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Colpi di Testa

Colpi di Testa, il senso di Dio e della religione secondo Givone

L'uomo, la fede e l'esigenza di cercare il soprannaturale: l'analisi nel saggio intitolato “Quant'è vero Dio – Perché non possiamo fare a meno della religione”

Domenica il mondo cristiano celebrerà la più antica e solenne ricorrenza religiosa dell'anno: la Santa Pasqua. Il nome "Pasqua" trova la sua origine nella tradizione biblica, ed in molti lo associano con il verbo pasah (che significa "passare oltre") in ricordo del Dio d'Israele il quale, nella notte dell'uccisione dei primogeniti egiziani, scelse di risparmiare quelli ebrei. La Chiesa cristiana decise di continuare tale tradizione nel solco dell'omonima solennità giudaica, preferendo tuttavia attribuire alla festività un diverso significato religioso. Ed infatti più di qualcuno sostiene che il nome "Pasqua" sia invece qualche modo collegato con il termine greco paschein ("patire"), il quale ben riusciva a descrivere l'immagine della passione e della morte di Gesù Cristo.

La Pasqua, come è noto, costituisce il momento centrale dell'intera liturgia cristiana, perché simboleggia il passaggio tra la vita terrena a quella spirituale. Attraverso la sua celebrazione i fedeli cristiani di tutto il mondo sublimano ogni anno il loro rapporto con il Padre Eterno, dando così pieno compimento a ciò che è narrato e descritto nelle Sacre Scritture. Da sempre, l'uomo, si è confrontato con i misteri religiosi. E con tutto quello che essi implicano. Da sempre, il rapporto tra uomo e divinità, è risultato il fulcro di ogni civiltà. Ma in realtà cos'è Dio? E soprattutto cos'è, per l'essere umano, la religione? Cos'è la fede? E cosa essa rappresenta?

Se lo è chiesto, in un impegnativo saggio da poco pubblicato per Solferino, intitolato  "Quant'è vero Dio – Perché non possiamo fare a meno della religione", il filosofo Sergio Givone, il quale, nella prefazione del libro, spiega che «aver fede in Dio significa credere che abitare il mondo non sia cosa insensata, ma abbia un senso, addirittura un senso ultimo». L'autore ritiene che la religione sia un elemento indispensabile dell'esistenza umana. Tale conclusione è il frutto di una serie di valutazioni profonde, e appare ancor più rilevante e sorprendente tenuto conto che proviene da un «laico, consapevole che tale non è chi rivendica la propria indifferenza nei confronti della religione, ma, al contrario, chi la prende sul serio, riconoscendo che i contenuti essenziali con cui è chiamato a fare i conti, le ragioni per cui si vive, vengono proprio da lì».

Il saggio di Givone affronta questioni assai delicate e spinose, e prova a dare risposte a impegnativi interrogativi che hanno agitato, nel passato, uomini di Chiesa, filosofi, e scrittori di ogni tempo. Per farlo, l'autore piemontese parte da un'attenta considerazione: «Sono state le ideologie che ne avevano decretato la fine prossima, in particolare marxismo e neo-illuminismo, a mostrarsi del tutto inadeguate a comprendere il fenomeno religioso In base al grande racconto della modernità la religione sarebbe presto evaporata come rugiada al sole sotto i raggi implacabili della scienza, e invece è accaduto che proprio la scienza, in particolare la fisica, rilanciasse le grandi questioni della metafisica».

Givone sostiene che proprio la sconfessione delle ideologie più repressive ha finito con l'alimentare nuovamente, nell'uomo, l'esigenza di cercare Dio e la religione («Oggi sono le masse a patire il disinganno delle utopie e a guardare altrove, tanto che la religione trova presso di loro un credito fino a pochi anni fa inimmaginabile, e soprattutto torna a improntare di sé momenti e stazioni della vita collettiva»). Givone evidenzia anche che «la religione è quella che riporta a una superiore armonia quanto c'è di lacerato e di scisso nella realtà. Per la religione non c'è dissidio che non possa essere ricomposto, addirittura non c'è contraddizione che non possa essere sanata. Ciò vale per forme estreme di contrapposizione di bene e male, fede e miscredenza, teismo e ateismo, ma anche per la contrapposizione in sé: quella che non può essere tolta, e che riguarda la natura stessa dell'esperienza religiosa.

Nulla vieta che, dal punto di vista della religione, persino il male venga subordinato al bene... il bene, senza il male, neppure possiamo figurarcelo...l'ateismo presuppone il teismo, presuppone Dio, altrimenti la negazione perderebbe qualsiasi vigore e qualsiasi consistenza, così come il teismo presuppone l'ateismo, perché è possibile affermare Dio solo sapendo che Dio è una scommessa, un'ipotesi, una realtà del tutto eventuale ed emergente da un abisso insondabile, e non certo l'essere necessario». Il suo laicismo sorprende, perché appare come un'accorata difesa della figura divina, e del suo oscuro disegno: «Diremo allora che è Dio a volere il male, è Dio a volere l'ingiustizia , è Dio a volere la morte? Sarebbe come dire che è l'Amore a odiare, il che è palesemente contraddittorio. Occorre rovesciare la prospettiva.

Partire non da Dio, ma da noi e dal mondo così come lo conosciamo. E chiedersi non già se Dio voglia o non voglia che il male trionfi, che l'ingiustizia perduri, che l'odio abiti il cuore degli uomini, ma che abbiano da dirci il male, l'ingiustizia, l'odio in merito alla volontà divina. "Pathei mathos": e cioè conoscere per mezzo della sofferenza, la sofferenza come conoscenza». Concetto, questo, di grande spessore. Attraverso questa interpretazione del divino, Givone critica le teorie nichiliste (che tendono a negare Dio o la sua attuale "vitalità"), che contrappone a quelle cristiane, che invece sostanzialmente si basa sul fatto che «non c'è storia sulla scena del mondo che non sia compresa da una storia più grande e più alta». E la storia cristiana si fonda su eventi solo apparentemente contraddittori. Come ad esempio la resurrezione.

Che è evento posto «a baluardo del bene: lo preserva, ne custodisce la fragilità e la povertà di fronte alla morte. Perciò è la stessa ragione a reclamare la resurrezione. Non può provarla, naturalmente, essendo cosa della fede. Può però affermare che la fede sarebbe vana se non ci fosse la resurrezione...è la religione a ricomporre la frattura che c'è, e che sembra incolmabile, tra finito e infinito». Ma anche quella tra il bene e il male, che esistono solo "perché c'è il sacro". Il quale, a sua volta, «è la sostanza del bene e del male, oltre che il suo principio». 

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