Venezia 75 – Joy: recensione del film di Sudabeh Mortezai

Joy è un ritratto realistico e puro della prostituzione africana in Europa.

Una realtà che tendiamo a ignorare e che spesso tendiamo a sottovalutare nella sua complessità e sofferenza. Con Joy, la regista Sudabeh Mortezai, prima volta alla regia di un lungometraggio, dopo aver diretti vari corti, torna a parlare del commercio del sesso, dello sfruttamento di donne provenienti da lontano, speranzose in questo modo di potersi spianare la strada con un avvenire migliore.

Vienna. Joy è una donna taciturna e tenace, che arriva nella capitale austriaca per poter sostenere la famiglia rimasta in Nigeria e assicurare un futuro migliore del suo alla figlia. La donna inizia a prostituirsi nel momento in cui mette piede sul suolo europeo, per pagare i debiti a Madame, protettrice che si è incaricata di pagare le spese del viaggio per fare arrivare Joy dalla Nigeria. 60.000€, solo dopo la consegna di questa somma, diluita in 1.000€ mensili, Joy potrà considerarsi libera e riprendere possesso del suo passaporto, fino a quel momento in mano di Madame.

Joy: un doppio ricatto che mette alle strette le nigeriane appartenenti al traffico della prostituzione in Europa

Joy Cinematographe.it

Joy inizia a mettere in dubbio la validità di quello che sta facendo quando la protettrice la incarica di prendersi cura della nuova arrivata, Precious, una ragazzina dall’età indefinita – probabilmente poco più di 18 anni – che, inizialmente, fatica ad adattarsi a questa dura vita. Il film si costruisce su un doppio ricatto: prostituirsi per dare la somma dovuta a Madame, altrimenti quest’ultima terrà i passaporti per sé, e rispettare l’accordo stretto prima di partire, con tanto di rito juju attuato da uno stregone usando effetti personali delle donne, altrimenti gravi conseguenze si abbatteranno su coloro che infrangeranno il “voto”.

Lo sfruttamento sessuale è un argomento particolarmente delicato, che implica al mondo d’oggi ulteriori traffici illeciti, col fine di convincere le donne a prostituirsi. Il film della Mortezai non parla della prostituzione in generale, ma si concentra su un aspetto specifico – la prostituzione di nigeriane in Europa – e la descrive con un’accuratezza tale da consentire agli spettatori di mettersi, per una volta, dalla prospettiva opposta: non di coloro che puntano il dito e giudicano senza sapere, ma dalla parte dei sottomessi, di chi subisce costantemente torti e violenze, solo per il desiderio di avere una vita degna di essere vissuta.

Joy è un film piacevole e scorrevole, intenzionato a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla prostituzione

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La regista e sceneggiatrice esplora con Joy quel processo per cui una vittima può passare dall’altro lato, diventando essa stessa, all’estinzione del suo debito, una sfruttatrice. L’intento della Mortezai viene portato a termine ancora più efficacemente dall’ottima performance di Joy Anwulika Alphonsus, che ha debuttato sul grande schermo proprio con questo film, offrendo un’interpretazione degna di nota, così come anche il resto del cast.

Per 100 minuti ci sentiamo tutti un po’ Joy, iniziando a vedere le persone che incontra, i luoghi che frequenta, coi suoi stessi occhi. Non ci sono eroi, tantomeno non ci sono eroi bianchi che generalmente, in film del genere, arrivano salvando la malcapitata di turno. Un tentativo di salvataggio da parte di un uomo c’è, ma in seguito la regista ci fa tornare coi piedi ben piantati per terra, ricordandoci che la realtà non è sempre tutto un lieto fine.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.8