivivere nel cuore di tutti gli italiani il sentimento di gratitudine verso coloro che hanno sacrificato la vita per ridarci la libertà. Dove ci sta portando e che segnali manda l’assenza di un vicepremier dalla celebrazione della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo? Forse stiamo rivivendo l’incubo che ci suggerisce il titolo di un film: ”Indietro nel futuro”.

Non è certamente esemplare e socialmente pacificante la vista di un vicepremier che diserta la cerimonia ufficiale in memoria di coloro che han dato la vita per ridarci un dono impagabile e si reca in un paese che ha rappresentato il cuore pulsante della mafia, di quella criminalità che come un cancro infiltra, ancora oggi, i tessuti della
nazione per trarne illeciti profitti. Non si può paragonare la lotta alla mafia, contrasto indispensabile e barattarla con LA FESTA che ha visto le piazze d’Italia riempirsi
come non mai.

È possibile che l’urgenza sia stata un tentativo di copertura strettamente correlato all’indagine che la magistratura sta conducendo su Armando Siri. Credo siano molte le persone che si aspettano chiarezza sulla vicenda Siri e su un presunto tentativo di favorire operazioni legate proprio a quegli ambienti che si vorrebbero combattere. Il vento che muove le pale eoliche non soffia solo il 25 Aprile.

La visita di Salvini ai luoghi che han visto nascere e crescere la mafia avrebbe potuto essere calendarizzata in altro momento, proprio per non dare l’impressione di
snobbare l’evento che sta alla base della libertà di cui oggi gode la nostra nazione. Il problema della mafia non si risolve con la sua presenza sul territorio di Sicilia in quel
particolare giorno. La mafia è un male grave, lo sappiamo, ma la manifestazione della volontà di combattere e di estirpare quel male che da decenni rappresenta un
gravissimo problema della nostra Italia, avrebbe dovuto svolgersi in tempi antecedenti o successivi alla festa della Libertà. La coincidenza non è casuale.

Si rinvia l’applicazione di provvedimenti economici a favore del popolo, si sposta in avanti la flat tax; tutto è dilazionabile, ma l’assenza di un rappresentante del governo
alla cerimonia di commemorazione di coloro che han dato la vita per riconquistare la libertà per tutti, è difficile da comprendere se non in un’ottica di oscuramento di
quanto sta avvenendo in casa leghista. Questo fatto ha seminato perplessità e dubbi in molte persone, non solo in coloro che non condividono il modo di far politica di
Salvini, ma anche in parecchi dei suoi followers.

Le improvvide quanto strafottenti parole alle quali Salvini ci ha abituato, quasi che la chiarezza di un concetto resti tale solo se espressa con termini pesanti, non fa altro che aggravare la situazione. Essere populisti di facciata, non implica che chi professa questa dottrina possa o voglia risolvere i problemi del popolo ma, in compenso, ha rendite consistenti dal punto di vista elettorale. Da un ministro e vicepremier ci si aspetta un comportamento e un eloquio più confacenti alla funzione ricoperta.

Forse il timore che la gente non comprenda o il disprezzo dell’intelligenza media del popolo portano ad atteggiamenti di questo genere. Ma la gente comprende e fatica a
scambiare per chiarezza certe banalità espressive e ancor più a capire perché, proprio quel giorno, abbia spinto l’irrefrenabile voglia di Salvini ad occuparsi di mafia nei territori dove il fenomeno ha visto i natali.

Il 25 Aprile non si è celebrata la resa dei conti tra “fascisti e comunisti”, bensì la liberazione dell’Italia da chi aveva dichiarato una guerra ingiusta contro la libertà, per imporre la tirannide, per eliminare il dissenso con lo sterminio e proclamare le leggi razziali. No, non si liquida questo evento come una “resa dei conti tra fascisti e comunisti”. Espressioni di questo genere hanno il marchio della volgarità anti-storica. Alla guerra di Liberazione han preso parte tutte le componenti sociali che hanno creduto nei valori della libertà usurpata con la forza. I morti erano comunisti, democratici, cattolici, liberali, ebrei, preti, suore, lavoratori e lavoratrici, contadini e imprenditori.

Banalizzare la ricorrenza nella quale il vessillo della libertà ha potuto di nuovo sventolare sull’Italia non è riducibile ad una resa di conti tra due componenti sociali, dipingendo il più grande evento della nostra storia come la “sfida all’OK corral”. No, la riconquista del bene supremo che ci differenzia dal branco, nel quale il maschio dominante detta le sue regole, è stata pagata con il contributo di tantissimi uomini e donne che hanno anteposto al bene supremo della vita il dovere morale di restituire al popolo Italiano la libertà usurpata dalle dottrine aberranti del fascismo e del nazismo.

E fa rabbrividire il riapparire di gesti e di tristi cerimonie che di tanto in tanto contaminano anche il mondo dello sport. Distruggere le lapidi non cancella la storia. La storia ha preso atto del passato e non è né buona né cattiva. Essa ci restituisce i fatti sotto forma di racconto. E se talora sembra indulgere maggiormente nella descrizione del male prodotto da una parte, è solo perché il numero di morti lasciati sul terreno da chi professava e attuava quel delirio, è stato enorme e si è contato in
milioni di persone. Oggi, grazie a quella riconquista, anche a queste persone è consentito il dissenso senza che comporti il pericolo di essere privati della vita.

Eppure, costoro continuano a negare la legittimità della libertà. Quando la democrazia perde il senso più profondo del suo significato e diventa adesione forzata al pensiero di coloro che mistificandone il significato, la vorrebbero piegare al consenso delle masse, la regressione ha il sopravvento e ci fa riflettere sul significato di “essere uomini”. La forza di un essere umano non è certo il desiderio di asservire alla sua idea il consenso forzato di un intero popolo. Quella è la negazione della
libertà e viene definita dittatura.

Delegare le scelte di una nazione a una persona sola che impone il suo pensiero, trasformando in campagna elettorale anche il giorno più sacro nel quale si ricorda la
riconquista di un valore assoluto quale la libertà, ci fa seriamente temere che in qualche mente abbia riattecchito il seme malato di una voglia mai sopita di dittatura. La libertà è un dono per tutti. Il sentimento che porta un uomo solo a decidere per tutti e alla proclamazione di un nuovo falso concetto di libertà che si esprime nel
lasciar libera una persona di aderire all’idea di colui che a qualsiasi costo la impone, si scosta nettamente dalla libertà festeggiata il 25 aprile, il giorno più sacro d’Italia.

La libertà non si baratta con l’ordine” (Sergio Mattarella, Presidente).

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