Siamo tutti un po’ neri e Neanderthal. Dna: la scienza smonta il razzismo

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Aprile 2018 - 06:19 OLTRE 6 MESI FA
Siamo tutti un po' neri e Neanderthal. Dna: la scienza smonta il razzismo (foto Ansa)

Siamo tutti un po’ neri e Neanderthal. Dna: la scienza smonta il razzismo (foto Ansa)

ROMA – Non c’è base scientifica per la razza, afferma il National Geographic. Siamo tutti africani, rincara Elizabeth Kolbert, autrice dell’articolo che fa la copertina di tutte le edizioni della rivista americana nel mondo.

Siamo tutti discendenti da quelle poche migliaia di individui che, evoluti dalle scimmie circa 5 milioni di anni fa, sono venuti via dall’Africa in ondate successive, alla ricerca di nuovi territori, su questo non sembra esserci più dubbio.

Come nota l’autrice, Elizabeth Colbert, “”Per le vittime del razzismo, è una piccola consolazione sentir affermare che la categoria non ha basi scientifiche”. E aggiunge:”Che il concetto di razza sia una costruzione umana non significa che non rientriamo in gruppi diversi o non ci siano differenze. Ma se creiamo categorie razziali, forse possiamo creare nuove tipologie che funzioni meglio”.
L’articolo,  che suona anche un po’ come un autodafé,

è interessante e riferisce alcune interessanti novità. Per lo più espone in modo interessante e divulgativo cose note, con l’aggiunta di dettagli di grande interesse. La razza non esiste per la scienza, non ci sono basi scientifiche per dire che una razza è superiore all’altra.
A proposito di europei, la Kolbert ci ricorda il fatto che nella maggior parte di noi, forse in tutti noi, c’è un po’ di Neanderthal. Marco Cattaneo, direttore della edizione italiana del National Geographic, ne scrisse 4 anni fa su Repubblica. Aveva fatto l’analisi del suo Dna, nell’ambito del Progetto Genographic, l’iniziativa lanciata quasi dieci anni prima da National Geographic e Ibm con l’obiettivo di tracciare le migrazioni umane attraverso l’analisi genetica delle popolazioni odierne. Risultato, scrisse Cattaneo, “io sono — come tutti — una specie di miscuglio etnico: per metà mediterraneo, un po’ nordeuropeo, un po’ mediorientale. Con in più un due per cento di uomo di Neanderthal e un pizzico di uomo di Denisova, l’enigmatica specie di ominidi scoperta appena cinque anni fa nei Monti Altaj, in Siberia”. L’articolo del National Geographic è un ricco riassunto di notizie in parte già note, sul percorso compiuto da un milione di anni in qua dal genere umano. Un racconto completo lo si trova nella Penguin History of the World, di J.M. Roberts. I numeri degli anni si contano a centinaia e decine di migliaia, difficile avere delle certezze documentali, visto che la prima storia scritta, quella di Erodoto, è di appena 2.500 anni fa. Ogni tanto gli archeologi trovano un osso e scoprono un nuovo tipo di essere umano. L’ultimo è l’uomo di Denisova, in Siberia, identificato nel 2010.
Sempre più importante, ritrovamento dopo ritrovamento, appare il ruolo dell’uomo di Neanderthal. La sua comparsa in Eurasia è collocata intorno a 250 mila anni fa.
Se non è stato il primo essere umano a lasciare l’Africa, l’uomo di Neanderthal certo ha avuto modo di espandersi per centinaia di migliaia di anni prima dell’arrivo, 60 mila anni fa, dell’Homo Sapiens, che lo ha sottomesso, assorbito ma non obliterato, al punto che nella discendenza del Sapiens, cioè in tutti noi, un po’ di Neanderthal, come vedremo, è rimasto. Sempre nuove scoperte inquadrano questo nostro progenitore in un suo processo evolutivo, con forme di arte e di architettura.

Il cambiamento umano, prima e dopo l’arrivo del Sapiens, è stato continuo. Così si è evoluto il genere umano, così si sono formate e evolute le razze. Razza ora è una brutta parola. Basta che ci spieghino perché uno è bianco o giallo o nero… La spiegazione sembra risiedere in mutazioni del Dna. Questo spega il colore della pelle, degli occhi, dei peli. Un adattamento evolutivo alle diverse condizioni ambientali fisiche. Difficile resta, almeno per ora, spiegare con la chimica o la biologia le mutazioni culturali, le corse in avanti e le fasi di arresto dei diversi segmenti (razze, nazioni, popoli) dell’umanità. Greci e romani stavano sugli alberi quando Cina e India e Babilonia prosperavano. Elizabeth Kolbert afferma:”Il concetto di razza non ha basi genetiche o scientifiche. Negli ultimi decenni, la ricerca genetica sulle persone ha rivelato due profonde verità. La prima è che tutti gli umani sono strettamente imparentati, più strettamente imparentati di tutti gli scimpanzè, anche se oggi ci sono molti più umani. Ognuno ha la stessa collezione di geni, ma con l’eccezione dei gemelli identici, ognuno ha versioni leggermente diverse di alcuni di essi. Gli studi di questa diversità genetica hanno permesso agli scienziati di ricostruire una sorta di albero genealogico delle popolazioni umane.

E ciò ha rivelato la seconda profonda verità: tutte le persone viventi attualmente sono africane, nel vero senso della parola. Sotto le foto di uno scimpanzé e di un bambino di pochi mesi biondo e con gli occhi celesti, la didascalia è folgorante:”I loro profili del DNA si somigliano al 99%. I geni di due esseri umani, ovviamente, sono ancora più simili. Ma dal momento in cui i nostri antenati hanno perduto la maggior parte dei peli del corpo, abbiamo sviluppato differenze ben visibili nel colore della pelle. La pigmentazione scura ha aiutato i nostri antenati a far fronte all’intenso sole africano; quando gli umani sono emigrati dall’Africa in paesi a bassa luce solare, la pelle più chiara è diventata un vantaggio”. La spiegazione è nei geni:”Molti geni influenzano il modo in cui la melanina colora la pelle umana. Le mutazioni si verificano nei topi e nei pesci. Le variazioni in quattro di essi spiegano in gran parte la diversità del colore della pelle in Africa. Mentre i nostri antenati si diffondevano in tutta la Terra, diverse mutazioni si rivelarono benefiche a diverse latitudini e furono trasmesse”. Una piccolissima mutazione genetica nella sequenza del gene SLC24A5 che determina la pelle più chiara, avvenne 29.000 anni fa in Asia e successivamente si diffuse in Europa. Ma l’Africa è la fonte di altre varianti genetiche, DDB1, MFSD12 e HERC2, che contribuiscono alla pelle più chiara nelle popolazioni di tutto il mondo. I geni mutano casualmente nel tempo. Le mutazioni benefiche tendono ad essere trasmesse alla prole e a diffondersi attraverso una popolazione. La pelle scura è favorita nei tropici perché protegge i tessuti dai pericolosi raggi UV. Nelle regioni con meno sole, la pelle più chiara consente al corpo di assorbire abbastanza raggi UV per sintetizzare la vitamina D, necessaria per mantenere sane le ossa e il sistema immunitario. In Africa sono venute alla luce fattezze umane anatomicamente moderne. L’Homo sapiens, la nostra specie, si è evoluta in Africa, sebbene non siano stati determinati con certezza il tempo e il luogo esatti. La scoperta fossile più recente, in Marocco, fa pensare che le caratteristiche umane anatomicamente moderne abbiano cominciato ad apparire anche 300.000 anni fa. Per i successivi 200.000 anni circa, l’uomo è rimasto in Africa, ma già in quel periodo i gruppi hanno cominciato a spostarsi in diverse parti del continente e si sono isolati gli uni dagli altri, creando in effetti nuove popolazioni. Come abbiamo visto, le date sono molto appese a filo. Non dipendono da un flusso certo di informazioni ma da ritrovamenti casuali, alcuni in grado di coprire il tempo della preistoria indietro di decine di migliaia di anni.

Negli esseri umani, come in tutte le specie, i cambiamenti genetici sono il risultato di mutazioni casuali, minuscole modifiche al DNA, il codice della vita. Le mutazioni avvengono a un ritmo più o meno costante, per cui più a lungo un gruppo permane, tramandando i suoi geni di generazione in generazione, maggiori saranno le modifiche che accumuleranno questi geni. Attualmente, tutti i non-africani, dice la genetica, discendono da poche migliaia di umani che hanno lasciato l’Africa forse 60.000 anni fa. Questi migranti erano più strettamente legati ai gruppi che oggi vivono nell’Africa orientale, tra cui l’Hadza della Tanzania.

Lungo il cammino, forse in Medio Oriente, i viaggiatori si incontrarono e fecero sesso con un’altra specie umana, i Neanderthal; più a est incontrarono i Denisovani. Si ritiene che entrambe le specie si siano evolute in Eurasia da un ominide migrato dall’Africa molto prima. Alcuni scienziati sostengono inoltre che l’esodo di 60.000 anni fa, fosse in realtà la seconda ondata di umani moderni a lasciare l’Africa. Se così fosse, a giudicare dai nostri genomi attuali, la seconda ondata sommerse la prima. Talvolta è evidente che la selezione naturale abbia favorito una mutazione, ma non è chiaro il perché. E’ il caso del gene EDAR. La maggior parte delle persone di origini orientali e native americane possiede almeno una copia della mutazione nota come 370A e molti ne possiedono due. Ma è raro tra le persone di discendenza africana ed europea.

Il DNA è spesso paragonato a un testo, le cui lettere stanno per basi chimiche: A per adenina, C per citosina, G per guanina e T per timina. Il genoma umano consta di tre miliardi di coppie di basi, pagina dopo pagina di A, C, G e T, divise in circa 20.000 geni. La mutazione maggiormente responsabile della pelle più chiara degli europei, è una singola modifica del gene SLC24A5, che consta di circa 20.000 coppie di basi. Mentre la maggior parte degli africani subsahariani hanno una G, gli europei hanno una A. Esaminando il DNA estratto da resti di ossa umane, i paleogenetisti hanno scoperto che la sostituzione G-A-A in Europa occidentale è stata introdotta relativamente di recente, circa 8.000 anni fa, da popolazioni che migrarono dal Medio Oriente e che introdussero una nuova tecnologia: l’agricoltura. Ciò significa che le persone ormai in Europa, cacciatori-raccoglitori che realizzarono le spettacolari pitture rupestri a Lascaux, per esempio, probabilmente non erano bianchi ma avevano la pelle scura.