In cammino verso il passo della morte

Sul sentiero che porta in Francia gli immigrati. I messaggi d’amore e di speranza incisi in tante lingue

La giornata pare tranquilla, siamo nei giorni del Ramadan e di immigrati in giro non se ne vedono molti. Bisogna aspettare la sera alle 21, quando sull’ampio piazzale antistante il cimitero di Roverino, lungo la statale che da Ventimiglia porta al colle di Tenda, arriveranno in moltissimi a consumare la cena che come sempre viene preparata dalle associazioni di volontariato e dagli abitanti dei paesi della Francia.

Per il periodo del Ramadan vengono anche srotolati lunghi tappeti sull’asfalto in modo che i fedeli di Allah possano inginocchiarsi e pregare. Siamo in città per incontrare immigrati, ma davvero ne vediamo pochi. Dopo che è stato smantellato il rifugio sotto il ponte del Roya che ospitava i ragazzi che non volevano farsi registrare dalla polizia c’è poco via vai. Le tende e le baracche provvisorie non possono più essere montate.

Ma “gli invisibili” ci sono eccome, e per dormire hanno trovato altre sistemazioni. Siamo quasi in estate e fa caldo, quindi “la spiaggia è un buon materasso” assicura Raschid. Verso la metà del pomeriggio notiamo dei gruppetti di giovani di colore, sbucati da chissà dove, che s’incamminano velocemente lungo la linea ferroviaria che porta a Mentone. Camminano spediti.

«Torneranno già questa notte stessa, massimo domattina», assicura la barista. Appena passato il confine la polizia francese li farà tornare indietro. È la liturgia che si ripete ogni giorno. Ora per passare il confine si rischia anche questo percorso più pericoloso perché è lungo la ferrovia, dove già in parecchi sono stati risucchiati dai treni e finiti sotto le ruote.

Noi però vogliamo percorrere l’antico “Passo della morte”, o come dovrebbe essere chiamato più giustamente sentiero della vita, della speranza, perché permette a tanti di arrivare in Francia eludendo i controlli. Ma è chiamato “della morte” perché il suo percorso lambisce strapiombi rocciosi ripidi che hanno fatto sì che tanti finissero uccisi sulle rocce e poi nel mare, sottostante. Tanti, chissà quanti, perché nessuno più li ha più trovati, essendo finiti in acqua sfracellati e subito fatti preda dei pesci.

Noi intanto siamo giunti all’attacco del sentiero che inizia appena superato le ultime case di Grimaldi Superiore, ultima frazione di Ventimiglia prima del confine di Stato, e giunge a Mentone. Controlli non ne notiamo né tanto meno droni che sorvolano dall’alto il percorso.

Ci incamminiamo sotto il sole che scalda la salita a oltre trenta gradi. Dopo poche centinaia di metri il sentiero passa accanto alle corsie autostradali in un tratto ancora italiano dell’A10, alcuni migranti scavalcano la recinzione e camminando in fila indiana costeggiano il bordo dell’autostrada. Altri invece proseguono il sentiero verso il ‘Passo della Morte’, dove sul confine di stato ci si imbatte in una lunga e alta rete di filo spinato opportunamente tagliata per permettere il passaggio verso la Francia.

Si racconta che nei primi anni del dopoguerra sono morte un centinaio di persone inghiottite nei dirupi, erano contrabbandieri. Ora invece su questo sentiero, che se fatto di notte è doppiamente pericoloso, muoiono i giovani che vogliono raggiungere il nord Europa. Lungo il percorso s’incontrano alcune case diroccate con sulle mura i segni del passaggio dei migranti. Sono messaggi d’amore e di speranza incisi in tante lingue. Versi del corano, disegni vari e figure. Sul pavimento invece ci sono i biglietti del treno, indumenti, sacchi a pelo e coperte, avanzi di cibo. E ancora effetti personali.

Sembra impossibile vedere queste immagini, narrare queste vicende ora. Eppure è storia attuale, storia di libertà negata, di accoglienza rifiutata. Di indipendenza non riconosciuta. Torniamo a Ventimiglia con un forte senso di impotenza contro questa, e contro tutte le ingiustizie che queste persone dovranno ancora subire, prima che possano sentirsi uomini, persone uguali ad ogni altro vivente.

 

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