Genova antifascista gira i denti a ‘a Ministra Fedeli e supera la secolare rivalità fra Colombo e D’Oria

di Franco Manzitti
Pubblicato il 15 Febbraio 2018 - 06:00 OLTRE 6 MESI FA
Il liceo Andrea D'Oria

Il liceo Andrea D’Oria

GENOVA – In questa scuola, che sembra una roccaforte a due passi dalle Caravelle in fiore, disegnate nei giardini del cuore di Genova e a due passi dalla Questura, ci hanno studiato non solo Massimo D’Alema, già allora primo della classe e leader FGCI.

Era anche la scuola di Paolo Villaggio, di suo fratello gemello, Piero, il genio della matematica ingegneristica, di Gian Luigi Rondi, il critico cinematografico, di Luigi Tenco, il grande cantautore suicida a Sanremo, di Domenico Fisichella, storico e filosofo, di Paolo Fresco, amministratore della Fiat, prima di Marchionne e di Paolo Emilio Taviani, padre della patria e della Dc, di Alfredo Biondi, liberale, avvocato, deputato, ministro di Berlusconi e perfino di Marco Bucci, il sindaco di oggi della Superba città di Genova.

E’ qui, tra queste solide mura, che rivendicano tra non poche contestazioni, il primato scolastico e culturale dell’insegnamento liceale a Genova, che è scoppiato il caso delle frasi ritenute classiste, scritte nel rapporto annuale sulla popolazione studentesca, un passaggio obbligato nei report per il Ministero della Pubblica Istruzione, che vuole conoscere lo “stato” di ogni singola scuola.

Si sarà rizzato il pelo agli illustri studenti di una volta ancora viventi e si saranno girati nel loro eterno riposo quelli che sono passati a miglior vita della nobile scuola! La frase incriminata, che ha fatto diventare il Ginnasio-Liceo Classico Andrea D’Oria un caso nazionale, è contenuta nella introduzione della scheda di autovalutazione dell’Istituto, dove si legge: “Il contesto socio economico e culturale complessivamente di medio alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista culturale (come ad esempio nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiati) costituiscono un background favorevole alla collaborazione tra scuola e famiglia, nonché alla analisi delle specifiche esigenze formative nell’ottica di una didattica davvero personalizzata.”

La tempesta si è subito scatenata, malgrado la preside della scuola, Maria Aurelia Viotti, avesse invitato a leggere tutta la frase con attenzione. Non si voleva “tranquilizzare”, spiegando che tra i banchi del rinomato liceo D”Oria ci sono pochi immigrati e comunque allievi di non troppo basso livello sociale, ma anzi quelle definizioni sullo stato della scuola indicavano una propensione al confronto tra culture diverse,  ha spiegato la docente, messa subito nell’angolo.

Non solo: la stessa scheda osservava che il limitato numero di studenti stranieri riduceva la possibilità di confronti culturali all’interno dei gruppi-classe. Rettifiche che non hanno spento l’incendio. Si è alzato un gran can can, sui social ma non solo e due giorni dopo l’esplosione del caso il “sacro” portone del liceo è stato infranto da una sassata di chiara marca anti razzista e, per restare nel clima generale del paese, antifascista.

Ma come può la scuola più d’èlite della città essere tacciata di classismo, senza che si scateni non solo la inevitabile polemica, ma senza che parta un vero e proprio processo revisionista sull’insegnamento a Genova in questa scuola considerata,  ripetiamo non universalmente, come l’apice dell’insegnamento in città?

Questo processo è partito parallelo a quello sul razzismo, innescato dalla fredda considerazione della scarsa presenza su quei banchi di studenti immigrati, anche di seconda se non di terza generazione. Da giorni e giorni piovono sopratutto sui social testimonianze di chi ha frequentato quella scuola e magari proveniva da ambienti sociali non di èlite, ma da strati della piccola e media borghesia, ed anche di chi la frequentava dall’alto delle sue condizioni più o meno agiate.

Molti a spiegare che la caratteristica della scuola era sopratutto quella di una severa selezione meritocratica, indipendente dal ceto sociale di appartenenza. Ma anche molti a raccontare di come fossero stati messi a disagio tra i banchi proprio perché erano figli di impiegati ed operai…

Così tra manifestazioni di solidarietà alla preside, con il messaggio della ministra Fedeli dopo l’episodio della “spaccata” del portone, accuse di classismo e di razzismo, inviti a abbassare i toni e a evitare violenze e manifestazioni di odio, distinzioni e differenze sottolineate da ex studenti, il caso è diventato uno strumento per interpretare il tortuoso territorio genovese, le sue mutazioni culturali e politiche, sopratutto dopo che il Comune sei mesi fa è stato conquistato, dopo sessanta anni, da una maggioranza di centro destra con le bandiere della Lega, di Forza Italia e degli alleati che sventolano sulla ex “roccaforte rossa” genovese.

Il sindaco Bucci, appunto ex studente del D’Oria, ha fatto conoscere la sua tristezza per le polemiche e l’atto di violenza. E c’è chi ha collegato l’ ”equivoco” della scheda con un certo clima che regna in città, non solo dopo la vittoria del centro destra, ma sopratutto dopo che sono state aperte due nuove sedi di Forza Nuova, la formazione di estrema destra, una non molto lontana dal liceo, che è rapidamente salita sul piano nazionale da 1300 a 13 mila iscritti, come scrivono allarmati i giornali stranieri, vedi “Il Guardian”.

Allarme classista e postfascita a Genova con anche questo equivoco, usato come tema di discussioni che rimettano le mani nel territorio genovese, sulle sue mutazioni di “genetica” politica e culturale? Probabilmente sfruttare il caso D’Oria è un eccesso, anche perché questa scuola, dove ha studiato una parte consistente della classe dirigente genovese degli ultimi decenni, per non dire dell’ultimo secolo, è centrale ma non certo unica nella formazione scolastica ed anzi ha sempre avuto contraltari che “ritmano” il territorio genovese.

Il D’Oria sta ben piazzato nel cuore della città, appunto a un passo dalla Questura e dalla piazza della Vittoria, di architettura tipicamente da Ventennio fascista, non fa parte di un vero e proprio quartiere ed ha, quindi, prevalentemente dragato studenti che abitavano in tutta la città con selezione dettata non dalle residenze, ma probabilmente dalla sua attrattiva di qualità e dalla fama, mettendo tra i suoi banchi sia i figli dei quartieri borghesi, a incominciare dal sovrastate quartiere di Carignano, dalla Foce confinante e con fama di sponda un po’ bohemienne, per via dei cantautori che l’avevano scelta.

Al DìOria andavano anche i figli di papà, residenti a Albaro, il quartiere elegante e dell’alta borghesia, che non preferivano le scuole private ben piu facili, ma anche chi scendeva dalla popolarissima valle Bisagno e dall’entroterra, privo di grandi licei classici. Quindi un bel melting pot sociale, che finiva sotto la leggendaria mannaia selettiva di un corpo docente con leggendari nomi di insegnanti, severi e drastici. Non è un territorio che le recenti rivoluzioni politiche hanno cambiato, al punto di far diventare il D’Oria un contrafforte classista. Lungo il fiume Bisagno, che scorre interrato a due passi dal portone preso a sassate, non ci sono più fabbriche da decenni e già prima ce ne erano poche….

Un connotato operaio è stato quindi cancellato e sostituito da mega supermarket e grandi concessionarie di auto. Il resto di quel terreno genovese è di servizi, logistica: negli appuntamenti elettorali solo la parte bassa della Valbisagno aveva raccolto una tendenza di sinistra, con sezioni forti del fu Pci e magari una maggioranza di Psi, dei socialisti d’antan. Insomma il D’Oria non aveva un connotato territoriale-politico, come per esempio quello del liceo classico Giuseppe Mazzini, una delle tre scuole storiche del latino e del greco, insediato nella popolare Sampierdarena e, quindi, in area fortemente di estrazione a sinistra, con popolazione scolastica quasi prevalentemente aspirata da famiglie della piccola-media borghesia, ma anche di operai e portuali, semmai avessero deciso un po’ soprendentemente per il Classico.

Il vero liceo-contraltare, il Cristoforo Colombo, protagonista di un vero confronto, spesso anche polemico con il D’Oria per rivalità di livello di studenti e corpo docente, sta, invece, in una zona -cerniera, vero border line tra la bostoniana Castelletto, quartiere borghese, ma ben diverso dagli altri, dove dominava fino a qualche tempo fa una sezione del Pd definita “sezione cachemir” per il rango sociale dei compagni iscritti e altri pezzi della città.

Uno di questi è il centro storico, i caruggi che sprofondano dalla zona della chiesa del Carmine, quella, tanto per far capire, da cui partì Don Andrea Gallo e poi, questi caruggi, si inabissano fino al porto. Un altro pezzo della città confinante con questo liceo è quello che porta, attraverso la regale via Balbi, alla Stazione ferroviaria di Principe, aprendo, quindi, le porte della scuola a tanti studenti dell’entroterra sbarcati sui binari. Il Colombo dell’eterno derby con il D’Oria è sempre stato, quindi, un liceo classico per definizione interclassista, quello dove studiarono anche Giuseppe Mazzini, i fratelli Ruffini, Cesare Cabella, e tanto per passare dalla storia all’attualità, Fabrizio De Andrè, Enzo Tortora, Lele Luzzati e come esempio di vero interclassismo la ex sindaca Marta Vincenzi, del Pd-Pci, figlia di un operaio di Rivarolo, vera periferia operaia, che preferiva questa scuola al logisticamente ben più comodo Mazzini.

Il Colombo, fondato come Convitto addirittura nel 1573, ha nel suo zoccolo territoriale una composizione sociale veramente multiforme e non classificabile politicamente, semmai è sempre stata una scuola un po’ più snob letterariamente: ci studiò anche Camillo Sbarbaro, ci insegnarono grandi docenti di Letteratura Italiana come Fausto Montanari e Mario Puppo. Nel 1968 la sua vicinanza alle facoltà universitarie di via Balbi, sopratutto quelle di Lettere e Filosofia, molto ribelli, dove c’erano addirittura i germi del terrorismo, con professori come Fenzi e Faina, fece crescere un Movimento studentesco particolarmente vivace, che sfornò tanti leader. Come dire che il classismo, anche “equivocato”, lì non poteva storicamente spuntare. Spariti o ridimensionati gli altri “classici” della città ex Superba, come l’Arecco, istituto dei Padri Gesuiti, dove ha studiato per decenni la classe dirigente imprenditoriale, armatoriale e professionale, a partire dalla dinasty Costa, è chiaro che l’incidente “classista” non poteva che capitare al D’Oria, fatta salva la buona fede della sua preside e il trabocchetto della frase incriminata.

Gli studenti di oggi del D’Oria hanno ovviamente reagito alla patente classista, respingendola, ma non è dentro le mura della scuola che ora può covare l’incendio scatenato dalla scheda del “Rapporto di valutazione”, chiesto dal Ministero e redatto dalla scuola, probabilmente con uno scivolone di linguaggio non certo degno della fama conquistata dal D’Oria. Proprio pochi giorni dopo l’incidente a Genova sono scesi in piazza 5000 studenti in un corteo “antifascista” che protestava dopo i gravi fatti di Macerata. Non si erano mai visti tanti studenti in piazza da decenni e questo va colto come un segnale delle tensioni che bruciano: gli appuntamenti di Forza Nuova, le sue sedi nuove inaugurate, le adesioni a Casa Pound, dove si iscrivono vecchie glorie di An e del Msi, come l’ex vice presidente della giunta regionale Gianni Plinio.

Le ribellioni contro gli insediamenti di immigrati in molte parti della città, i “richiedenti asilo” ospitati, per esempio, nell’asilo di Multedo, zona un tempo ultra rossa, dove la gente si è ribellata aspramente anche a Don Martino, il sacerdote-missionario che spende la sua vita per l’accoglienza…. E’ come se la conquista della roccaforte rossa da parte del centro destra, guidato da Giovanni Toti, ex delfino ora un po’ “spretato” da Berlusconi, avesse mosso le acque. E’ come se fosse cambiata l’aria della città. E’ come se la città si capovolgesse, pezzo per pezzo: così “gira” anche il liceo classico D’Oria, campione di tradizione e rigore didattico. Magari un po’ a sua insaputa.