L’Iran abbassa i toni

Le tensioni che stanno avvelenando i rapporti tra sciiti e sunniti in Medio Oriente rischiano di far saltare l’intero banco. Il ruolo degli israeliani e di Trump. Teheran sta cercando di abbassare i toni della polemica tentando il tutto per tutto in campo diplomatico per tentare di salvare il trattato sul nucleare. La vera guerra è tra sauditi e iraniani

Ero ad Aleppo il giorno in cui una decina di incursioni aeree israeliane in territorio siriano hanno colpito una “base di droni” iraniana, a 10 km dalla città-martire della guerra che dura da 7 anni. I sentimenti di inquietudine per le esplosioni ravvicinate erano stati accresciuti dal non capire chi aveva colpito che cosa. Solo qualche giorno più tardi abbiamo saputo che erano stati dei raid israeliani a colpire la base iraniana in pieno territorio siriano. Mi è venuto allora un dubbio: ma com’è possibile che i radar russi, presenti in modo capillare in Siria, non abbiano individuato quegli aerei che, partiti da Israele, avevano attraversato tutto il territorio siriano giungendo al Nord del Paese per colpire? Ho chiesto a un esperto nel campo che mi ha confermato quel che immaginavo: le incursioni israeliane erano certamente state rilevate dai russi ma seguite dalla decisione di non agire. O forse gli israeliani stessi, cosa ancora più probabile, avevano avvertito i russi dell’attacco. Come sicuramente era successo per l’attacco di statunitensi, francesi e britannici del 14 aprile scorso.

IDF mobilizes reservists on concerns about Iranian attacks

Racconto questa “piccola” vicenda per segnalare la complessità del confronto che sta opponendo l’Iran al mondo sunnita, sostenuto da Trump e addirittura da Israele, un’alleanza inusitata, impossibile da pensare fino a qualche tempo fa. Certamente l’attivismo iraniano nella regione – ricordiamo i fronti dello Yemen, del Qatar, della Siria, dell’Iraq e del Libano – spaventa il mondo sunnita, frustrato per una serie di sconfitte militari, ma che soprattutto avverte di non essere adeguatamente rappresentato nei governi della regione: in effetti l’Iraq, che elegge il presidente in queste ore, ha un governo sciita, mentre la Siria è in mano agli alauiti di Assad, alleati dell’Iran, il Libano è sempre meno sunnita e “più Hezbollah”, mentre Hamas viene sostenuto da Teheran. Per giunta il Qatar non smette di fare affari con l’Iran, irritando i vicini regni del Golfo persico, in Yemen i soldi e le armi sauditi non riescono a scacciare gli houti sciiti, mentre continuano le contestazioni della maggioranza sciita in Bahrein contro i governanti sunniti. In questo contesto, il Daesh è stato un tentativo disgraziato di rinascita sunnita, e si sa bene come è andata a finire.

Ora, Israele si sente profondamente minacciato dall’attivismo iraniano e reagisce per il momento “solo” sul territorio siriano, in cui la guerra sul terreno sembra sia stata vinta quasi definitivamente dalle truppe di Assad e Putin (le sacche di resistenza dell’opposizione vengono una dopo l’altra svuotate dei ribelli, “trasferiti” nel Nord del Paese, a Idlib, Afrin e Jerablus, territori curdi in gran parte sotto controllo turco). Ma nei cieli siriani la battaglia è ancora aperta, come dimostrano le ultime incursioni degli aerei con la stella di David. Tuttavia è chiaro che, nel rischio di una deflagrazione potenzialmente devastante, perché i grandi eserciti mondiali sono ormai a contatto diretto tra di loro e un incidente ci può sempre scappare, la prudenza comunque viene usata da tutte le parti, colpendo in modo chirurgico e “avvertendo” gli avversari di quanto si sta per compiere.

Iran Trump Nuclear Deal

In questo contesto estremamente complesso, Donald Trump si tira fuori dal trattato per il controllo della produzione delle armi nucleari con l’Iran, il Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action) del luglio 2015, riattivando le sanzioni contro Teheran e riaffermando la sua chiara scelta di campo: i nostri alleati sono i sunniti, i nostri nemici sono gli sciiti. L’Unione europea in queste ore cerca comunque di mantenere in vita il trattato, ricevendo l’appoggio di Teheran e Mosca. La questione ha tra l’altro risvolti economici non indifferenti anche per i Paesi europei che fanno affari con l’Iran, per cui la volontà europea sembra abbastanza solida. D’altronde le sanzioni rischiano anche di abbattersi sull’economia iraniana come un maglio, in un momento in cui l’opposizione al regime attuale degli ayatollah viene alimentata proprio dall’infinita crisi economica.

La polveriera mediorientale potrebbe esplodere con una guerra diretta tra iraniani e israeliani, probabilmente in territorio siriano, con implicazioni multiple di alleati vicini e lontani. Il rischio c’è. Tanti governi sunniti sembrano aspettare con una certa soddisfazione una tale eventualità. Ma il conflitto attuale non è una guerra tra mondo sunnita (con Usa e Israele) nel suo complesso e mondo sciita (con Russia e altri alleati) preso nella sua totalità: è una guerra in fondo più circoscritta, tra Riad e Teheran, cioè tra le due principali potenze regionali. In uno scenario però complicato dagli interventi delle grandi potenze, anche europee, che hanno tutte degli interessi particolari nella regione: petrolio, gas, armi (!?!), acqua e geopolitica. È su questo fronte del conflitto tra sauditi e iraniani che la comunità internazionale dovrebbe lavorare per evitare l’esplosione della polveriera.

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