Nella giornata di mercoledì per tutta la giornata la camera ardente
dell'ospedale civile di Alghero è stata meta di un lungo e silenzioso
pellegrinaggio da parte di tante persone che hanno raggiunto il
nosocomio della Pietraia per dare un momento di conforto e
partecipazione alla famiglia di Alberto Melone, il ragazzo appena
ventenne ucciso venerdì scorso da un colpo di pistola sparatogli
dall'amico Lukas Saba, successivamente arrestato e rinchiuso nel
carcere di Bancali. Da giorni si parla di un tragico gioco con la
pistola dalle conseguenze drammatiche. Giovedì alle 15,30 sarà la
Cattedrale di Santa Maria ad accogliere la cerimonia funebre per
l'ultimo saluto di Alberto. Celebrerà il vescovo di Alghero monsignor
Mauro Maria Morfino.
In questi ultimi giorni tanto si è detto e
scritto sulla vicenda di piazza del Teatro. Una pioggia di
interpretazioni e filosofie diffuse ma che hanno trascurato quello che
forse è il vero problema: lo sgretolamento costante delle famiglie.
Si lavora, si suda, si fatica anche 15/16 ore al giorno per garantire
un futuro sereno ai propri figli ma non ci si accorge come stanno
crescendo. Non c'è il tempo,la notte al rientro a casa dopo una dura
giornata di lavoro non c'è più voglia per affrontare nel merito tanti
particolari dei vita dei ragazzi. C'è bisogno di andare a letto,
riposare, l'indomani c'è in attesa un'altra giornata di lavoro.
Giorno
dopo giorno quei piccoli "mostri" che stanno lambendo la vita dei
ragazzi, crescono, si fortificano, diventano i veri padroni della
loro vita. Ai genitori che lavorano è delegato il compito di garantire
le necessità ordinarie, la casa, il cibo, l'abbigliamento, il
telefonino nuovo, il motorino e la manciata di euro nelle tasche per
i vizietti di giornata. Quei segnali di allarme che sono ben visibili
anche ai genitori impegnati nel lavoro, sono sottovalutati, "passerà" , "sono ragazzi", "quando cresceranno capiranno". Un tragico
errore.